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Il compleanno di Lucedio
Si guarda alla Francia, ai Cistercensi del monastero di La Fertè
In tema di anniversari e centenari, nel Marzo prossimo ne cade uno importante per le Terre tra Casalese e Vercellese, che meriterà di essere ben celebrato. Compie 900 anni l’Abbazia di Lucedio, una manciata di chilometri da Trino, due passi dai 600 ettari del Bosco della Partecipanza, ora gestito nell’ambito del Parco del Po piemontese.
Siamo nell’anno 1123. Impero e Papato si sono appena riconciliati con il Concordato di Worms, è finita la cosiddetta lotta per le investiture. Nel Monferrato, il marchese Ranieri degli Aleramici coglie la palla al balzo, per confermarsi amico sia dell’Imperatore (il Monferrato è feudo tedesco) che della Chiesa (già nel 1100 ha donato alla canonica di S. Eusebio di Vercelli terreni a Cornale di Camino e al Matasco di Morano). Per sancire il connubio laico-religioso, progetta di fondare un monastero nella pianura tra Vercelli e il Po, così da rinsaldare le radici in quella terra, avendo lui dimora nel castello di Trino, con qualche soggiorno a Mombello
Per gestire l’abbazia non si rivolge a ordini monastici italiani, bensì guarda alla Francia, ai Cistercensi del monastero di La Fertè. Esterofilia? Forse solo un gesto di omaggio verso il papa Callisto II, Guido di Borgogna, di cui era cognato avendo sposato la sorella Giselda.
E’ possibile che alcuni “monaci bianchi” siano già da qualche tempo in viaggio nel Piemonte - all’epoca definita ancora come Terra di Lombardia - inviati dall’abate di La Fertè, Pietro I. Hanno forse avuto notizie sull’ambiente che troveranno da qualche corrispondenza di confratelli, che nel 1120 hanno fondato l’abbazia di Tiglieto, nell’Acquese, primo nucleo cistercense in Italia.
Sta finendo la stagione fredda. Intorno a Trino, compiono sopralluoghi accompagnati dall’inviato marchionale, quindi individuano il terreno adatto per realizzare il loro cenobio. E’ nel perimetro di una precedente “curtis regia”, la “curtis Auriola” donata nel 933 al capostipite Aleramo dai re Ugo e Lotario. Proprio quello che cercano: è costume dell’Ordine aprire cenobi dove la terra è da dissodare con fatica per renderla coltivabile e adatta al pascolo. Il marchese Ranieri fa dono dell’area ai monaci, e altre donazioni farà nel 1126 e 1133. C’è una boscaglia, con prati e gerbidi, qualche palude, attigue all’ancor più estesa selva “Palazolasca”. Posto ideale per monaci abituati a vivere in zone poco abitate. Ottimo per procurarsi del buon legname necessario alla costruzione, peraltro senza spendere un soldo perché anche questo sarà donato, tre anni dopo, ai nuovi venuti.
Nasce il cenobio “nel luogo di Lucedio presso il fiume Lamporo”, ufficialmente il 21 Marzo. E’ dedicato, come tanti altri dello stesso Ordine, a Santa Maria. Poco distante, a San Genuario, è insediata una piccola comunità di frati benedettini (della cui radice i Cistercensi sono germoglio, ma tra Ordini c’è non poca rivalità). In poco tempo, trasformandosi l’esistente “villa cum castro” (abitato con fortilizio), Lucedio cresce in prosperità, con esenzioni da tasse, donazioni e proprietà.
Nei decenni successivi, nascono altre grange, quasi “figlie” di Lucedio. La prima è Pobietto di Morano Po, luogo già citato in un documento sottoscritto da Federico Barbarossa nel 1159. Più avanti arriveranno Leri, Montarolo, Ramezzana, Cornale, Gazzo; e nel ‘200, Breme, Settimo Rottaro, Sartirana. A Lucedio arriveranno nel tempo benefici da Papi e Imperatori. I monaci e loro collaboratori anche delle grange satelliti, hanno diritto senza ostacoli di pescare, pascolare animali, cacciare, transitare senza pedaggi per strade e corsi d’acqua, trasportare senza i pesanti dazi dell’epoca le mole di pietra essenziali per il funzionamento dei mulini.
Alla metà del ‘400, per le grange lucediensi, accadono due fatti nuovi, parliamo di “commenda” e di riso. La commenda significa, dal latino, affidare, e nel caso nostro si tratta di un sostanzioso beneficio ecclesiastico affidato per la prima volta a Teodoro Paleologo, già Abate del monastero di San Genuario. Quanto al cereale, il paesaggio inizia ad essere interessato dalle prime risaie e la coltivazione si estende rapidamente, tanto che alla fine del secolo sono coltivati a riso oltre 1700 ettari su 2700 totali.
A fine ‘700, dopo un periodo di forti attriti con la Diocesi di Casale per la nomina dell'abate commendatario, Lucedio viene secolarizzata e le sue grange assegnate all'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Passata l’epoca napoleonica, con la gestione del principe Borghese, nel 1818 il sistema delle grange viene acquistato dalla “Società piemontese” dei marchesi Carlo Gozzani di San Giorgio e Michele Benso di Cavour (padre di Camillo) e da Luigi Festa (affittuario del tenimento nel periodo 1806-1815). Quattro anni dopo, è diviso in lotti e Lucedio assegnata al Gozzani. La proprietà viene ceduta nel 1861 a Raffaele de Ferrari Duca di Galliera, insignito del titolo di Principe di Lucedio. Nel 1937 il conte Cavalli di Olivola, discendente di una figlia di Felice Carlo Gozzani, la riacquista. La figlia, contessa Rosetta Clara Cavalli d'Olivola Salvadori di Wiesenhoff, è l'attuale proprietaria (affiancata dal iglio Paolo, ndr).
aldo timossi
I RESTAURI
Abbiamo seguito nel tempo i restauri che hanno interessato il complesso nella parte non privata (Santa Maria). Sono iniziati con un primo lotto per le coperture (progetto ing. Vito Loprieno e arch. Andrea Megna), secondo lotto con ripristino facciate laterali e campanile (con creazione comoda scala di accesso) e terzo lotto facciata (architetti Carla Bartolozzo e Raffaella Rolfo) quarto lotto, indagine archeologica, sotterranei e abside minore destra (Rolfo). Siamo stati anche nel laboratorio “Ferrari Restauri” per ammirare il restauro di due dipinti di Pier Francesco Guala e Francesco Antonio Mayerle, pittori del Settecento ritirati a suo tempo (1987) per motivi di sicurezza dal “Principato” (erano pale d'altare) collocati in deposito alla Biblioteca di Trino.
Per completare l'informazione giova agiungere che all'entrata del complesso privato è stato creato un punto vendita di prodotti locali (in primis ottimo riso).
Luigi Angelino
FOTO. Arch. Rolfo durante i restauri del campanile