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  • 12 luglio 2024
  • Casale Monferrato

Era il 12 luglio 1914...

Centodieci anni fa il Casale Foot-Ball Club era Campione d’Italia

Fu un “mistero agonistico” come lo definì Gianni Mura o una magica coincidenza astrale?

Una grande squadra. Quella dei Campioni d’Italia qui ritratti dalla matita del nostro Max Ramezzana

Il 12 luglio 1914 – centodieci anni fa esatti – il Casale Foot-Ball Club si laureò campione d’Italia nel calcio. Uno sport che si stava imponendo sempre più all’attenzione della gente, tanto da godere di una popolarità ormai indiscutibile, come provano le pagine dei giornali, tematici e non solo, dell’epoca.

Crediamo sia doveroso, per la nostra comunità, ricordare con affetto e orgoglio quell’impresa che rappresenta ancora oggi – e chissà ancora per quanto tempo – il massimo successo sportivo nella storia del Monferrato. Potrebbe fare concorrenza la vittoria olimpica di Livio Berruti sui 200 metri a Roma 1960, ma le origini del velocista sono stroppianesi e quindi vercellesi, seppur per pochi chilometri.

L’estemporanea citazione di Berruti vuole introdurre il “fil rouge” di questo nostro pezzo celebrativo, ovvero evidenziare come - per qualche motivo che sarebbe da approfondire attraverso un’analisi storica e sociologica dettagliata - i ragazzi cresciuti fra le risaie vercellesi e le nostre colline fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, riuscissero spesso e volentieri a esprimere prestazioni atletiche di assoluta eccellenza. Un aspetto assai meno evidente in seguito - escludendo l’exploit dell’étoile della danza Roberto Bolle - anche se di recente qualche nuovo germoglio sta emergendo e si spera che le Olimpiadi di Milano-Cortina 2026 possano segnare un’inversione di tendenza, grazie ad Amedeo Bagnis e Valentina Margaglio nello skeleton, mentre a Vercelli sta iniziando a brillare, a livello mondiale, la stella di Giulia Perotti nella ginnastica artistica.

Fu merito della capacità di assorbire con bravura gli influssi provenienti dal triangolo Torino-Genova-Milano, di farli propri e migliorarli grazie a un carattere forgiato dalle fatiche del lavoro in campagna? Influì un contesto economico e sociale in qualche modo privilegiato rispetto a oggi, in rapporto ad altre regioni italiane? Fu un “mistero agonistico” come lo definì la raffinata penna di Gianni Mura o una magica coincidenza astrale, visto che si parla di maglie “stellate”? Chissà. 

Resta il fatto che, sull’onda dei successi della Pro Vercelli e in orgogliosa contrapposizione campanilistica a essi, si primeggiò in quello che era già lo sport più popolare d’Italia e del mondo, dopo aver oltretutto superato in amichevole i maestri inglesi, rappresentati per l’occasione dal Reading. Si vinse un torneo nazionale iniziato a ottobre e concluso a luglio, sviluppatosi attraverso trenta lunghe e impegnative giornate, con 45 società partecipanti in rappresentanza di quasi tutta la Penisola, in un’epoca in cui era ancora possibile competere con una squadra formata per la maggior parte da calciatori locali, nonostante i segnali dell’imminente professionismo fossero ormai evidenti. 

Un successo che non ebbe seguito, perché quasi immediatamente sopraggiunse la Prima Guerra Mondiale, ma sul quale, rileggendo a ritroso la storia e unendovi i sette titoli tricolori vinti a Vercelli (un paio dei quali successivi al conflitto bellico), fondano le loro radici i principali trionfi internazionali del calcio italiano. Bello immaginare, infatti, che Umberto Caligaris, classe 1901, quindi giovane adolescente all’epoca della vittoria dello scudetto – definizione in verità impropria, perché quel simbolo del primato ancora non esisteva - fosse fra gli spettatori che applaudirono le vittorie di capitan Barbesino e compagni al campo del Priocco, maturando così la passione per il calcio e apprendendo il “mestiere” dai mitici pionieri con i quali scese anche in campo, in seguito, quando questi ultimi tornarono dal fronte.

Proprio Caligaris detenne a lungo il record di presenze in Nazionale, superato nel 1970 da Giacinto Facchetti, un primato poi transitato anche da Dino Zoff, Paolo Maldini, Fabio Cannavaro e, attualmente, nelle salde mani di Gigi Buffon. Nel 1934, quando l’Italia vinse il suo primo Mondiale, il “Caliga” non fu più ritenuto all’altezza di scendere in campo, ma il c.t. Vittorio Pozzo lo volle comunque con sé come portabandiera, tanto era rispettato. E così il lomellino Piola, classe 1913, cresciuto alla Pro Vercelli, fu protagonista della vittoria a Francia 1938. Nel mezzo, Angelo Mattea, il bomber nerostellato di ogni epoca e fra i principali protagonisti della vittoria del 1913/14 che oggi celebriamo, vice di Pozzo all’Olimpiade di Berlino 1936, anch’essa trionfale per gli Azzurri. 

Una recente statistica, apparsa sul web, colloca la città di Carrara (grazie a Buffon, Chinaglia, Morini, Bernardeschi e Cristiano Zanetti, in particolare) al vertice nel rapporto fra minuti giocati in Nazionale e abitanti. Vercelli resta nella top ten come minutaggio ed è addirittura al 4° posto come singoli convocati dopo Roma, Milano e Torino (ben 21, da capitan Ardissone con i suoi compagni scudettati, fino a Kean, in verità astigiano, passando per Piola, Castigliano e Ugo Ferrante), ma anche Casale Monferrato (5 convocati, ovvero Gallina II, Barbesino, Caligaris, Castelletti e Monzeglio, nativo di Vignale Monferrato, ma assimilabile) si difende bene con il suo 22° posto assoluto che, senza la già citata Grande Guerra, si sarebbe potuto migliorare. Non c’è altra città non capoluogo di provincia, a oggi, che abbia saputo eguagliare tale risultato, anche se Crema, Castellammare di Stabia e Viareggio incombono a quota quattro convocati e con prospettive migliori. Perché i tempi, lo si è detto, sono cambiati.

La grandezza dell’impresa tricolore del Casale è provata, in epoca contemporanea, anche dal fatto che non più tardi di cinque anni fa, Gianfelice Facchetti - figlio di Giacinto - scelse proprio il successo nerostellato come tema di un podcast commissionato da GEDI Digital per Repubblica.it. Lo definì provocatoriamente “lo scudetto di cartone”, facendo forse il verso alle tristi contemporanee polemiche fra interisti e juventini, ma rifacendosi soprattutto alla famosa leggenda magistralmente alimentata da Gianni Turino, secondo la quale il Casale, all’atto della fondazione datata 1909, scelse una maglia nera in contrapposizione a quella bianca della Pro, e vi appiccicò una stella di cartone sul cuore, come portafortuna. 

Fra i registi di un successo concretizzatosi nel giro di soli cinque anni dalla nascita del club, non dimentichiamolo, ci fu anche l’imprenditore veronese Oreste Simonotti, il primo in città a dotarsi di un’automobile a quanto narrano le cronache, e l’unico presidente ad aver vinto il campionato italiano con due club diversi (ci riuscì anche all’Ambrosiana Inter nel 1930). Aveva rilevato il ruolo di presidente del Casale da Raffaele Jaffe, il professore dell’Istituto Leardi da cui tutto era partito, in seguito deportato e ucciso ad Auschwitz in quanto ebreo. Un legame indissolubile fra la piccola grande storia di quel Casale e la Storia con la S maiuscola.