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Prelati: Gian Giorgio Paleologo
Vescovo di Casale nei primi decenni di vita della diocesi - Di A. Timossi
Ricordato il più delle volte solo come l’ultimo dei marchesi Paleologi di Monferrato, Gian Giorgio fu anche vescovo di Casale nei primi decenni di vita della diocesi. Nasce nel castello di Trino – una delle tante residenze marchionali fin dalla seconda metà del ‘200 - il 20 gennaio 1488, dall’anziano (64 anni) marchese Bonifacio III e dalla giovane terza moglie Maria Branković di Serbia.
Ancora bambino, perde entrambi i genitori. Essendo il fratello maggiore Guglielmo destinato alla successione, probabilmente pensando all’ottima carriera dello zio cardinale Teodoro, gli si prefigura un futuro nell’ambito della Chiesa. Intanto riceve in feudo i castelli e luoghi di Mombello e Morano. Appena ventenne, Papa Giulio II lo nomina protonotario apostolico nonché abate e commendatario della ricca abbazia di Lucedio.
Nel 1510, la svolta. Il primo vescovo di Casale, Bernardino Tibaldeschi - nominato nel maggio 1474 benché, essendo ventiquattrenne, non disponesse né dell’età canonica, né dell’esperienza necessaria - chiede al Pontefice un coadiutore. Ecco entrare nei saloni del Vescovado il giovane Gian Giorgio. Forse - annota qualche storico - ha ricevuto solo gli Ordini minori, come abate di Lucedio, forse nemmeno quelli. Alla morte di Tibaldeschi, nel 1517, papa Clemente VII lo nomina titolare della cattedra evasiana. Non c’è notizia di una consacrazione ufficiale, e in proposito si può citare il De Conti, che nelle sue cronache lo definisce sempre solo come “eletto”. Svolge comunque “con dignità il proprio esercizio pastorale, annoverando tra i provvedimenti adottati l'emanazione di alcuni atti riguardanti la riforma dei costumi del clero al fine di affermare una condotta di vita esemplare”. Ad essere messi in riga sono soprattutto i canonici della cattedrale! Si occupa, come i suoi predecessori, del Santuario di Crea, retto da canonici lateranensi, “e perché venisse servito con maggior decoro, unì alla di lui giurisdizione la chiesa di Pontestura”. Riforma la confraternita di san Pietro, concedendo “grazie e privilegii”.
Passa appena un anno, e il 4 ottobre 1518 rende l’anima a Dio il fratello, marchese Guglielmo. Successore è l’unico figlio maschio Bonifacio, 6 anni, e la reggenza è affidata alla vedova, Anna d’Alençon, cui si affianca monsignor Gian Giorgio. Di fatto, la marchesa e il cognato “con assai prudenza reggono le urgenze del Monferrato , e ordinano li pubblici interessi (…) con modestia ed esemplarità di vita, Anna rendevasi cara e rispettata da tutti”. A rendere più pesanti le giornate del vescovo, oltre alla cattedra vescovile e al governo marchionale, c’è anche la preoccupazione per un infante, Flaminio, nato da una relazione con una donna di “bassa condizione”. Tempi difficili, con il Monferrato a rischio durante il contrasto fra Impero e Francia, e sotto l’occhio malizioso dei Savoia. Con la politica s’intrecciano le complesse vicende familiari di casa D’Alençon. La figlia Maria, 8 anni, è sposa del diciassettenne Federico II Gonzaga, ma dopo attese e vicende poco chiare (compreso un presunto complotto) il matrimonio finirà con una sentenza pontificia di annullamento; quando il rapporto si riaggiusterà, ormai Maria sarà nel mondo dei più, e toccherà alla sorella Margherita impalmare il Gonzaga nell’ottobre 1531.
Tornando a Gian Giorgio, stanco di dover badare a troppi impegni, il 12 gennaio 1525 depone le insegne ecclesiastiche per essere più direttamente “apud negotiis”, vicino agli affari del Marchesato, compito ancora più impegnativo dal giugno 1530, con la morte del giovane Bonifacio, caduto da cavallo durante una caccia al cinghiale nella tenuta di Torcello. La nobiltà casalese lo vorrebbe sposo della madre naturale del figlio Flaminio, che così sarebbe riconosciuto erede del titolo, ma prevale ovviamente un pressante invito (!) dall’imperatore Carlo V perché prenda in moglie Giulia d'Aragona, figlia del defunto re di Napoli Federico e di Isabella Del Balzo. Le nozze si svolgono per procura il 29 marzo 1533 a Ferrara, dove Giulia vive esule con la madre. A Casale e in tutto il Monferrato si preparano grandi feste, poiché si spera nell’arrivo di un erede maschio, in grado di assicurare il libero futuro del Marchesato. Quando la sposa arriva in città, dopo un viaggio in barca sul Po fino a Frassineto, il De Conti così dipinge le feste: “Andarono ad incontrarla diverse compagnie a cavallo, altre di bianco ammantate e di diverso colore, carri trionfali, archi sontuosi, sopra de' quali l'erudita gioventù spiegava il suo affetto, e la sua devozione cantando in carmi la virtù de' conjugi sovrani (…) in mezzo allo scampanare festoso, allo sparo de' cannoni, al suono di mille instromenti, fra gli evviva del popolo esultante”.
Purtroppo il consorte è in fin di vita, c’è tempo di rogare il matrimonio (21 aprile) poi Gian Giorgio si trasferisce nella residenza di Pontestura (per qualche fonte resta nel castello di Casale), e termina di soffrire nove giorni dopo. Si erano aggravati i malesseri dei quali soffriva da tempo; qualche voce parla di avvelenamento, in realtà la moderna medicina, valutando i sintomi, darà una diagnosi di etilismo e tubercolosi associati, “che hanno distrutto quel povero organismo con una enterite o con una enteroperitonite lenta”. E’ il 30 aprile quando arriva la morte. Il corpo viene esposto per alcuni giorni al pubblico, addirittura si parla di autopsia. Cambiano drasticamente i toni del De Conti: “Oh miseria umana! così vanno le cose di questo basso mondo! In questo modo passano le speranze dei mortali! Fu la regia sposa percossa da straordinario dolore, rimase in un istesso punto vergine, sposa e vedova”. La salma viene tumulata nella chiesa di San Francesco e solo a metà ‘800 trasferita in San Domenico. Con la sua morte, si estingue la linea dinastica dei Paleologi di Monferrato iniziata nel 1305 (il figlio naturale Flaminio non sarà riconosciuto come erede) e la crisi dinastica sarà risolta nel 1536 dall'imperatore Carlo V, con la concessione del Marchesato al duca di Mantova Federico II Gonzaga, che aveva sposato Margherita.
aldo timossi