Notizia »
Matasco nella storia di Trino e Morano
Nei pressi dell'attuale autodromo - Di Aldo Timossi
C’è un luogo, a metà strada fra Trino e Morano Po, che nel corso dei secoli, anzi, dei millenni, pur ristretto ha fatto la storia di quelle Terre di Vercellese e Casalese, che gli Aleramici ebbero a riunire nell’unico confine del Marchesato monferrino. E’ il Matasco, campagna risicola, a due passi dell’ormai disabitata cascina Castellaro, che ancora oggi si ricorda per l’esistenza di un vecchio mulino ad acqua.
Queste zone di confine, figurano in Piemonte tra quelle di più antico insediamento umano. Tralasciamo gli abitanti del lontano Paleolitico inferiore, che anche recenti ritrovamenti sui rilievi a nordovest di Trino - ben documentati da utensili, come percussori e lame, patrimonio del locale Museo Civico “Gian Andrea Irico” - segnalano come presenti circa 200mila anni fa. Diamo solo un cenno alla piccola comunità insediata, intorno al 1300/1200 prima di Cristo, sotto l’altura della Costa, nel “pagus Ricodunum”, a metà strada fra Trino e l'attuale borgata Due Sture di Morano.
Ed eccoci all’inizio dell’ultimo Millennio a.C. Meteo inclemente, lunghi periodi di pioggia che hanno effetti caotici sull’idrografia di pianura. Nonostante ciò, gruppetti di stirpe celtica arrivano da nord, e trovano spazio nell’attuale territorio della Tenuta Pobietto a poco distanza dal corso del Po e della Dora Baltea, che al tempo scorre più a valle dell’attuale alveo. Siamo nel 1050-900 avanti Cristo, quello che gli storici individuano come periodo della cultura di Protogolasecca.
E’ in questo quadro storico, o poco più avanti, che probabilmente inizia la storia del Matasco. Quello che oggi è poco più di un piccolo mucchio di mattoni sul fianco della roggia Cornasso - nota a Morano come “rusa dal mulin”, passando sotto la riseria dopo aver costeggiato la “Braja”, la regione Bragida attigua alla Regione Giardino - in quegli stessi tempi doveva essere una zona abitata, pur ancora da bonificare.
A sentire i racconti degli anziani agricoltori, con le difficoltà di aratura quando ancora c’era il tiro dei cavalli, e decenni addietro qualche ritrovamento non meglio datato e di cui ebbi a discorrere con il bravo indagatore di storia e tradizioni locali Alfredo Ferrari (padre dell’attuale sindaco murandin), nonché un paio di sepolture individuate e subito ricoperte da chi scrive, in prima battuta venne da pensare all’epoca romana. Idea frettolosa, indotta sia da ritrovamenti di tale epoca, fatti nei campi intorno a Pobietto e ben segnalati e conservati dall’affittuario Nicola Canepa, sia da scavi in corso negli anni Ottanta del secolo scorso, alla “Tornalunga” di Morano, ad opera dei trinesi Silvino Borla e Domenico Molzino,
In realtà è immaginabile poter andare non poco più indietro nel tempo, attribuendo maggior vigore all'ipotesi di un “Matascum” di origine celtica. Lo può attestare il nome stesso. Fu il compianto storico casalese Idro Grignolio a suggerire la derivazione del toponimo da “matara”, il giavellotto usato in battaglia dai Celto - Galli. Conferma può derivare da un parallelo con la città francese di Maçon. In effetti, quell’insediamento nacque con il nome originale di Matisco, o “pagus Matisconensis”, fondato da una comunità di Edui, popolo gallico della Celtica, odierna zona del confine franco-elvetico-tedesco: nei secoli perse la cosiddetta “dentale”, e da Matisco divenne Maçon.
Grammatica e fonetica a parte, nulla di fantasioso che gruppi di quel popolo siano arrivati anche sulle rive di Po e Dora Baltea, insediandosi al Matasco, in un periodo intorno al sesto secolo prima di Cristo; è il noto storico Ludwic Pauli a fornircene notizia, scrivendo che avrebbero compiuto un lungo cammino, attraversando le Alpi in prossimità del valico del Gran San Bernardo, fino a raggiungere il Vercellese, l’Astigiano, la Lomellina e oltre.
Nel corso dei secoli la braida di Matasco ha vissuto tempi di pace e di guerra. Ha visto passare gli eserciti di Roma, dei Savoia, di Francia, di Spagna, di Germania. E’ stata contesa tra Vercellese e Monferrato, come proprietà dell’Abbazia di Lucedio, e per questo oggetto di protezioni da Papi e Imperatori. Da zona incolta e di palude, è diventata terra da riso e pioppeti, questi ultimi ormai confinati verso il corso del Po.
Ha ospitato, come detto, un importante mulino a tre ruote, un grande fabbricato del quale oggi s’intravvede solo un residuo di fondamenta (siamo nei pressi dell'autodromo, ndr).
Insomma, quella zona di campagna, da generazioni conosciuta come “il matasc”, può ben figurare tra i siti storici delle comunità locali.
aldo timossi
FOTO. Resti del mulino Matasco