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Prelati monferrini, di Aldo Timossi (22)

Gerolamo Francesco Malpassuto per otto mesi, nel 1727, vescovo Vercelli

Un episcopato brevissimo, dopo una sede vacante lunghissima.

E’ il caso della diocesi di Vercelli ad inizio Settecento, allorché il casalese monsignor Gerolamo Francesco Malpassuto – per qualche fonte “Malpasciuti”, forse tentando di immaginare una derivazione originaria - occupa per poco più di otto mesi, nel 1727, la cattedra eusebiana, libera dal maggio 1700 dopo la morte del vescovo Giuseppe Antonio Bertodano.

Del casato Malpassuto si han notizie certe dal XIII secolo. Flavio è priore della badia tortonese di San Fortunato a metà secolo, il fratello Alberto è signore del marchesato di Montiglio e da lui, dopo non poche generazioni, ecco nascere nel 1656 Gerolamo Francesco. Ordinato presbitero il 27 maggio 1679, inizia la propria missione nella cattedrale di Casale. Eletto prevosto della collegiata, nel 1701 viene scelto dal nuovo vescovo Pietro Radicati come suo vicario generale. In tale veste ha tra l’altro ruolo importante nel passaggio del Monferrato ai Savoia.

In breve. Concluso l’assedio di Torino con la sconfitta dei francesi, il duca Vittorio Amedeo II deve neutralizzare la residua potenza militare avversaria rifugiata a Casale, città che stringe d’assedio nell’autunno 1706. L’Imperatore gli ha garantito tra anni prima, un po’ sottobanco, il possesso del ducato monferrino, ma deve conquistarne la capitale in mano francese, quindi intima al presidio militare la resa o parleranno le artiglierie. Una sorta di consiglio di guerra s’insedia nel palazzo vescovile, volentieri messo a disposizione dal vescovo Pietro Secondo Radicati.

Con il Duca, accompagnato dal principe Eugenio, trattano tre delegati: il marchese Gerolamo Natta, il marchese Giacinto Grisella e il vicario generale Malpassuto, esso pure indicato con il titolo di marchese.

Dalle cronache del De Conti sappiamo che inizialmente sono trattati con “grande alterigia”: “o cacciate i francesi dalla città, o entriamo con la spada alla mano e diamo il sacco per tre giorni”. All’ultimo vertice partecipa con pieni poteri il vescovo in persona, s’immagina accompagnato dal vicario; preso atto della durezza sabauda, chiede e ottiene un “buona capitolazione” del presidio francese e della città, che viceversa “avrebbero di molto sofferto”. Il 18 novembre il duca Vittorio Amedeo entra in città, abbandonata dai francesi il giorno prima.

Con gli accordi di Utrecht del 1713, si formalizza il passaggio ai duchi di Savoia dell’ormai ex gonzaghesco Monferrato e di altre terre, tra cui Alessandria, Valenza, parti del territorio milanese come la Valsesia e la Lomellina. Alla casa sabauda è inoltre assegnata la Sicilia, e con essa il titolo di re per Vittorio Amedeo, che forte di tale titolo aumenta lo scontro con la Santa Sede per il diritto di nominare vescovi e abati, diritto concesso nel 1452 da papa Niccolò V ma disconosciuto dai successori. In Piemonte il blocco delle nomine interessa da tempo una decina di diocesi, tra queste Vercelli. Finalmente nel 1727 c’è accordo e il 23 giugno arriva la promozione per monsignor Malpassuto, scelto dal Savoia per il vescovado eusebiano. Difficile immaginare se e con quale illuminazione lo Spirito Santo intervenga in tali nomine; in qualche giudizio apologetico - citato dallo storico Rinaldo Bertolino in alcune profonde “ricerche sul giuramento dei vescovi” del 1976 - si legge di “sacerdoti chiari per scienza e per virtù, esemplari teologi”, di certo “devoti sudditi”!

A tal proposito, dopo la consacrazione presieduta il 16 novembre dal cardinale Benedetto Erba Odescalchi, arcivescovo di Milano, per poter esercitare il ministero il buon vescovo deve sottoporsi ad una incombenza, il giuramento di fedeltà a Vittorio Amedeo. Lo presta il 18 novembre, presso la reggia di Venaria: “Io Gerolamo Malpassuto, per la grazia di Dio e della Santa Sede apostolica vescovo di Vercelli, di mia propria volontà, certa scienza, e matura deliberazione, avendo avanti gli occhi li santi evangeli, prometto e giuro la fedeltà ligia, et omagio, che io devo a Vostra Sacra Real Maestà (…) che sarò sempre fedele a V.M. ed ai suoi reali successori…”.

Purtroppo la fedeltà, alla Chiesa ancor prima che al sovrano, dura poco. Malpassuto conclude il breve lavoro nella vigna del Signore il 9 agosto 1728, all’età di 72 anni.

aldo timossi

22-continua-precedente Pio Bonifacio Fassati