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Peste e altre epidemie - di Aldo Timossi
Il contagio del 1630 reso famoso dal Manzoni (Quel Maledetto Casale...)
Si racconta che la grande (“magna”) peste nota come “di Giustiniano” sia durata quasi mezzo secolo, iniziando nel 543 dopo Cristo. “Mortalitas magna Italia, solum devastat” scrive Procopio di Cesarea, descrivendo uno dei maggiori flagelli che abbiano percosso l’umanità. Passa quasi mezzo millennio. Anno 985, “mancano per lungo tempo le pioggie: peste e fame in Italia". N’ebbe allora la colpa il Pontefice Giovanni XV "per la molta sua superbia e ingordigia”, leggiamo sugli “Annali delle epidemie” del 1865.
E’ probabile che tanta rovina sia stata subita anche dalle genti del Monferrato, che comunque in fatto di epidemie varie ha una propria storia, come leggiamo nelle vecchie cronache locali (De Conti, Ghilini, Irico).
Siamo intorno al 1085-6, territori deserti, distese non coltivate, grande carestia. Si diffonde in Italia il “fuoco sacro” o “fuoco di Sant’Antonio”, in medicina ergotismo, che colpisce anche il Piemonte e il Monferrato con “grande mortalità”. Di una “peste acerbissima” scrive Irico per il 1125-26 e il 1147. Probabile contagio anche nel 1177, 1190 (la zona verso Alessandria) e 1196 (riduce a morte soprattutto i giovani).
Ancora casi di peste nel 1259, mentre nel 1273 si registrano casi di vaiolo, che nella vicina Lombardia fa strage di bambini di età “da un giorno a cinque anni” e dura per molti mesi. Nello stesso anno il cronista annota grande mortalità di galline e di buoi.
Parte da Roma e si dilata poco a poco in tutta Italia la peste del 1305, che dura per tre anni interi, con il risultato che in alcune regioni “d'ogni mille persone ne rimasero dieci”! Nove anni dopo, specialmente a Casale serpeggia “un pernicioso influsso di febbri putride attaccaticcie, per il quale morirono molte persone, massime di fresca età”.
Subita la “peste nera” che dal 1347 fa strage in Lombardia, Toscana e Romagna, il Monferrato ne viene investito l’anno dopo, e non sfugge alla peste inguinaria del 1360-61. Stavolta è proprio un monferrino a diffondere indirettamente il morbo, che ha seguito i cavalleggeri (la cosiddetta Compagnia Bianca) assoldati dal marchese Giovanni II di Monferrato in Provenza – dove l’epidemia infuriava – per condurli contro Galeazzo Visconti.
Indirettamente sappiamo dell’epidemia scoppiata nel 1385/86. In quel tempo, c’è una taglia di 5 lire pavesi per ogni lupo catturato. L’animale infesta i boschi del Casaleseed entra in città (probabilmente non cinta di mura), attirato “dall'odore dei cadaveri, o lasciati insepolti, o malamente seppelliti a cagione dell'epidemia”.
Appena voltata la pagina di un secolo travagliato già parecchio dalle carestie, subito si ripresenta la pestilenza, che fa strage nel Monferrato e nel Milanese. Tra le vittime, nel gennaio 1402, anche Giovanna di Bar, moglie del marchese Teodoro II Paleologo, ed in settembre il Duca di Milano, Gian Galeazzo Visconti, che inutilmente si è rintanato nel castello di Melegnano. Con alti e bassi, il morbo si ripresenta fino al 1416.
Riappare nel 1431, dopo una lunga diffusione iniziatasi due anni prima nell’Italia meridionale, quindi per un paio di decenni è tregua, tornando a far vittime nel biennio 1450/51, poi nel ‘77/79 quando è particolarmente pesante nell’Alessandrino. La virulenza del morbo, accompagnato ad abundantiam da “febbri maligne ed altre malattie mortali”, è spesso giustificata – scrive Ghilini - con la “mala disposizione dell’aria, e la straordinaria qualità di simili tempi, estremi calori e freddo nell’estate, eccessivamente freddo” l’autunno. Fa la sua comparsa, specie in inverno quando ci si lava di meno, il tifo petecchiale, che nei casi più gravi porta alla morte dopo una breve periodo di febbre molto alta. Proprio nel 1478 nasce a Casale l’”Ospedale degli Infermi sotto il titolo di S. Spirito”, su preghiera di Guglielmo VIII di Monferrato a Papa Sisto IV, per accorpamento dei beni dell'ospedale di S. Maria delle Grazie e delle Confraternite di Santo Spirito
Ancora la peste si accompagna alla carestia nel 1484, e provoca una vera e propria strage nel 1503, quando – narra Ghilini - “nella città di Casale ne morirono per quello morbo più di quindici mila”. Immaginabile la ripercussione sui piccoli paesi, alcuni dei quali è verosimile si riducano a un pugno di famiglie. Il contagio se ne va – scrive De Conti – allorchè i fedeli di Casale e del circondario si raccomandano a San Defendente, una cui reliquia è conservata nella chiesa di Santa Croce, portando offerte al santo e istituendo la “solenne celebrazione della sua festa il 21 gennaio”.
Altrettanta moria, per l’epidemia del 1522-24 – sono gli anni della guerra franco-spagnola - estesa a mezza Italia, da Roma verso nord. Colpisce duro nell’Alessandrino, che a detta del Ghilini resta “quasi spopolato”. E le stesse zone ne sono investite qualche anno dopo, quando per la grandissima mortalità, aggravata dalla carestia, nelle campagne vi sono cadaveri insepolti ovunque, destinati a “cibo per i lupi”. A Casale viene istituito nel 1527 il “Pio Istituto della Misericordia, per "provedere et sovenire alle gravezze occorse per la guera, peste et saccheggiamenti di pessima gente dispensando essi beni nell'uso de' poveri".
Nel ’29 gli investigatori dell’epoca individuano alcune persone accusate di “unzioni pestifere ed altre malefatte”, e il commissario marchionale li condanna a morte. De Conti ce ne da l’elenco, pur in modo un poco incerto: “Zannino de Zacconi di Fubine, detto Cadula Agostino, del Borgo, Marchetto Patesio detto Paganino, Guglielmo di Langosco, Pietro Gemone, e Gioanni Antonio del Bosco di S. Salvatore”. Protestano i sindaci, affermando essere loro compito giudicare e condannare, e il gruppo è salvo.
A Casale la peste riprende virulenza nel 1536. Narra il filosofo-medico-matematico Gerolamo Cardano (da lui prende nome il giunto cardanico!), che la colpa è attribuita “ad una congrega di circa 40 tra uomini e donne, che fatto avea certo unguento” con il quale hava imbrattato le porte, aggiungendovi una polverina gettata sulle vesti degli ignari passanti. Scoperta la congiura, i colpevoli sono torturati e messi a morte, avendo tra l’altro confessato che in occasione di una festa avevano stabilito di uccidere tutti i cittadini, ungendo gli scanni su quali si sarebbero seduti, e avendo già pronti a tale scopo oltre venti contenitori della pestifera mistura.
Il ciclico ripresentarsi della peste, non impedisce ovviamente il diffondersi di altre epidemie. Così nel 1580, allorchè tra giugno e luglio i Casalesi sono costretti a letto da “febbre e freddo, mal di gola, e nello stomaco, con tosse e mal di capo, e non eravi casa che non fosse attaccata, e questo male lasciava la gente molto debole, ma non bisognava cavar sangue”! Il cronista di ieri lo definisce “male della spluna, ossia mal del vino”, non letale, quello di oggi non sa come tradurlo! Passano appena cinque anni, e nella primavera ecco decine, forse centinaia di vittime, in maggioranza bambini, a causa del vaiolo cui si aggiunge la dissenteria (La Confraternita che si occupava a Casale degli appestati era quella di San Michele, ndr)
Curioso il diffondersi della pestilenza nel 1599, tra Astigiano e Casalese. Si dovrebbero evitare luoghi affollati, addirittura sbarrare le porte delle città, ma il duca Carlo Emanuele (non a caso definito come il “ladrone sabaudo”) ordina di tenere nascosta la notizia del morbo, che ha già percorso le vie di Torino. Tanto silenzio, perché si sta per svolgere l’annuale fiera di Asti, cui a seguito di ordine ducale devono recarsi in massa i mercanti torinesi, dai quali il Savoia dovrà “cavar quella somma di denaro, che per molti mezzi è solito di procurarsi, non dovendo per ciò valer loro la scusa di non haverne, stante il non poter trafficare”. Con le merci si sposta anche il contagio, essendo “la peste poco ossequiosa alle voglie del Principe”.
Altro “annus horribilis” il 1614. Sta iniziando la cosiddetta prima guerra del Monferrato, conteso tra Savoia e Spagnoli. Il “fiero morbo” toglie dal numero dei viventi “molte migliaia di persone”, ed il Monferrato è quindi stretto da una cintura di sicurezza, chi tenta di uscirne viene incarcerato.
Passata nell’aprile 1623, senza eccessivo danno una “febbre maligna” che pure miete molte vittime, Casale ed i paesi intorno vivono nel 1628/31 l’occupazione spagnola, cui fa da contorno una “mortifera contagione”, ed ogni giorno si contano molti morti, mentre i vivi temono la “totale desolazione”.
Per Trino, lo storico Silvino Borla calcola che nel 1630 muoia un terzo della popolazione. Per l’intera Italia si stimano 1,5 milioni di vittime. E’ la peste resa famosa dal Manzoni nei “Promessi sposi”. con la citazione del ''Maledetto Casale" sotto assedio che non voleva arrendersi "mai" (e a Casale il lazzaretto era sorto nella attuale area occupata dal Commissariato e dal Sobrero, ndr).
Altro contagio nel 1638, nell’Alto e Basso Monferrato, che resta “quasi spopolato”. A Casale la situazione è migliore perché la città ha chiuso strade e porte di accesso, ma ottto mesi di quasi isolamento porteranno la popolazione ad una “fame arrabbiata.
Decisamente più tranquilla la situazione, in città e nei paesi vicini, nella seconda metà del Seicento, fatta eccezione per un “fierissimo contagio”, non meglio descritto, nel 1650/51 e nel 1653, che porta alla tomba “gran quantità di gente”, ed un “mal contagioso”nel 1655, durante il quale “s’infermano e muoiono molti cittadini”.
I progressi igienici del ‘700, facendo diradare topi e pulci, ci offrono la visione di un secolo meno infausto. In compenso altre pesanti malattie interessano Casale. Merita ricordare l’epidemia intorno al 1740-42, con “febbri infiammatorie e maligne,che fanno qualche strage anche ne' paesi vicini”, e nel 1784 “il maligno influsso di febbri putride, che hanno la qualità contagiosa, onde molti, massime di mezza età, muoiono, ed il vaiolo – che tornerà quattro anni dopo - altresì fa grande strage di fanciulli”.
L’Ottocento vede il rapido evolversi della medicina nei campi della fisiologia, terapia, patologia, diagnostica. A fine secolo verranno scoperti i microorganismi responsabili di molte infezioni, dalla malaria alla polmonite pneumococcica, dalla difterite alla peste. Si parla di prevenzione di queste malattie. Nasce quindi l'igiene pubblica. Purtroppo, debellate quasi del tutto le grandi epidemie, prendono corpo altre “pesti”, e basta dire del mesotelioma legato alla produzione dell’eternit.
aldo timossi
FOTO. Assedio del 1630, grande portatore di peste