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Prelati monferrini di Aldo Timossi

Andrea e Ippolito Novelli

Insediatosi a Casale nel giugno 1474, il giovane vescovo Bernardino Tibaldeschi, pur essendo già in qualche modo a balia dal collega di Alessandria, ha necessità di avere direttamente a fianco collaboratori esperti. Quasi in contemporanea con la bolla pontificia di erezione della diocesi, Sisto IV ha firmato un secondo atto con il quale, “avendo in mira il decoro e la dignità della chiesa casalense, in cui, dopo la prepostura, non eravi altra dignità”, crea ex novo l'arcidiaconato, “assegnando in prebenda la chiesa di san Pietro d'Azervengo (?) sui confini di Moncalvo del reddito di 15 fiorini d'oro, e la prepostura di Torcello del reddito di fiorini 40 somiglianti, nominando a tale dignità Andrea Novelli di Trino (foto da un ritratto di Macrino d'Alba) celebre giureconsulto” (De Conti). Al neo arcidiacono - che peraltro ha da poco ricevuto l’ordinazione presbiterale - il vescovo assegna quindi anche l’incarico di vicario generale. Inizia dunque a Casale la carriera del futuro vescovo di Alba.

E’ figlio di Eusebio e Saracena Morelli, famiglia originaria dell’Astigiano, con possibili agganci nel Casalese (Occimiano), non a caso alcuni testi lo citano come “Andrea de Monteferrato”. Non si conosce la data di nascita. In un ritratto opera di Macrino d’Alba datato 1591 parrebbe avere le sembianze di un cinquantenne o forse qualcosa in più, quindi nato intorno al 1535/40, ipotesi avvalorata dalla notizia che compie gli studi giuridici a Pavia avendo come con discepolo il futuro, grande giurista Giasone del Maino, nato sicuramente nel 1535.

Sono anni tranquilli per Casale e il Marchesato. In campo religioso inizia la costruzione del monastero e della chiesa di San Domenico, arrivano in città gli Agostiniani e si insediano nel convento di Santa Croce, nel convento di San Bartolomeo e chiesa di San Marco (oggi conosciuto come ex caserma Baronino) la comunità di religiose Umiliate viene rinvigorita con il passaggio allo stesso ordine agostiniano, nasce l’ospedale di Santa Maria delle Grazie alla cui direzione c’è anche il vescovo, il marchese Guglielmo VIII Paleologo (fratello del cardinale Teodoro) avvia lavori di sistemazione al Santuario di Crea e lo affida ai canonici Lateranensi.

Nel settembre 1484 (come in molti casi, tante storie tante date, chi scrive del febbraio 1483, chi addirittura del 1486 o 1493) arriva la promozione alla cattedra di Alba. E’ vescovo di “esimie virtù”, molto attivo, poche parole e tanti fatti. Giunto nella città langarola, trova la cattedrale in pessime condizioni (un’epigrafe dedicatoria riporta il termine “colapsum”, crollato!), e il palazzo vescovile addirittura da tempo inagibile. Per il tempio provvede con immediatezza a far progettare il restauro, che inizia nel maggio 1486. Una monografia edita a fine ‘700 dallo storico Giuseppe Vernazza cita il libro-spese fatte per tale opera, in gran parte pagate dal vescovo di tasca propria, e concludendo che “la città vi ha concorso per niente”. Per l’episcopio i lavori di riedificazione occuperanno gli anni dal 1506 al 1513.

Non poche le missioni a Roma. Nel 1492 è rappresentante del Marchese Bonifacio di Monferrato per l’omaggio e la dichiarazione di obbedienza al nuovo pontefice Alessandro VI; con lui, anche un casalese famoso, Benvenuto San Giorgio, e il potente consigliere marchionale Ludovico Tizzone. Le sessioni del Concilio lateranense V, tra il 1512 (anno nel quale celebra il sinodo) e il 1517, lo vedono come assiduo partecipante e oratore. A Roma si accompagna sovente con un pittore albese, tal Gian Giacomo de Alladio, impegnato a seguire il lavoro di maestri quali Luca Signorelli e il Perugino che operano presso i palazzi pontifici, e che sarà meglio conosciuto come Macrino d’Alba.

Monsignor Novelli conclude il passaggio terreno a Trino, il 13 maggio 1521, lasciando consistenti somme a favore della Cattedrale, tanto che ancora ad inizio Ottocento continuava ad esistere un’”Opera Novelli”, con lo scopo di finanziare lavori e attività del tempio. Il feretro è trasferito ad Alba, nella cattedrale dove lui stesso si era fatto predisporre ben otto anni prima il sepolcro, al centro del nuovo pregevole coro opera dell’ebanista Bernardino Fossati da Codogno. Una lapide in latino sintetizza la sua opera: “basilicam hanc restituit canonicos proventus” - ricostruì questa basilica con il frutto delle proprie entrate vescovili”, “choros sacramque supellectilem addidit” - aggiunse il coro e sacre suppellettili, “episcopale palatium condidit” - costruì il palazzo vescovile. “A metà ‘800, durante lavori di restauro, l’architetto Arborio Mella spostò la tomba dalla parete sinistra del presbiterio alla parete di fondo della navata di sinistra, in alto”, è l’aggiornamento di Silvia Gallarato, direttore dell’Ufficio beni culturali della diocesi albese, non essendoci riscontro a scritti che la vorrebbero ubicata nel palazzo Vescovile.

Nella stessa città, in San Domenico, nel lato destro dell’abside, è sepolta la madre Saracena.

La successione di Andrea è affidata da Papa Leone X al nipote Ippolito, che già gli era coadiutore dal 1517. Di lui si hanno poche notizie. Irico sia limita a scrivere che “oves fidei suae concreditas pastor optimus rexit”, mantenne le pecore nella loro fede quale ottimo pastore. Il citato Vernazza aggiunge che “provvide alla conservazione della nuova cattedrale della quale Andrea era stato il benemerito edificatore”. Si preoccupa anche della chiesa di San Domenico, eretta nel ‘200 e rimaneggiata quindi riconsacrata durante il suo episcopato.

Nel suo ultimo testamento del 10 novembre 1530 (il giorno prima di morire) stabilisce due legati in favore del duomo. Il primo è una somma di danaro dovutagli dal signore di Neviglie, il secondo è un fondo stabile di terreni a La Morra, da lui acquistati anni prima: legandone la proprietà alla fabbrica della cattedrale, prescrive in quale uso dovranno convertirsene le rendite, cioè nelle riparazioni del tempio. Alla cattedrale dona anche la sua libreria. I suoi resti riposano nello stesso sarcofago dello zio Andrea

aldo timossi