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La giustizia a Casale, di Aldo Timossi
La lotta per ripristinare la Corte d'Appello - I processi in Assise - Giudice di Pace
Ancora sensazioni di notizie non positive nell’autunno 1990, dopo che l’anno precedente ha già portato l’abolizione della Pretura di Moncalvo. Ennesimo progetto di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e stavolta ipotesi di chiusura di molti Tribunali che “abbiano avuto, nell'ultimo quinquennio, un flusso di lavoro inferiore ad un certo valore X” calcolato con formula matematica! Casale rischia, e il Consiglio comunale dice un “no” unanime alla proposta, aggiungendo che si “esamini invece la possibilità di estendere la circoscrizione territoriale da Valenza a Chivasso, facendola coincidere con il Collegio Senatoriale.
Mentre a Roma si dipana la lunga discussione, anche gli Avvocati e Procuratori casalesi fanno sentire la loro voce, con argomentazioni di natura storica e territoriale, sperando - scrive Gian Carlo Curti, Presidente dell’Ordine - “possa validamente contribuire non solo al mantenimento del Tribunale di Casale, ma a giustificarne un’estensione territoriale”. L’ipotesi comune, è che la competenza possa estendersi ai confini del Collegio senatoriale Casale-Chivasso: più abitanti, più cause, più realistico andare oltre il citato valore X!
Passa un decennio tranquillo, udienze e sentenze in Tribunale e, per i reati più gravi, nella sezione di Corte d’Assise, illo tempore ospitata nel salone adiacente il chiostro di Santa Croce. Una storia, quella d’Assise, che meriterebbe un lungo capitolo a parte per dire di tanti processi per gravi crimini successi nel territorio casalese e in quelli attigui di competenza della Corte, più di quanti s’immagini se solo si scorre l’archivio del giornale. Ma c’è il problematico “diritto all’oblio” che non consente di diffondere precedenti giudiziari delle persone, e ci sono i regolamenti del Garante della privacy che trattengono il cronista dal pubblicare per esteso anche solo i nomi di persone coinvolte in incidenti stradali!
Nell’Assise di Casale si sono trattati tanti omicidi e tentati omicidi, già dall’inizio secolo: gente uccisa a Pontestura nel 1913 e Casale nel ’21 (due morti durante una rissa tra simpatizzanti fascisti e di sinistra), 17enne assassinato con 70 coltellate nel 1975 a Franchini di Altavilla; padri e madri che uccidono i figli (Treville 1958 e Bassignana 1984), un figlio che uccide il padre (Montemagno nel ’50), un nipote che sopprime gli anziani zii di Varengo nel ’90; delitti passionali oggi etichettati come femminicidi: nel ’54 a Vignale, dieci anni dopo a Murisengo, nel ’74 a Moncalvo e nel ’76 a Casale, a Casale Popolo nel 1984, nel ’96 a Bozzole. Altrettante rapine - dagli anni Ottanta passate alla competenza del Tribunale - alcune originali: filiale di Villanova della Banca di Casale e del Monferrato nel ‘57, una cascina a Pozzengo di Mombello nel ’60, tre casalesi giudicati per una trasferta nel ’67 a Villadossola con rapina ai danni di una contrabbandiera, Ufficio postale di Coniolo nel ’73 (storia alla Bonny e Clyde), lo stesso anno ben 19 imputati per atti osceni e rapine ai danni di “alcuni omosessuali che gironzolavano per Casale”, assalto al distributore Agip di Oltreponte l’anno successivo, e cosi via.
Nel 1998 ecco qualche fibrillazione per l’abolizione della Pretura: dal gennaio 2000 anche a Casale competenze ed organico passano al Tribunale, e sono in parte attribuiti al Giudice di pace, un tempo il “giudice conciliatore”. L’Ufficio è in funzione dalla primavera ’95 a Casale; quasi contemporaneamente aprono anche Moncalvo, e Trino dalla fine anni Novanta, entrambi aboliti dal 2012, con Valenza, Mede, Mortara. Si tratta di un magistrato onorario, in genere un avvocato che giudica al di fuori del circondario nel quale esercita la professione (il decano degli avvocati casalesi, Marco Gatti, ha svolto tale incarico a Cuneo).
Non hanno esito tentativi di far tornare in città la Corte d’Appello, magari come sezione distaccata di Torino. Ci prova nel 2006 il senatore Muzio, ipotizzandone la competenza addirittura estesa alle le province di Asti, Alessandria, Vercelli, Biella e Novara. Ci prova un apposito Comitato presieduto da Curti, che in qualche modo accusa di boicottaggio i vicini Alessandrini, e tra l’altro è anche buon profeta rispetto al Tribunale, nel sostenere che, “se non si bloccano progetti di revisione, la sede di Casale, stretta fra i tre tribunali maggiori e di Provincia (Asti, Alessandria e Vercelli), purtroppo salterà”.
In effetti, nonostante appelli, proposte (accorpare a Casale il circondario giudiziario di Chivasso) e manifestazioni (compreso un sit-in di sindaci indetto dal primo cittadino casalese Giorgio Demezzi nel giugno 2012, e una manifestazione dei Sindacati, un mese più tardi, in Piazza Mazzini), due decreti legislativi del settembre 2012 stabiliscono la soppressione di 31 tribunali e delle relative procure della Repubblica; con Casale - accorpato a Vercelli dal 13 settembre dell’anno successivo - spariscono in Piemonte anche le sedi di Acqui, Mondovì, Pinerolo, Saluzzo, Tortona, e nel vicino territorio lombardo Vigevano e Voghera (trascineranno con sé, come detto, i Giudici di Pace). Giocoforza che, non avendo più il Tribunale, la città debba salutare anche la Corte d’Assise, da parecchi anni inattiva (un bene, evidentemente nel Casalese non si sono registrati gravi crimini), risalente al 1738, con il Senato che di fatto era una Corte d’Assise, confermata sempre con il titolo di Senato nel 1837 da Carlo Alberto, riconfermata dopo l’Unità con la legge 6 dicembre 1865, n. 2626.
Ultimo tentativo per la riapertura del Palazzo di Giustizia, nel dicembre 1922, con una mozione unanime del Consiglio comunale: “Non ci illudiamo, ma vogliamo provarci” commenta il consigliere Fabio Botteon, estensore del documento. Intanto, il “reverendus ac magnificus” Senato del 1470 è oggi “compresso” a Casale in poche stanze di Via Provvidenza 9, borgo Ala, sede del Giudice di Pace. Un Tribunale è rimasto, quello dei “diritti del malato”, all’Ospedale!
aldo timossi (7 – fine)
I MIEI RICORDI
Ho seguito molti processi in Assise tenendo conto che inizialmente finivano davanti a questa Corte anche i responsabili di reati come le rapine o il vilipendio alle forze armate. Il pubblico entrava da una porticina in via Roma dribblando un fioraio, i giornalisti dal chiostro di Santa Croce e spesso incrociavano gli imputati che arrivavano sul macchinone (di solito un Alfone) del ‘traduttore’ (un civile) e dovevano seguire i carabinieri ammanettati con gli schiavettoni (catenella e vite) fino alla gabbia della sala udienze. I giornalisti erano di fronte col vantaggio, in tempi invernali, di godere del tepore di una vicina grande stufa a legna.
Dominava l’aula su uno scranno il presidente, nel nostro caso il giudice Giacomo Porta, in tocco, al suo fianco carabinieri in alta uniforme. Con lui non volava una mosca, come secondo giudice di solito aveva a fianco Paolo Velletri; tra i P.M ricordo Piero Poggi e Goretti. Nei tempi morti in attesa della sentenza si poteva passeggiare in quella che oggi è la manica lunga della pinacoteca (aveva un bel lucernario, abolito nel restauro); prima dell’aula di udienza erano depositati, meglio accatastati migliaia di libri, di sentenze, mi è rimasta impressa una che riguardava i principi Borromeo sul Lago Maggiore a riprova della passata (già allora) importanza dei nostri organi giudicanti. Poi Topi (l’usciere, con lunga mantella nera) con voce stentorea annunciava “In piedi entra la Corte…”.
Luigi Angelino
FOTO. Un processo in Assise del 1976, presiede Porta, al suo fianco Velletri-