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Alluvioni nei secoli, di Aldo Timossi

Quelle storiche...

“Circa annum DLXXXV ingenti Padi alluvione (…) Padum atque alia flumina intumuisse”. Così scrive a metà ‘700 il teologo trinese Gian Andrea Irico, nei suoi tre libri del “Rerum patriae”: circa l’anno 585 ci fu una robusta alluvione del Po, e anche altri fiumi si ingrossarono. Aggiunge che grossi problemi si registrarono a Trino. Guai non da poco, considerato che “inundatio nulla post Diluvium major mortales afilixerit”, nessuna inondazione aveva afflitto maggiormente gli uomini dopo il Diluvio universale (qui emerge lo spirito teologico dell’Irico).

Quella del 585 è stata una delle decine di piene che nel corso dei millenni hanno disastrato le terre a cavallo del Po e dei fiumi circostanti. Le prime notizie appaiono in Tito Livio, che scrive di grandi inondazioni negli anni 204, 180 e 44 prima di Cristo. Si passa quindi, in altri autori dell’epoca, che trattano in generale di numerose alluvioni negli anni 40/65, 500, 520, 589, e cosivvia.

Il loro susseguirsi nelle terre prossime a Casale, lo leggiamo nelle cronache locali delle varie epoche, ricche fonti di notizie. Molte migliaia di pagine pur limitandosi a tre autori: “Notizie storiche della città di Casale e del Monferrato” edite da Vincenzo De Conti nel 1841/42, “Annali di Alessandria” stampati a metà ‘600 da Girolamo Ghilini, “Rerum Patriae Libri III” del trinese GianAndrea Irico, che cita cronisti precedenti, scrivendo in latino a metà ‘700.

Il “diluvium” del 585 riappare nell’anno 886, allorchè “da maggio a luglio furono pioggie sì dirotte che (…) il Po in Italia ed altri fiumi inondarono, e in autunno le pioggie ricominciarono più che mai”. Esattamente due secoli dopo, nel 1085, “il Po innondando, sommerse molte ville”, molte città, mentre infuriano carestia e fuoco sacro, e se ne attribuisce la colpa all’ira divina contro il defunto imperatore Enrico IV, reo di aver perseguitato la Chiesa.

Passando per il 1222, quando allo straripamento dei fiumi si aggiungono la peste e, il giorno di Natale, un grande terremoto, ecco la grande alluvione del 1331. La botta di piena fa uscire il Po dagli argini a Trino e corre per le strade. “Magna calamitas”, una grande disgrazia, che induce le autorità comunali a far giurare i cittadini che annualmente rinforzeranno gli argini e realizzeranno un fossato-scolmatore, dal “mulino bruciato” al “Caneto” (una cascina Canneto esiste ad oggi, a ovest di Trino).

Ancora grandi piogge e argini sormontati nel 1341, nel novembre 1364, “dall’entrata di Giugno fino al principio di Luglio”1365, nel 1378 (Irico scrive di grande piena del Po in Lombardia e Veneto, aggiungendo che anche Trino avrà avuto problemi, avendoli subiti con piene anche minori), nel 1437 (“totale rottura degli argini nel Casalasco”), nel settembre 1471 e a maggio 1474 dopo venti giorni di pioggia continua (“il Po traboccava”).

Torna il riferimento al Diluvio universale nel 1493. Dopo un maggio freddissimo che ha fatto riprendere dall’armadio le “pelli”, e lo “smodato calore” dell’estate, ecco “strabocchevoli pioggie nell’autunno, per le quali i maggiori fiumi strariparono, siccome il Po, (…) laonde questo fu pur detto anno del diluvio”.

Il XVI secolo inizia con due alluvioni del Po e di altri fiumi, nel 1504 per “immense piogge”, e l’anno dopo, allorchè le inondazioni travolgono i seminati e riducono alla fame le popolazioni, già colpite da pestilenza e tifo petecchiale. Ancora danni nel Casalese a metà secolo, tanto che nel 1564/5 il conte Francesco di Novellara Gonzaga ed il suo ingegnere di fiducia arrivano a Casale e ordinano al governo locale, guidato da Rolando della Valle, di fare ogni sforzo finanziario per rinforzare l’argine nella zona del castello, al tempo stesso aprendo al fiume un nuovo letto. I denari son pochi ma il lavoro vien fatto.

Non cambia la musica nel secolo successivo, con una piena nell’ottobre 1605, allorchè il Po – che a febbraio “passavasi a piedi asciutti” per la continua siccità - “soverchiava il rastello presso il castello, ed empì tutte le fosse della cittadella”. E di una “exundatio fluminis Padi” scrive l’Irico trattando del 1612.

1643. Dopo un’estate caldissima e secca, il primo di ottobre iniziano piogge a dirotto, ed ecco altre “rovinose inondazioni”, precedute da un settembre molto freddo. Il peggio arriva sei anni dopo. “Dal dì 4 sino al 21 di maggio 1649 sempre piovette con continui temporali venuti con tempeste, e questi fecero crescere talmente il Po, che a memoria di uomini non si è veduto a tal segno e danneggiò molti paesi, nè si vedeva che cielo ed acqua”. Motivo di tanto dilagare delle acque – da Trino fino a Valmacca, Pomaro, Bozzole e Frassineto - la disgraziata iniziativa dell’esercito spagnolo, che l’anno prima ha costruito fortificazioni a Morano, usando terra e ghiaia prese dall’argine del Po a Pobietto! Altre piene, negli anni 1652 e 1658. 

Il ‘700 è forse il secolo peggiore quanto a inondazioni. Già nel 1702, “le pioggie in Monferrato cominciarono a cadere alla fine di febbraio, e durarono quattro mesi, (…) addì 8 settembre rincominciarono e continuarono quasi quotidianamente per alcuni mesi, e cagionarono diverse inondazioni, sicché a stento si potè seminare i grani”.

Annus horribilis, il 1705. Lasciamo la …tastiera al De Conti: “La pioggia caduta al primo novembre fu così a diluvio , che innondò la piana, dimodochè le cascine tutte parevano tanti molini natanti. La crescenza del Po allagò per molte miglia i paesi, e la Grana, la Gattaia e il Rotaldo inondarono le valli. Nè fecero di meno la Sesia ed il Tanaro con gli altri fiumi, in maniera che da Casale a Vercelli ed Alessandria pareva un arcipelago, e restarono danneggiate tutte le campagne, con mortalità di bestiami”. La storia si ripete pochi mesi dopo, con pioggia incessante le ultime due settimane di ottobre 1706, “talmente che il Po crebbe a dismisura più dell'anno scorso; rovinò i seminati in molti luoghi, ed altresì la controscarpa del fosso del bastione dei tre venti” a Casale.

Temporali con pioggia dirotta e “grandi escrescenze di fiumi” nel 1725, luglio 1733 (a Casale interrotti i traghetti), settembre 1739 (“crescenza dei fiumi, specialmente il dì 18 settembre, con innondazioni di campagne, trasporto di porti e molini”), 1741-42 (“l'escrescenza straordinaria del Po corrose sì fattamente le ripe sotto il castello, che minacciava di entrare nelle fosse”), 1744 (“l'autunno fu assai piovoso, e il dì quattro Ottobre fu tale e tanta la pioggia caduta, che il Po venne sino contro le mura verso il bastione de' tre Venti e verso la Madonnina, e formò due rami, uno verso la cassina Billiona, ossia Malpensata, e l'altro dall'altra parte. Al dì 6 replicò la crescenza quasi nell'istesso modo, e Io stesso fecero i fiumi Tanaro, Bormida, Dora ed altri che cagionarono danni infiniti”), ottobre 1745, ottobre 1751.

Ancora allagamento straordinario nell’ottobre 1755, quando il Po supera gli argini e corre nelle campagne: “potevasi andare da Casale a Vercelli in barca, cosa dai vecchi non mai veduta, talchè ha seco strascinati molini e porti, atterrate cascine, alcune delle quali furono sommerse sino al tetto. Casale era circondato dalle acque, ed aveva riempite le fosse della città. La Sesia aveva rotto tutti gli argini, e aveva recati danni notabili sino al territorio di Villanova”.

E avanti la sequela delle piene: maggio 1769, maggio 1774 (“il Po si alzò vicino a Casale in quattro ore otto piedi sino a 18. Il Ticino, la Sesia ed il Tanaro sormontarono le ripe”), 1775 (“Nel settembre piovette per giorni quindeci continui, per cui le acque strariparono”).

Duplice disgrazia nel 1788. A marzo, dopo sei giorni continui di pioggia, con venti grecale e di scirocco, arriva “una straordinaria escrescenza del Po”. Altra “esorbitante escrescenza” il 23 luglio, “che portò via varii molini e porti, e corrose molto sotto le colline”.

Il secolo di alluvioni si chiude il 5 giugno 1789, allorchè “il fiume Po crebbe smoderatamente sotto Casale”.

Forse addirittura una ventina di piene del Po nell’800, secolo nel quale – dicono gli esperti – “l’emisfero boreale si trovò al culmine della piccola età glaciale moderna, iniziata intorno al secolo quindicesimo”. Dunque, il combinato di un clima tribolato e dell’ormai progressiva deforestazione del bacino padano, è alla base di ripetute, pesanti crescite di livello del Po, specie in primavera, con lo scioglimento delle nevi e il sovrapporsi di forti piogge. La sequenza, determinata all’epoca dai rari “padimetri” lungo il fiume, tramanda le piene nel 1801-2-3, 1807-8, 1810-11-12, 1823, 1839-40-41-43, 1846 (due volte), 1857, 1868, 1872, 1879.

Per il XX secolo, le massime piene del Po si registrano negli anni 1926 (anche la Sesia esonda – scrive “Il Monferrato” del 12 giugno, e l’acqua “in alcuni  punti raggiunse la notevole altezza di 5 metri, con percorso vertiginoso nella campagna dove ricchi raccolti andarono totalmente distrutti, alberi secolari furono sradicati, abitazioni civili vennero sommerse”), quindi nel novembre 1951 (il Polesine disastrato, allagamenti anche nel Casalese: chi scrive, ricorda la notte in cui, bambino, con il nonno e a lume di candela, arrivò sull’argine di Morano per vedere lo spettacolo del fiume che aveva invaso il campo sportivo e stava per sormontare l’argine maestro), 1994 (“Inferno d'acqua, paesi evacuati - Grave emergenza a Trino, Morano, Popolo, Balzola, Villanova, Terranova – Due sorelle morte a Crescentino”, così ben sintetizza il dramma, “Il Monferrato” di martedì 8 novembre), 2000 (quando a Casale il livello arrivò a 5,39 metri sullo zero idrometrico, essendo posto il livello di guardia a 2,50 metri). 

Ai giorni nostri, nonostante argini nuovi o rinforzati, quando piove per più giorni torna la paura. Si osserva il livello del Po, si controllano su internet gli ormai diffusi idrometri che han surclassato il vecchio “padimetro”. Gli esperti dicono che piene eccezionali hanno tempi di ritorno di centinaia di anni, ma per le sequenze appena viste, ci si consenta di dubitare! 

Aldo Timossi