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Presuli monferrini
Vincenzo Maria Strambio (11)
Non è nativo del Casalese, nemmeno del Piemonte. Nasce a Civitavecchia, nel Lazio, ma la grandezza della figura, l’essere annoverato tra i Santi della Chiesa, l’aver avuto la sua famiglia prime radici sulla collina di Montemagno, ci consente di sentirlo come monferrino. Si tratta di Vincenzo Maria Strambio (in qualche testo e per la stessa Chiesa con il cognome Strambi), vescovo, proclamato santo nel 1950.
Leggiamo nella “Storia del Pontefice Pio 8”, edita nel 1844, che Vincenzo Maria nasce “in Civita-Vecchia il primo del gennaio 1745, da genitori milanesi, i quali avevano fermato il loro domicilio in quell' antico porto si celebre, essendo stato costruito da Traiano”. Perché “milanesi”? Dobbiamo fare molti passi indietro, a metà ‘500. Anche il Piemonte è teatro di battaglia tra francesi, alleati con il Papa, e spagnoli legati ai Savoia. Nel 1560 un drappello dell’esercito di Spagna si acquartiera a Camagna. E’ comandato da un nobile capitano Giovanni Domenico Strambios, che in paese sposa Veronica Lombardi, unica figlia di famiglia facoltosa. Hanno tre figli, tra cui Giovanni Antonio, che sarà padre di Domenico, il quale sarà padre del “nobile” Giovanni Battista. Questi, sposo a Laura Carbonazzi, di Felizzano, sarà tra l’altro genitore di Antonio Francesco, che coniugato con la nobile Felicita Sacchi, sarà padre di Giuseppe, nato a Refrancore nel 1716, e da ciò quel “milanesi” attribuito alla famiglia: all’epoca, anche Refrancore è soggetto agli Sforza di Milano.
Giuseppe si trasferisce a Civitavecchia con la “eccellente sposa” Eleonora Gori, e con l’attività di chimico-farmacista ha vita abbastanza agiata. Una lunga, forse un tantino romanzata biografia opera del passionista padre Joachim de l’Immaculée conception, edita nel 1925, ci offre immagini dei primi tempi di vita del futuro vescovo e santo Vincenzo Maria. Nasce il 1° gennaio 1745, figlio unico perché tre fratelli sono morti o moriranno in tenera età, dunque rappresenta quasi un “angelo consolatore” per i genitori, animati da sentimenti di profonda fede e generosa carità (…), comprendono i problemi dell’indigenza, temporeggiano volentieri con i loro debitori, e spesso non esigono più nulla”
Il 2 maggio 1752 viene cresimato dal cardinale Giacomo Oddi, vescovo di Viterbo. La sua fede è precoce. Nella stanzetta, in solitudine e silenzio, alza un piccolo altare, “imitando le funzioni sacre della Chiesa, offre a Dio i primi omaggi del suo cuore puro”. Il 4 novembre 1762 entra nel seminario di Montefiascone ricevendo la tonsura e gli Ordini minori. Frequenta il Collegio Nuovo di Roma, è uditore dei Domenicani a Viterbo. Diviene diacono il 14 marzo 1767 a Bagnoregio ove poi a novembre diventa Rettore del Seminario. E’ consacrato sacerdote sempre a Bagnoregio il 19 dicembre. Entra nella Congregazione dei Passionisti, fondata pochi anni prima da Paolo della Croce, nella quale “sostiene il peso de' più importanti offici, e si mostra costantemente osservatore zelantissimo della Regola, ch'è molto austera; è ancora più ammirabile nella predicazione della parola di Dio, durante le numerose missioni che tiene da semplice religioso”.
La fama acquisita a Roma, dove si è fatto stimare da influenti personalità di Curia, gli procura nel luglio 1801 la nomina a vescovo di Macerata e Tolentino. diocesi che regge con “zelo e prudenza”. Nel 1808, con la restrittiva legislazione napoleonica in materia di culti e di organizzazione della vita religiosa, Strambi è in dissenso rispetto alle condizioni venutesi a creare per la Chiesa, diserta il Te Deum celebrato nella cattedrale di Macerata, e si rifiuta di prestare il giuramento di fedeltà al governo napoleonico imposto anche ai vescovi e ai parroci. Tale scelta comporta il sequestro dei beni e delle rendite del presule, e il suo trasferimento in esilio a Milano e Novara, dove sa “talmente cattivarsi la benevolenza di tutti, ch'ei raccolse, in Milano particolarmente, abbondanti elemosine, che tosto inviava a' poveri delle sue diocesi”.
Torna in sede nel 1814 e continua a condurvi una “vita esemplarissima”. “Alla dottrina, alla carità, a quella singolare disposizione che avea per la predicazione, sostenuta dal corredo di un ampio sapere, univa una incomparabile modestia, che qualche volta inducevalo a desiderare di dimettersi dalla dignità vescovile”, anche perché stanco e in età avanzata. Pio VII non aderisce alla richiesta, che viene soddisfatta nel 1823 da Papa Leone XII il quale lo chiama comunque con se’ al Quirinale, assegnandoli un appartamento nell’allora palazzo apostolico. E’ da poco tempo in quella nuova, aulica sede, quanto il Pontefice cade malato, si teme una morte imminente. Il 31 dicembre del medesimo anno monsignor Strambio - lasciamo sempre voce alle biografie un poco agiografiche - “affranto dal più grande dolore nel vedere i patimenti del malato, celebra a mezzanotte la Messa, durante il quale offre al Signore la propria vita, perché si degni di prolungare quella del Papa”. “Pieno di una vivissima fede, dice agli assistenti che Iddio ha gradita la sua offerta”; in quello stesso momento il Pontefice, già in agonia, prova un miglioramento sensibile, che gli farà recuperare la salute, “mentre il suo amico, colpito da apoplessia, muore nell'intervallo di 24 ore, il primo gennaio 1824, nell'età di settantanove anni ed in una grandissima fama di santità”. Le sue mortali spoglie vengono sepolte nella basilica dei SS. Giovanni e Paolo, al Monte Celio.
Nel 1843 prende avvio il processo di canonizzazione, interrotto anni dopo e ripreso all’inizio del ‘900.
Beatificato il 26 aprile 1925, proclamato santo da Pio XII l’11 giugno 1950, è patrono delle diocesi di Macerata e Tolentino. Oggi le sue spoglie sono contenute in una pregevole urna nella cattedrale di Macerata.
aldo timossi
11-continua
(in cartaceo venerdì 28 giugno)-
In preparazione Pietro (Pietrino) Cocconato, lontano parente di quell’Uberto che fu cardinale di Sant’Eustachio. Nel suo futuro il vescovado di Piacenza.