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Prelati monferrini: Enrichetto Virginio Natta (27)

Dal Papa Benedetto XIV la sede vescovile di Alba - Nominto cardinale nel Concistoro del 23 novembre 1761..

 

Secondogenito del conte palatino Girolamo III Natta, marchese di Cerro e conte di Baldesco e Fubine, e di Luciana (o Luisa) Matilde Ignazia Pelletta Mesturelli di Soglio, nasce a Casale il 10 gennaio 1701 Raffaele Francesco, futuro sacerdote e cardinale con il nome di Enrichetto Virginio. In tutto saranno dieci fratelli, sei maschi e quattro femmine.

Sicure notizie sulla prima parte della sua vita, nelle biografie dell’”Archivium fratrum praedicatorum - 1937”. “Educato con abitudini pie e cristiane, segue l’esempio del piissimo padre ed entra come professo nel convento casalese del Santo Padre Domenico”; in effetti, rimasto vedovo, il padre Girolamo ha lasciato ricchezze, onori e famiglia per farsi religioso domenicano.

Tre dei suoi figli hanno seguito il suo esempio ed il primo di essi è proprio Enrichetto, il quale (curioso particolare) riceve l'abito religioso dalle mani del genitore. Dopo il noviziato e la professione nel convento di Faenza, pur sempre legato a quello di Casale. è ordinato presbitero il 15 giugno 1726. Prosegue gli studi a Bologna, e promosso lettore insegna dapprima filosofia nel convento di Bosco, poi nel collegio di Modena.

Nel 1739 il re Carlo Emanuele III lo nomina alla cattedra di teologia dogmatica nell’Università di Torino, posto che terrà per dieci anni. All’epoca l’ateneo è ben controllato dai Savoia; già Vittorio Amedeo II aveva colto la formazione dei vescovi, considerati come funzionari dello Stato, quale impegno centrale per la definizione dell’assolutismo sabaudo, e a tal fine aveva addirittura istituito la “Congregazione di Superga” per formare i futuri vescovi, ligi allo Stato! Nel 1749 lascia l'insegnamento - gli succede un trinese, fra Nicolao Agostino Chignoli - perché nominato responsabile della Provincia domenicana di Lombardia, avendo rinunciato al maggior ruolo in ambito nazionale propostogli dal Generale Antonino Bremond.

L’anno successivo, il “sapientissimo” (il tono adulatorio è dell’agiografia domenicana) Re di Sardegna lo richiama nei suoi stati, presentandolo nell’aprile 1750 al Papa Benedetto XIV per la sede vescovile di Alba.

Accolta la proposta, il Pontefice è presente all’esame che si usa fare ai candidati al vescovado; rimane ammirato e dice che la dottrina di fra Natta supera di molto la fama che lo precede, paragonandolo a quanto disse di Salomone la Regina di Saba: “maior est sapientia tua, quam rumor, quem audivi”, ho saggiato la tua sapienza essere maggiore della tua notorietà. Il 25 luglio, nella chiesa dei Santi Domenico e Sisto a Roma, la consacrazione dalle mani del cardinale Carlo Alberto Guidobono Cavalchini, assistito dal monferrino Umberto Radicati, vescovo di Pesaro, e da Antonio Cantoni, vescovo di Faenza. “Benedetto XIV avrà sempre per il nuovo vescovo una grande stima, e più volte soddisferà le richieste presentate per il bene della Diocesi”.

Negli anni di episcopato, monsignor Natta “governa con prudenza, zelo e pietà, ma è specialmente grande la sua carità con tutti, anche con quelli che deve correggere e punire, i quali nel vedere il loro giudice tremare ed angosciarsi nel dover usare rigore, riconoscono essere davvero anche per loro un padre misericordioso”. Tra le opere realizzate ad Alba grazie alla sua iniziativa, la ricostruzione (con fondi personali) della cappella del SS. Sacramento in cattedrale, la nuova sagrestia del capitolo, l’ampliamento del seminario, la casa estiva (tutt’ora esistente) sulla collina di Altavilla da dove si dominano le colline langarole.

Quando Carlo Emanuele III, che più volte lo ha consultato negli affari del governo, ha occasione di indicare al Papa un proprio suddito per la porpora cardinalizia, risponde di non conoscere altri più degno di Enrichetto Natta, che in effetti Clemente XIII crea cardinale prete nel Concistoro del 23 novembre 1761.

A Casale, la notizia viene accolta con “grande giubilo, si canta un solenne Te Deum nella chiesa di sant’Antonio (…) e in altre chiese il vescovo Avogadro celebra per molti giorni solenni pontificali”. A metà dicembre il neo cardinale arriva in città, fastosa celebrazione in duomo, grande ricevimento nel palazzo Natta (da fine ‘700 proprietà Vitta) di via Trevigi, “illuminato con fanali e torchie, e con distribuzione di abbondanti elemosine ai poveri”.

La berretta cardinalizia, inviatagli dal Papa con messaggio pontificio del 27 novembre, gli è imposta dallo stesso sovrano, il 20 gennaio 1762 nella Cappella della S. Sindone in Torino, alla presenza di tutti i Principi di Casa Savoia, e di tutte le autorità civili ed ecclesiastiche della città.

Dopo l’elevazione alla porpora, continua a governare la diocesi albese. Nell’ottobre 1766 il Re vorrebbe promuoverlo alla sede metropolitana torinese, vacante per la morte del cardinale Giambattista Roero di Pralormo, ma Natta declina la proposta, forse consapevole di essere arrivato verso il traguardo terreno. In effetti, nella tarda primavera del 1768 arriva il malessere che rapidamente gli sarà fatale. Gli ultimi giorni sono descritti in una lettera che il vicario del convento di san Domenico di Alba scrive per annunciarne il decesso, dovuto ad una forma di “paralisi” della muscolatura dell'esofago, che provoca vomito e non consente alcuna deglutizione, nemmeno di liquidi. Un problema al tempo senza rimedi.

Nel penultimo giorno di vita si rivolge ai canonici della cattedrale: “E’ stabilito che io debba morire, ho timore di aver talvolta offeso Dio; a lui raccomandate la mia anima, perché sia partecipe della divina misericordia; (…) vi affido la Chiesa mia e vostra sposa, siatene veri pastori”. Il 29 giugno, giorno “pieno di dolore e di lutto”, il trapasso, dopo aver salutato i familiari: “Ecco, muoio, a che servono le dignità? Sono vanità delle vanità. Siamo polvere, terra, ombra, e torneremo polvere. Sola ci resta l’eternità. Pregate per me”. “Assai compianto”, è sepolto nella cattedrale. Nel testamento ha legati per i conventi di Garessio, Bagnasco, Bra, Torino, ma soprattutto per il suo convento di Casale.

aldo timossi -27-

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