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Prelati monferrini (31) di Aldo Timossi

Giuseppe Alfonso Miroglio nasce a Casale il 23 maggio 1692 -Alla sede vescovile di Alessandria (1744)

Giuseppe Alfonso Miroglio nasce a Casale il 23 maggio 1692. Figlio del marchese Francesco Girolamo marchese di Moncestino, Villa Miroglio, e Rosingo, o secondo altro autore (Carlo Guasco, citato sullaRivista di storia e arte provincia di Alessandria”) del “conte Antonio Bernardo, capitano del Reggimento Casale, e di Eleonora del conte Guido Avellani”.

Fin da piccolo non dimostra grande interesse per un futuro che lo veda governare il feudo posseduto da secoli dalla famiglia, che nel 1650 ha ricostruito a Moncestino, sulle rovine di un castello più antico, risalente al 1245 e già dei conti di Miroglio, una bella residenza barocca, già distrutta nel 1633 dall'esercito di Vittorio Amedeo I durante la guerra per la successione del Monferrato, conflitto nel quale i conti di Miroglio si erano schierati con i Gonzaga. Giuseppe Osserva le fatiche e la vita grama delle genti di collina, è attratto dalla povertà che lo circonda. Crescendo, decide di spendere il proprio tempo in favore di tanta umanità umile, laboriosa, soggetta spesso alle malattie. “Abbracciato da' primi suoi anni lo stato ecclesiastico, si occupò indefesso nella visita degli infermi, ed in altri esercizi di carità”, così ne parla Antonio Chenna nel corposo repertorio (1785) “Del vescovato de vescovi e delle chiese d’Alessandria”.

Ordinato presbitero, segue gli studi giuridici all’università La Sapienza di Roma (fondata per decisione pontificia all’inizio del ‘300 come Studium Urbis,) e si laurea in diritto civile e canonico. Nel 1744, come prassi del tempo il re Carlo Emanuele III Savoia (“Carlin” per via del fisico gracile, un poco gobbo) comunica alla Santa Sede la decisione di nominarlo alla sede vescovile di Alessandria. Nomina accolta, e il 22 marzo la consacrazione a Roma, con l’intervento di Papa Benedetto XIV assistito dall’arcivescovo di Tiro, Giovanni Andrea Tria, e dal vescovo di Porfireone, Silvestro Merani. Il 2 maggio prende formale possesso della cattedra, delegando l’arciprete della cattedrale, Lorenzo Burgonzio - tra l’altro “uno dei più dotti e infaticabili raccoglitori di documenti di storia patria” – che nominerà poi quale vicario generale. Arrivato in città, il primo giugno è ufficialmente accolto da clero e popolazione, e fa il suo ingresso in cattedrale.

Il primo sermone è una testimonianza di umiltà: “Essendo stato a lungo impegnato con i poveri, e quasi nascosto nello studio e in umili uffici, avevo sempre diligentemente evitato la celebrità degli uomini, il rumore del mondo, la compagnia dei nobili, in quel tempo ero al sicuro da tutto lo splendore degli onori, e ciò che restava dell'età speravo sarebbe trascorso tranquillamente in quella oscurità di vita”. Vien spontaneo accostare a figure ben più recenti, al “divenni tutto rosso… mai più avrei immaginato” di Giovanni Paolo I, al “se sbaglio mi corrigerete” di san Giovanni Paolo II.

A dispetto del suo stare nascosto, il vescovo Miroglio inizia già a fine anno la visita pastorale, ma deve sospenderla perché si avvicinano venti di guerra. E’ l’estate del 1745, quando sulla linea del Tanaro si fronteggiano l'esercito franco spagnolo, agli ordini del marchese di Maillebois, e quello austro-sardo al comando di Carlo Emanuele III, nell'ambito del teatro italiano della guerra di successione austriaca. Cade Tortona, i sabaudi si ritirano verso Valenza e Casale, e gli avversari piuttosto che inseguirli danno l’assedio ad Alessandria. La stretta dura alcuni mesi, e in ottobre la guarnigione austro-sarda si ritira nella cittadella, lasciando la città in mano al nemico. Il vescovo “interpone le sue preghiere presso il governatore marchese Giambattista Isnardi di Caraglio, e poscia presso il generale spagnuolo per iscansare al suo popolo ogni maggior pericolo”. C’è tregua per qualche giorno, ciò che consente a Miroglio di trattare con i due contendenti e “stabilire patti onorevoli per la resa della città, evitando in tal modo un inutile spargimento di sangue ed il sacco della medesima, e riportando il plauso e la gratitudine della popolazione”. L’impegno “di pace e di amore” del presule prosegue per alcune settimane l’anno successivo, per evitare che i sabaudi dalla cittadella prendano a cannonate la città nel tentativo di cacciarne la guarnigione galloispanica.

Finalmente il buon vescovo può dedicarsi alle cure pastorali, e quasi certamente ha un buon rapporto con il cardinale Giuseppe Pozzobonelli, arcivescovo di Milano (1743-1783), la cui famiglia ha un riferimento monferrino, nell’omonimo palazzo innalzato a Ottiglio nel ‘500. Non trascura la promozione della cultura, a tal fine collaborando tra l’altro alla rinascita della storica Accademia degli Immobili, ospitata in episcopio, e concorrendo efficacemente a riaccendere lo studio e l'amore delle buone lettere. Purtroppo l’amore per la cultura e per la storia ha un inciampo che coinvolge proprio il palazzo vescovile, di origine tardo-gotica, risistemato nel ‘200 dalla famiglia Inviziati, acquisito sul finire del ‘500 dal vescovo Guarnerio Trotti e abbellito dai successori. Il guaio è di aver nascosto alcuni soffitti a travatura dipinti, facendoli coprire con intonaco di calce e una sorta di plafond, “per formarvi un appartamento terreno”.

Di un curioso episodio di credulità popolare deve occuparsi nel 1750. Si sparge la voce che la campana della chiesetta dello Spirito Santo “avesse suonato da sé, e credendolo il popolo un miracolo, senza menomare il rispetto dovuto alla religione, il vescovo dissipò le false e superstiziose credenze che alcuni andavano spargendo, per ignoranza o ad arte”.

Dopo un governo di dolcezza e benignità singolare, quando andava pensando di far rinuncia del vescovato, e prendeva su di ciò consiglio, fu da Dio chiamato a miglior vita a dì 14 aprile 1755”.

I collaboratori lo fanno rivestire degli abiti pontificaLi, ma subito dopo, come da sue volontà, viene sepolto nella chiesa di sant’Ignazio, al tempo officiata dalla Compagnia di Gesù (demolita nel 1803 per decreto napoleonico), senza alcuna solennità, in abito di semplice prete, coi piedi nudi. “Fu posto il di lui cadavero avanti la balaustrata dell'altar maggiore di essa chiesa, e nello stesso luogo l'antidetto suo nipote Carlo fece poi collocare un'iscrizione” con la scritta “ex testamento ritu pauperum elato”, per suo volere sepolto secondo il rituale usato per i poveri.

aldo timossi

31- continua