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Prelati monferrini di Aldo Timossi (54)

Giovanni Ferrofino, arcivescovo diplomatico sepolto a Quargnento

  

Oggi sappiamo che Pio XII si occupava della persecuzione degli ebrei quasi quotidianamente. Gli erano stati presentati tutti i rapporti e aveva creato un proprio ufficio all'interno della Segreteria di Stato, dove il personale doveva occuparsi esclusivamente di tali questioni (…) possiamo stimare che salvò personalmente circa 15 mila ebrei attraverso i suoi sforzi personali”. E’ il recente giudizio dello storico tedesco Michael Feldkamp, che si occupa da parecchi anni della ricerca su Papa Pacelli, quindi corregge supposizioni o addirittura accuse nei confronti del Pontefice e del suo presunto "silenzio" sull’Olocausto.

Ciò che in questo importante capitolo della storia contemporanea, ben poco si legge, quindi ben poco si valuta, almeno in patria (nemo profeta…) è il ruolo avuto da un prelato alessandrino, Giovanni Ferrofino. Poche informazioni sui giornali locali, qualche rilievo, su “Il Piccolo” del novembre 1961, con una fotonotizia in occasione della nomina ad arcivescovo. Nel dicembre 2010, “Il Monferrato” pubblica un “Viaggio d’autore” di Luigi Angelino e Dionigi Roggero; sono a Quargnento, nella cui cattedrale c’è il sepolcro di Ferrofino, finalmente citato come “l’arcivescovo che ha salvato diecimila ebrei” (ma prima eravamo stati a San Michele ricevuti dal parroco don Ivo Piccinini, nota di Angelino).

Il futuro collaboratore di Pio XII nasce a San Michele di Alessandria il 24 febbraio 1912. E’ ordinato presbitero il 22 settembre 1934 dal vescovo Nicolao Milone. Un paio d’anni di gavetta come viceparroco a San Lorenzo di Alessandria, quindi a Roma, alla prestigiosa Pontificia Accademia Ecclesiastica, istituzione vaticana che cura la preparazione dei sacerdoti destinati al servizio diplomatico della Santa Sede. Nel 1939 la laurea in diritto civile ed ecclesiastico, con una tesi sull’antica avvocazia dei poveri di Alessandria, istituita nel 1669 per legato testamentario dell’abate Cesare Feruffini, e che sarà soppressa tre secoli dopo.

Subito un impiego alle dipendenze della Segreteria di Stato, per un futuro all’estero, come addetto alle rappresentanze pontificie in mezzo mondo. L’inizio rappresenta una vera e propria prova del fuoco. Antefatto. Nella primavera 1939 al transatlantico St. Louis, con oltre 930 profughi ebrei provenienti dall’Europa, è stato negato il permesso di attracco a Cuba e poi negli Stati Uniti; il “viaggio dei dannati” deve tornare sulle coste europee, sbarcando i passeggeri in diversi porti ed evitando loro la cattura da parte tedesca. Il Pontefice, colpito da tanta crudele insensibilità da parte degli USA (cauti, non essendo ancora entrati in guerra), per evitare comunicazioni scritte che potrebbero finire in mani nemiche, si affida alla diplomazia di Ferrofino. Lo convoca in udienza - sarà lo stesso prelato a raccontare, in una intervista del 2008 - e gli da mandato di raggiungere le Nunziature di Lisbona e Madrid, per capire se si sta lavorando con impegno per consentire in Portogallo e Spagna l’ingresso degli ebrei in fuga, favorendone poi l’espatrio: “come possono non capire gli spagnoli, come possono non capire i portoghesi che dobbiamo salvare più persone possibile?” è la preoccupazione di uno sdegnato Pio XII, che accompagna l’esclamazione “battendo la mano sul tavolo”.

All’alba del 1940, Ferrofino s’imbarca sul “Serpa Pinto”, un vecchio naviglio appartenuto all’impero austro-ungarico, che salpa per le Americhe. A bordo, “800 ebrei e 7 cattolici, uomini e donne”. Destinazione Bermuda, con la speranza di poter poi arrivare a New York. Ad Haiti alloggia nella Nunziatura, affidata a monsignor Maurilio Silvani. Da quel momento e fino al 1945 due volte l’anno la delegazione apostolica riceverà dal Vaticano un telegramma cifrato, con precise istruzioni di intraprendere un viaggio (un giorno e mezzo) per incontrare il generale Rafael Trujillo, presidente della confinante Repubblica Dominicana. Devono chiedere, a nome del Papa, circa 800 visti per gli ebrei ogni volta. Da lì sarebbero transitati per Cuba, quindi trasferiti negli USA, anzitutto Florida, Canada e Messico. Questo accadrà dal 1940 al 1945. Seguendo le istruzioni dirette di Pio XII, si salvano più di 10.000 ebrei.

Nel dopoguerra prosegue l’attività pastorale e diplomatica, spesso all’estero: Antille, Washington, Berna, Tokyo. Del tutto feconda l’attività in Brasile, con il passaggio da 120 a 160 diocesi, la creazione della Conferenza episcopale latino-americana, l’organizzazione del congresso eucaristico internazionale nel 1955. Da Rio de Janeiro passa a rappresentare la Santa Sede presso le Organizzazioni internazionali di Ginevra. E’ l’8 febbraio 1960, quando viene trasferito ancora ad Haiti, questa volta come Nunzio. Il 28 ottobre 1961, l’elevazione ad arcivescovo titolare della sede di Zenopoli d’Isauria (identificabile con Isnebol nell'odierna Turchia) e il successivo 26 novembre, la consacrazione da parte dell’arcivescovo di Cesarea di Filippo, Armando Lombardi, co-consacranti l’arcivescovo Hélder Pessoa Câmara (“il vescovo delle favelas”) e il vescovo di Cap-Haïtien, Albert-François Cousineau.

Assai difficili gli anni trascorsi ad Haiti, dove proprio il 1960 segna la crescita del conflitto tra Chiesa e Stato. A fine anno il presidente François Duvalier ordina l’espulsione di un vescovo accusato di connivenza con l’organizzazione studentesca comunista che cerca di rovesciare il governo. L’anno successivo viene chiuso il giornale cattolico “La falange”, poi si registrano l’arresto e l’espulsione di 25 sacerdoti e 20 religiosi. A questo punto è guerra aperta con la Santa Sede, Giovanni XXIII dispone la scomunica Duvalier e ministri. Monsignor Ferrofino denuncia un certo laissez-faire da parte degli USA, che non mancano di far arrivare aiuti economici ad Haiti; esprime le sue perplessità all’ambasciatore americano: “ogni volta che date soldi agli haitiani, loro la prendono come un segno che possono fare quello che vogliono”! E’ il caso dell’espulsione dal Paese di molti religiosi della Compagnia di Gesù.

Nell’autunno 1965, mentre sta per concludersi il Concilio vaticano II, Santa Sede e Haiti fanno le prime prove di dialogo. Negli stessi giorni arriva per Ferrofino il trasferimento a Quito, in Ecuador. Pura combinazione? Gesto di buona volontà da parte di Roma nei confronti di Duvalier? Forse, indagando nell’archivio vaticano (non più “segreto”) qualche storico potrà capire meglio. Resterà in Ecuador fino a Settembre 1970, quando le malferme condizioni di salute lo costringeranno a presentare le dimissioni. Tribolata, vivace, fruttuosa carriera, nel corso della quale il valore del prelato-diplomatico è stato riconosciuto con ben tre prestigiose onorificenze: l’“Ordem Nacional do Cruzeiro do Sul” del Brasile, la Croce dell’”Orden Nacional de San Lorenzo” dell'Ecuador e l’”Orden de Isabel la Católica” di Spagna.

Il 20 dicembre 2010 è chiamato a celebrare la liturgia del cielo nella Casa del Padre (la morte lo coglie alla cascina Guastavina di San Michele, ndr). Lo Yad Vashem Holocaust Memorial di Gerusalemme ne onora la memoria, per l’aiuto nel salvare così tanti ebrei durante l'Olocausto, dichiarandolo "Giusto tra le nazioni". Il 24 giugno 2012 il feretro dell’arcivescovo emerito è trasferito nella basilica di San Dalmazzo a Quargnento.

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