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Siccità, gelo fuori dalla norma, carestie, calamità varie

Grandi disgrazie in Monferrato con Aldo Timossi

Se anche nella storia millenaria dei Monferratesi (così li definisce lo storico De Conti), tante pesanti calamità sono state indotte dalle piene di fiumi e canali, anzitutto dal Po e dalla Sesia, altrettante o forse più han dovuto subire per stagioni di siccità, di gelo fuori dalla norma, di calamità varie. Dunque, carestie, fame, quella vera, che fa “gridare” lo stomaco e che spesso porta malattie e morte.

Ce ne sono di ogni genere e in ogni secolo, spulciando tra le migliaia di pagine dei cronisti locali, in primis il casalese De Conti con le sue “Notizie storiche…”, il trinese Irico e i tre libri del “Rerum Patriae”, l’alessandrino Ghilini e gli “Annali” del 1666.

Le prime notizie sul Monferrato, negli anni 1125-26, con inverni freddissimi, il Po ridotto a una spessa lastra di ghiaccio, lastra percorsa da uomini e carri. Gela ogni tipo di pianta. Disgrazia grande per popolazioni, specie le più povere, che si nutrono di prodotti della terra.   

Stessa storia nel 1133, mentre dodici anni dopo, sono “vermi ed altri animali” a distruggere le messi. Il poco raccolto è venduto a prezzi altissimi, da qui la “carestia”, dal latino “carere”, mancare (nel nostro dialetto usiamo l’aggettivo “caristius”, per cosa o lavoro che costa molto, come se fosse soggetto a carestia, a scarsità!).

I fiumi in secca favoriscono nell’estate 1158 la discesa dell’imperatore Barbarossa nell’Italia del nord.

E’ da maggio che in Piemonte e Lombardia non piove. Facile immaginare i guai per le campagne, e i raccolti molto scarsi o del tutto assenti. In compenso, piove dal luglio 1177 fino al gennaio successivo. Raccolti ammalorati, anche nel Casalese la gente si nutre in molti casi solamente di “radici ed erbe selvatiche”. La mortalità è molto alta.

Dopo carestie di grano nel 1182 e 1190, altre penurie di pane sul finire del dodicesimo secolo, e il grande gelo nel 1215, con il Po nuovamente gelato. Neve e gelo nell’inverno 1234. Scrive Irico che “mortuae sunt vineae, oleae, ficus et aliae multae arbores fructiferae”, sono morti vigne, ulivi, alberi di fico, tanti altri alberi da frutta. Il Po è una lastra di ghiaccio e forse anche nel Monferrato ci sono, come in Lombardia, persone morte di freddo nei loro letti.

In tutta Italia, nel 1303 “la carestia s’accresce per la grande siccità, e in questo tempo I’inverno essendo stato assai freddo”. La Chiesa giustifica il tutto con l’ira divina: “Si disse che tutto ciò venisse da Dio per miracolo, per lo tradimento che fu fatto a Papa Bonifazio, che in Anagni dal Nogareto e da Sciarra Colonna ebbe prigione e villanie”, il notissimo “schiaffo di Anagni”. Ancora gran caldo, carestia e morti, nel 1312, con la gente che muore in strada per la fame. 

Secolo terribile il ‘300, è iniziata la piccola era glaciale, che durerà con fasi alterne fino all’inizio del 1800. Gran freddo, seminativi sotto il gelo, “lagrimevole carestia” nel 1321. Niente temporali in primavera/estate 1344, e continue piogge nell’autunno, “marcirono le uve, né si potè seminare grano”. All’alternarsi di freddo/gran caldo, si aggiunge nel 1385 l’invasione dei lupi, che arrivano fino a Casale, cibandosi di cadaveri “lasciati insepolti, o malamente seppelliti a cagione dell'epidemia di peste”; è caccia al lupo, premio di 5 lire pavesi per ogni esemplare ucciso.

Poco meglio la situazione nel secolo successivo. Tra gli anni peggiori, il 1428, niente pioggia da giugno a dicembre, carestia “d’ogni sorta di vettovaglie, grandissima fame degna di compassione per la povera plebe”. Gran gelo l’anno successivo, vigneti distrutti, mulini fermi per il ghiaccio che ricopre il Po.

Non mancano nel ‘500 estati caldissime alternate a inverni di gelo. Polmoniti e febbri varie maligne si aggiungono a peste e vaiolo. Nel complesso, un periodo meno drammatico per la vita delle popolazioni. Nel 1592, quando il grano scarseggia in tutto il Monferrato, i Gonzaga ne fanno arrivare “molte migliaia di sacchi dal Mantovano”.

Inizia male il secolo successivo. Già nel 1601 e anni successivi c’è carestia di grano e vino in tutto il Monferrato; il vino è venduto a quattro ducatoni la brenta di 50 litri (per raffronto, a metà ‘600 un rogito notarile di medio valore costa mezzo ducatone!). Anno di gran secco il 1604, a Casale i pozzi sono esausti, il Po si attraversa “a piedi asciutti”.

Nel 1611 è strage di bovini per un “morbo contagioso e da nessuno conosciuto”, che colpisce la lingua delle povere bestie, impedendo loro di magiare e bere, riducendole alla morte. Si prosegue con nevicate primaverili, grandine e bufere di vento, gelate che ghiacciano anche il vino nelle botti, pozzi in asciutta, la fame e la peste che attanagliano i Casalaschi durante l’assedio iniziato nel 1630, poi nel 1648, quando il grano viene esportato clandestinamente, e in città “non si vide mai tanta quantità di poveri, che dalle Langhe, dall'Alessandrino e dal Monferrato venivano, trovando nelle case dei particolari (dialettalmente i piccoli contadini, N.d.A.) infinite elemosine”.

Raccolti scarsi per il troppo freddo o la siccità, e prezzi alle stelle anche nel 1660, 1668, 1677-78, 1693. Il grano, dal ’60 al ’93 sale da 16 a 150 fiorini al sacco, i più poveri mangiano crusca o “scorze di noci e ghiande macinate”.

Il peggio arriva con il secolo successivo. Prime avvisaglie nella primavera 1704, con “gran mortalità nelle bestie volatili, polli, gallinacci, oche, dimodochè tutti li particolari ne restarono quasi privi”. Muoiono di fame i più poveri nella primavera-estate del 1709, poiché mancano il vino e il raccolto del grano è stato decimato dal maltempo. Il conte Radicati, fratello del vescovo Pier Secondo Radicati da Cocconato, omaggia di prodotto dei propri vigneti i conventi di Casale.

Nel 1713-14 la moria colpisce buoi e mucche, per un “influsso contagioso” iniziato nel Veneto e preso diffuso nella Lomellina, quindi a Mirabello, Occimiano e nelle colline del Casalese. I contadini arano utilizzando cavalli e muli, e la terra è tanto secca “che a stento si può rompere”. Bovini decimati nel 1735, e ancora nel 1745 a Balzola e Torcello.

Non si placa l’alternanza di anni piovosi e anni di siccità. Ed è sempre carestia, il bestiame per mancanza di foraggi. Nelle case si susseguono “la pubblica preghiera e la penitenza”, e i parroci organizzano a ripetizione “la divozione delle quarant'ore in tutte le chiese”. Talvolta la pioggia arriva (1734) ma “troppo tardiva per i formenti, e le viti avevano già molto sofferto e in gran parte morte”!

“Carestia orribile, miseria estrema” nel 1752, farina razionata, i più derelitti si cibano del verde delle cipolle. Anche peggio nel ’73: “Non solo il grano, ma il vino, le carni, e ogni altro minuto genere di vettovaglie era asceso a un prezzo sorpassante notabilmente i prezzi d'altri tempi di calamità”, e il nuovo re Vittorio Amedeo Savoia manda “a tutta la diocesi e provincia una sovvenzione di grano a discreto prezzo”, oltre a denaro “consegnato al vescovo di Casale, da distribuirsi ai poveri”. Un editto reale proibisce l’esportazione di prodotti della terra dal Regno di Sardegna. Soggetti a restrizione “frumento, barbariato, segale, avena, meliga, spelta, miglio, marsaschi e legumi, e le farine di essi grani”. Un secondo editto blocca anche il commercio fuori dei confini per riso e castagne. 

Tempo tribolato nel ’75, quando “iI prodotto del grano in Italia fu la decima parte dell'ordinario, e nel Monferrato e Lomellina non arrivò alla metà”. Quindi nel 1781, 1784, 1788-89 (gela l’acqua nelle pile delle chiese, il Po è coperto da trenta centimetri di ghiaccio). Annota il De Conti, che “la sorte del Monferrato andava sempre peggiorando”. Un abbondante raccolto nel ’96 è annullato l’anno successivo, quando il prezzo del grano raddoppia, e nel ’99 il poco vino sale da 26 a 40 lire la brenta (50 litri).

Terminato il secolo buio del ‘700, non cessano i guai. Anche il Monferrato soffre per l'occupazione francese, la guerra, l'invasione austro-russa. Una mazzata che colpisce soprattutto le campagne con requisizioni e distruzioni. Viene a mancare un po’ di tutto, dal grano ai legumi, alle segale e alla meliga.

Si guarda con attenzione al riso in pianura e proprio intorno al 1800 il conte Magrelli, enfiteuta di vasi possedimenti tra Casale e Vercelli, fa costruire un canale che porti l’essenziale acqua dalla Dora Baltea. 

Oggetto di dotte discussioni e grande diffusione ha la patata, un tubero che “meno risente dell’inclemenza delle meteore, teme assai meno tutti gli altri sinistri che abbattono in pochi momenti l’onor dei campi e distruggono il sostentamento delle popolazioni”. “Può essere usata per la panificazione, supplendo alla mancanza di frumento che va desolando le case”. Prende  quota una zuppa di patate e porri, del celebre nutrizionista francese Parmentier! Rapida diffusione anche per i fagioli.

Anno pesante il 1816, ricordato come “anno senza estate”. Il sole è oscurato dalle polveri vulcaniche dovute all’eruzione del Tambora (Oceano Indiano) l’anno precedente. Freddo e maltempo fuori stagione, raccolti decimati anche nella successiva annata, fame e carestia.

I vecchi cronisti non ci soccorrono più ma ormai l’agricoltura fa progressi, anche la medicina meglio aiuta la salute delle popolazioni. Saranno solo i momenti delle guerre a rendere difficile la sopravvivenza.

aldo timossi