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Prelati monferrini di Aldo Timossi

Umberto Luigi Radicati di Montiglio 29 gennaio 1739 la nomina a vescovo della diocesi di Pesaro

Si legge in una storia del Pesarese che “nel Settecento emergono le figure dei vescovi Filippo Carlo Spada (1702-1738) e Umberto Radicati (1739-1773), durante l’episcopato dei quali il nostro territorio subì l’arrembaggio prepotente e dissolutore di truppe straniere, partecipanti alle guerre di successione”. Radicati è monferrino, ha titolo di conte, della nobile famiglia già indicata come “dei Cocconato”, ora “ex comitibus Cocconati et Rupellae”.

Umberto Luigi (Aloisyus, come appare in documenti pontifici, che qualche fonte traduce in Ludovico) nasce il 21 giugno 1697; probabilmente a Montiglio, unica citazione tratta dal repertorio tedesco “Jezt-lebende Römische Kirche/Oder” del 1752, che peraltro scrive del mese di luglio! E’ nipote di Pietro Secondo, in carriera religiosa, dal maggio 1701 vescovo di Casale. Il 25 maggio 1720 è ordinato presbitero. Dopo qualche tempo trascorso nella cattedrale di Casale, lo troviamo a Roma dove frequenta gli ambienti della Santa Sede, tanto che nel 1730, in una bolla di Papa Clemente XII è citato come “dapiferus”, cioè tra i sacerdoti incaricati di portare, durante il Conclave, il cibo ai cardinali. Negli anni successivi, il titolo onorifico di prelato domestico del Papa.

Il 29 gennaio 1739, la nomina a vescovo della diocesi di Pesaro, territorio dello Stato della Chiesa. Un mese dopo, la consacrazione, nelle mani del cardinale Annibale Albani, coadiuvato da Joaquin Fernandez de Portocarrero, patriarca di Antiochia, e Filippo Carlo Spada, arcivescovo di Teodosia.

Arriva in sede durante una breve parentesi di tranquillità. Nel 1736 c’è stato il passaggio delle truppe imperiali, non una guerra, ma tempi di difficoltà economica: in occasioni simili, le città e i castelli devono collaborare al vettovagliamento delle truppe e fornire il necessario al sostentamento di migliaia di uomini, inoltre non mancano saccheggi e prevaricazioni; per far fronte a queste spese straordinarie, i comuni si devono indebitare e le popolazioni pagare tasse maggiori negli anni successivi. I primi mesi lasciano subito intendere la mano ferma del vescovo Radicati, ora indicato anche quale “vescovo assistente al Soglio pontificio”. Arrivano alcuni editti, primo fra tutti quello che riguarda la trasgressione del precetto festivo, “del quale con tanta sollecitudine ce ne fu incaricata l’osservanza dal medesimo Iddio col precetto datoci nella prima delle due tavole della Legge”. Dunque “si ordina e comanda che i Parrochi non solamente sieno tenuti a pubblicare nel giorno dell'Epifania le Feste mobili che corrono tra l'anno, ma ancora ogni Domenica quelle feste che correranno in quella settimana, sicchè niuno possa pretenderne ignoranza, e di quando in quando inculchi nella spiegazione del Vangelo e nel Catechismo, tanto l'obbligo di santificare le Feste, quanto il modo di ciò fare”. Altro “ordiniamo e comandiamo” riguarda il precetto del digiuno: “sia da tutti li Fedeli alla nostra particolar cura commessi, ed alla nostra Giurisdizione soggetti, con ogni esattezza osservato nelle Vigilie e Quattro tempi dell’Anno, e particolarmente nel corso Quaresimale, tempo (come dice l'Apostolo) accettabile e di salute, nel quale il Signore Iddio palesandoci i suoi maggiori Divini Misterj, ci fa partecipi di tanti Beni Spirituali”. Se non bastano le parole, ecco le multe, in tot scudi, per quanti, in tempo di digiuno, vendono cibarie (sequestrabili), tengono aperte le botteghe e le osterie, organizzano balli e feste.

Un particolare richiamo, fuor di ordini e ammende, è ufficialmente rivolto ai confessori, perché quali “medici delle anime” e “giudici delle anime, pronuncino rette sentenze”: avrà grande gioia il “saggio confessore, allorchè nella gran giornata del giudizio finale sentirà dal Giudice supremo darsi alte lodi alle giuste sentenze da lui proferite”.

Nel settembre 1742 - quando nel territorio diocesano sono da poco passate le truppe spagnole dirette dal Regno di Napoli alla Lombardia, nel quadro della guerra di successione austriaca - viene celebrato un importante sinodo, i cui risultati sono pubblicati in un volume di ben 292 pagine, fregi in oro e stemma papale nella rilegatura in pelle di capra (l’estrazione nobile del prelato non mente): “Synodus diœcesana ab illustrissimo ac reverendissimo D.D. Umberto Aloysio Radicati ex comitibus Cocconati, et Rupellæ patritio Casalensi episcopo Pisaurensi, celebrata in cathedrali templo diebus 11. 12. & 13. mensis septembris anno Domini 1742”. Curioso lo stemma, con motto in tedesco: “wan goot wilt”, traducibile come “voglio che tu voglia”! La robustezza dell’edizione è provvidenziale, dovrà durare a lungo, trattandosi dell’ultimo sinodo, in vigore fin dopo la conclusione del periodo napoleonico.

Fuor delle preoccupazioni di natura spirituale, Radicati non trascura altre necessità delle propria diocesi. A cominciare dal completo rifacimento nel 1751 del palazzo vescovile, già “di modesta architettura” nella via del duomo, oggi via Rossini. Il restauro libera l’immobile dalle stalle, da maggior respiro al seminario, offre adeguati alloggi anche ai domestici. E’ grazie al suo intervento che nel 1753 nasce a Pesaro una “Scuola pia” per le figlie del popolo, nella quale, in assenza di scuola pubblica, s’insegna alle ragazze a leggere e scrivere, e a svolgere i lavori femminili. Sotto la sua protezione si realizza anche la costruzione della nuova chiesa delle monache Serve di Maria, oggi ancora officiata in Corso XI Settembre.

Di un fortunoso incontro con un conterraneo è protagonista nell’estate 1763. Un giovane giramondo, arrivato da Roma e Loreto, è stato arrestato a Pesaro. Dice di volersi fare frate, dopo 28 giorni di galera gli sbirri lo conducono in presenza del vescovo, e qui la sorpresa: si tratta di un monferrino, Giovanni Battista Boetti, nato a Piazzano di Camino nel 1743, già protagonista di vicende poco chiare e per questo indotto a celarsi sotto il falso nome di Sceik Mansour Oghan-Oolò, alias profeta Mansur! Monsignor vescovo è magnanimo e lo fa liberare, consentendogli di ripartire per Ravenna dove sarà novizio in un convento di domenicani.

La notte fra il 13 e 14 novembre 1773 per Umberto Luigi Radicati è tempo di lasciare la vigna del Signore. Per testamento istituisce erede il nipote Francesco Deodato di Robella, alcuni altri parenti, monasteri a Casale, nonché nobili amici monferrini.

Alla cattedrale di Casale dovrebbero andare alcuni suoi paramenti episcopali, e un calice d'argento dono del duca Sforza Cesarini, ma le opposizioni del capitolo del duomo pesarese rendono vano il legato.

aldo timossi

FOTO: legatura fregi in oro libro sinodo con stemma vaticano