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La chiamavano Antenisca, di Elio Gioanola
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La bicocca in cui la strega viveva stava in piedi per miracolo...
La chiamavano Antenisca e io credevo che fosse un nome da strega, perché lei era davvero una creatura fuori di tutte le regole e le consuetudini.
Era una donna senza età, sembrava vecchissima e forse lo era, si diceva che puzzasse come un caprone e certamente non conosceva l’uso dell’acqua, anche perché in casa non aveva la potabile e si serviva di un pozzo o di una cisterna che aveva nel cortile.
Abitava in fondo al paese (San Salvatore, ndr) nella strada per Valenza, dove da bambino passavo per andare nel vignotto di mio padre e la vedevo sempre perché stava fuori di casa, parlando da sola e mandando maledizioni a tutti quelli che passavano.
A me faceva paura, brutta e nera dai capelli come un mazzo di stoppa arruffata, neri anche loro anche se nessuno sapeva la sua età, che doveva essere antica come la catapecchia in cui abitava.
Mio padre, che mi portava sul sellino della bicicletta per andare nella vigna , quando arrivava nei pressi della casa dell’Antenisca pedalava più forte per non sentire l’odore di quella donna, che era terribile.
La bicocca in cui la strega viveva stava in piedi per miracolo e anch’io ricordo bene come fosse tutta storta da una parte, come la torre di Pisa che pende che pende e mai non va giù. Il più vicino a dove stava lei era il carradore, tanto preso dal suo lavoro che non si lamentava di quella puzza, perché poi lui ne faceva delle più forti ancora, bruciando le unghie dei cavalli per mettergli i ferri, e quando il vento gli portava l’odore della vicina si lamentava dicendo, “ma quando è che muori!”.
Tra i due allora si accendeva un duello a male parole, da cui a uscire vittoriosa era sempre l’Antenisca, che aveva a disposizione un vocabolario infinito di insulti, oltre ad una voce tanto acuta da superare qualsiasi ostacolo. Quando morì davvero, era un giorno d’inverno con un vento che portava la neve dappertutto, ma io non so se le fecero un funerale come gli altri, perché non ricordo di avere visto il carroccione da morti passare davanti a casa mia come tutti gli altri.
Forse la portarono al cimitero in una cassa di assi posata su un carretto da contadini. Meglio ricordo la Pascaldina, un’altra donna della stessa qualità, anche lei stracciona e spartitrice di olezzi infernali, ma meno foresta dell’altra, sempre in giro per il paese a cercare chiacchiere con qualcuno che le desse un minimo di ascolto.
Come l’Antenisca, abitava in un tugurio che una volta doveva essere stato una grossa casa che, col tempo, era in parte crollata, avanzando un paio di stanze pericolanti. Proprio accanto, separata appena da un viottolo, all’altro spargitore di puzze come il capraio Colonnone, di cui ho già raccontato qualcosa e che con la Pascaldina avere avuto un’antica e sempre viva storia di litigi.
Un’umanità ormai incredibile oggi, ma ancora viva durante la guerra e nel primo dopoguerra, della quale ho fatto in tempo ad essere testimone, non senza sentirne ancora vivo il rimpianto e la pietà: ancora c’era un’umanità assai prossima all’esistenza animale, senza assistenza e assicurazioni di nessun tipo, abbandonata ad un destino di pena senza conforti.
Elio Gioanola