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Libro di Roberto Coaloa: "Carlo d’Asburgo e il coraggio della pace nella Grande guerra"

Presentazione nell'asburgica Trieste con don Marco Eugenio Brusutti

 

È stato presentato a Triestelo scorso sabato al Museo Civico Sartorio, nella Sala Giorgio Costantinides, durante un incontro promosso dall’Inner Wheel Club di Trieste, con il contributo del Comune di Trieste e Heartbeat of humanity, il volume "Carlo d’Asburgo e il coraggio della pace nella Grande guerra. La vita e i tempi dell’ultimo Imperatore d’Austria (Carlo I) e Re d’Ungheria (Carlo IV), 1887-1922".

Un’opera fondamentale e imponente, pubblicata da Gaspari Editore, sorretta da una bella scrittura, che raduna le ricerche storiche e i testi dell'affermatostorico casalese (e apprezzato collaboratore de Il Monferrato) Roberto Coaloa  a cura di don Marco Eugenio Brusutti (nato a Venezia, viceparroco della Parrocchia di Santa Caterina da Siena a Trieste, presidente della fondazione Brusutti, vaticanista per il telegiornale LA7 e direttore editoriale del settimanale diocesano “Il Domenicale di S. Giusto”), arricchito da una prefazione del Cardinale Angelo Comastri e una postfazione dell'arciduca  Martino d’Austria-Este.

A vent’anni dalla beatificazione dell’ultimo Imperatore e Re dell’Austria-Ungheria, avvenuta in San Pietro il 3 ottobre 2004, e voluta fortemente da Papa Giovanni Paolo II, esce ora questo volume di 512 pagine, ricco di inediti, che non s’indirizza solo al pubblico di lettori appassionati della Prima guerra mondiale. Sulla scia della beatificazione di Carlo sono infatti molteplici le iniziative organizzate in Italia e nel mondo sulla sua figura.

Ospiti a Trieste, al cospetto di tante autorità e di un numeroso pubblico, Roberto Coaloa e don Marco Eugenio Brusutti, introdotti da Serena De Vanna Semerini, presidente dell’Inner Wheel Club di Trieste, hanno completamente preso l’attenzione dei presenti, proponendo con vivacità (Coaloa dal punto di vista storico, Brusutti da quello spirituale e morale) la figura dell’ultimo Imperatore.

Scrive Coaloa, nell’introduzione al libro: «Uno dei motivi che mi ha spinto ad accogliere la proposta di scrivere una nuova e ampia biografia dedicata all’ultimo Imperatore asburgico è che nel mercato librario italiano scarseggiano le opere biografiche su di lui. Da qui, la preziosa collaborazione con Don Marco Eugenio Brusutti per approfondire gli aspetti più morali e spirituali di Carlo d'Asburgo. Il mio precedente lavoro rivolto alla sua figura, pubblicato nel 2012, riedito e ristampato più volte, è – dal 2017 – esaurito. In Italia, inoltre, non è stata tradotta la grande opera della storica austriaca Elisabeth Kovács (1930-2013), che nel 2004 ha pubblicato e commentato i più importanti documenti e le testimonianze sull’Imperatore. Non sono state tradotte neanche le biografie di carattere divulgativo, ma altrettanto importanti di Charles Coulombe, Eva Demmerle e Michel Dugast Rouillé (1919-1987). Lo studio più esteso e profondo finora uscito in traduzione italiana è quello dello storico britannico Gordon Brook-Shepherd (1918-2004): La tragedia degli ultimi Asburgo, pubblicato da Rizzoli nel 1974. L’edizione originale inglese, The last Habsburg, era del 1968. Ma il libro di Brook-Shepherd, uscito cinquant’anni fa in Italia, non è stato più riproposto. Si tratta con tutta evidenza di uno scenario desolante, soprattutto se lo si raffronta con la ricca letteratura internazionale, in lingua tedesca, francese e inglese, e insufficiente per cercare di comprendere una delle figure più dibattute della storia europea della Prima guerra mondiale. Il secondo motivo che mi ha indotto a questa nuova ricerca e scrittura sulla figura di Carlo d’Asburgo è di natura più strettamente storiografica. Nello studio che si propone è centrale la storia di una ricerca di pace condotta personalmente da Carlo d’Asburgo durante la Grande guerra. Fu l’unico Capo di Stato ad accogliere l’invito di Papa Benedetto XV a fermare la «inutile strage». Nel 1917, l’Imperatore Carlo cercò di trovare una pace, invano. Il 1917 fu l’anno delle occasioni perdute, non solo per la sopravvivenza dell’Austria-Ungheria. I tentativi di pace di Carlo e del Santo Padre urtarono contro l’austro fobia e l’anticlericalismo della Francia e dell’Italia, oltre all’antipapismo del presidente americano che si rifiutò di vedere Papa Benedetto XV arbitro delle relazioni internazionali. La scomparsa dell’Impero degli Asburgo causò un trauma nella storia d’Europa del Novecento e le problematiche irrisolte dei trattati di pace di due guerre mondiali sono arrivate fino ai nostri giorni, come dimostra l’attuale guerra tra Russia e Ucraina».

Lo studio mostra la figura del Beato Carlo d’Asburgo, morto in esilio nell’isola di Madera all’età di trentaquattro anni, il 1° aprile 1922, come centrale nella storia diplomatica e militare della Prima guerra mondiale e, addirittura, profetica per i successivi destini d’Europa.

Carlo d’Asburgo poteva essere il salvatore della Duplice Monarchia, dopo i 68 anni del prozio Francesco Giuseppe. Era senz’altro l’uomo giusto, ma ebbe la sfortuna di diventare Imperatore, alla fine del 1916, ereditando una guerra da lui non voluta.

Le ricerche per la stesura di questo volume sono state svolte nell’arco di più di vent’anni. Questi i luoghi principali (tutti gli archivi sono elencati e descritti nelle conclusioni del volume): in Portogallo, a Madera. In Austria, a Vienna, l’Österreichische Staatsarchive. In Gran Bretagna, le ricerche sono state assai proficue: «col grazioso permesso di Sua Maestà la Regina» il ricercatore ha potuto avere accesso, al castello di Windsor, a tutti i documenti riguardanti l’Imperatore Carlo e Re Giorgio V (il nonno della Regina Elisabetta II e bisnonno dell’attuale Re Carlo III), che affidò alla protezione di Carlo e Zita, alla fine della guerra, i suoi migliori uomini, come il tenente colonnello Edward Lisle Strutt, per non replicare la tragedia dei Romanov.

 

 

Coaloa racconta il King’s Man Edward Lisle Strutt, che salvò la vita a Carlo d’Asburgo e a Zita

Questa è una storia inedita, che Coaloa ha tirato fuori dall’oblio, ritrovando e riproducendo i taccuini, le lettere conservate al Castello di Windsor. Il millenario Castello di Windsor è l’edificio storico della famiglia reale inglese, dove si è rifugiata la Regina Elisabetta insieme alla sorella Margaret durante la Seconda guerra mondiale. L’imponente costruzione è stata una delle dimore preferite di Elisabetta II, che la considerava la sua casa di campagna. Coaloa ricorda la sua esperienza e le sue ricerche nel Castello di Windsor per i nostri lettori: «Da molti anni, dal 2004, ero alla caccia di notizie sulla “missione impossibile” che Re Giorgio V aveva affidato, nel febbraio 1919, al tenente colonnello Strutt: quella di salvare Carlo e Zita, dopo l’anno terribile del 1918, quando non era riuscito a salvare suo cugino, lo Zar Nicola II, e tutta la sua numerosa famiglia dalla strage compiuta dagli uomini di Lenin. Nel 2006 realizzai una prima indagine nei Royal Archives. Poi, nel 2017, dopo una serie interminabile di lettere con i responsabili del Castello di Windsor e Sua Maestà britannica, ebbi il premesso di consultare, nel febbraio 2018, il materiale su Strutt, in particolare il “Diary of a Special Mission”. È una storia avventurosa, B.I.G., direbbero gli amici inglesi, che va qui raccontata. A partire dal personaggio straordinario che fu Edward Lisle Strutt, nato l’8 febbraio 1874. Nel 1893, il giovane Strutt entrò al Christ Church di Oxford, ma, dopo un anno, da nobile proprietario annoiato, se ne andò senza una laurea. Era un grande sportivo e desiderava la gloria. Si trovò a suo agio, finalmente, nell’esercito, unendosi nel 1898 al Terzo Battaglione dei Royal Scots. Per due lunghi anni, Strutt combatté nella guerra anglo boera. Prima del conflitto mondiale, Strutt si dedicò agli sport invernali, sciando a St. Moritz e facendo amicizia con l’erede al trono d’Austria, l’Arciduca Francesco Ferdinando. Nella Grande guerra i Royal Scots furono mobilitati e inviati in Francia. Nel gennaio 1919, il tenente colonnello Edward Lisle Strutt, carico di medaglie e decorazioni, stava tornando a casa dal fronte orientale. Si trovava a Venezia, con l’intenzione di proseguire per Parigi, quando, alla fine di febbraio, fu mandato in Austria, a Eckartsau, per salvare l’Imperatore Carlo e Zita dal nuovo clima di rivoluzione e violenza che stava dilagando in Austria. Dall’Est soffiava il vento della rivoluzione. A Vienna era stata proclamata la Repubblica. A Budapest s’imponeva Béla Kun. Anche i castelli come Eckartsau non erano più sicuri per gli Asburgo. Strutt, il 21 febbraio 1919, si trovava, appunto, a Venezia, al Danieli. Era agitatissimo per via di un nuovo incarico. Era, infatti, arrivato all’Hotel veneziano un telegramma, ma Strutt ne ignorava il contenuto pur sapendo che erano nuovi ordini da eseguire. Cosa diavolo poteva esserci in quel telegramma? Quale sarebbe stato il nuovo ordine? Strutt implorava la sorte e il buon Dio affinché nulla gli impedisse di arrivare a Parigi come previsto. Strutt trascorse la giornata flaneggiando per i canali invernali di Venezia, ricordando tempi più felici. Doveva vedere che i sacchi di sabbia circondavano ancora gli edifici nelle piazze fredde e solitarie. C’erano poche persone in giro. Il vento stava diventando freddo, così alla fine si tirò su il colletto e tornò al Danieli, pensando a tempi più felici da trascorrere con l’amata moglie. Decise di prendere un libro dalla biblioteca dell’Hotel e di riposare nel lusso ritrovato del Danieli. Alle 14.00 del giorno seguente, Strutt fu convocato in una stanza privata dal generale Babington, ex comandante in capo del vecchio esercito di Kitchener, ora ventinovesima divisione, e dal suo capo di stato maggiore, il generale di brigata Pitt Taylor. Erano appena arrivati ​​all’Hotel. Alla loro vista, Strutt capì che le notizie sarebbero state pessime. Dopo le solite cortesie e gli sguardi curiosi offerti da tutte le parti, perché Babington stesso non capiva il motivo della sua presenza lì, Babington consegnò a Strutt una busta. Il messaggio era del suo capo, il tenente generale Sir Tom Bridges, da Costantinopoli, e dichiarava enigmaticamente: TOP SECRET. You will proceed at once to Eckartsau and give Emperor and Empress moral support of British Government. They are stated to be in danger of their lives, to be suffering great hardships and lack medical attention. Endeavour by every possible means to ameliorate their condition (signed) Lt General Tom Bridges. Strutt era sconcertato e Babington stesso era sorpreso che un ufficiale britannico ricevesse un simile incarico. Conclusero tutti che l’Imperatore doveva essere l’Imperatore d’Austria. Ma la guerra era finita. Strutt era già provato da quattro anni di missioni e pericoli mortali e stava, finalmente, tornando a casa. L'intera idea di “salvare” l’ex nemico asburgico era folle. Babington gli disse che gli ordini provenivano direttamente da Downing Street. Era sorpreso quanto Strutt, ma non c'era nulla da fare. Era terribilmente dispiaciuto. Sembrava costernato. Con sua grande sorpresa, Strutt cambiò idea quando incontrò Carlo d’Asburgo e rimase affascinato da sua moglie Zita, imperatrice d'Austria-Ungheria. Da allora in poi, fu al loro servizio, in qualità di Ehrenkavalier, nonostante il pericolo per la sua vita e la sua carriera. Portò la coppia imperiale da Vienna all’esilio svizzero. Accompagnò Carlo e Zita in Ungheria, occupandosi poi del loro trasferimento a Madera, dove giunsero nel novembre 1921, e occupandosi dei loro figli rimasti in Svizzera, fino al loro arrivo a Madera nel febbraio 1922. Fortunatamente per noi, Strutt tenne un diario che fu depositato nell'archivio reale di Windsor, dove rimase dimenticato per i successivi settanta anni. Dopo la morte dell’Imperatore Carlo, il gentleman Strutt, grande alpinista, organizzò la seconda spedizione inglese sull’Everest e trascorse il resto della sua vita dedicandosi a sua moglie Frances Nina Hollond, alla Chiesa e al Club Alpino, di cui fu a lungo presidente. Morì a Edimburgo il 7 luglio 1948, all’età di settantaquattro anni».

 

 

Il quadro dell’Imperatore Carlo a Trieste

Ritornando a Trieste, l’evento è stato particolarmente coinvolgente grazie al legame che unisce la dinastia asburgica con la città che era stato il principale porto della Duplice Monarchia. In occasione della presentazione è stata eccezionalmente esposta l’opera del pittore triestino Antonio Lonza (1846-1918), un quadro di grandi dimensioni raffigurante l’Imperatore Carlo d’Asburgo in abiti dell’Ordine cavalleresco del Toson d’Oro. Antonio Lonza è un artista celebre a Trieste. In un’altra galleria triestina, il Museo Civico Revoltella, è conservato infatti una delle sue pitture a olio più caratteristiche: Lorenzo de’ Medici morente viene esortato da Savonarola a dare la libertà ai fiorentini. Nato a Trieste, Antonio Lonza, allievo dell’accademia di Venezia, nel 1874 si recò a Roma, grazie a una borsa di studio del comune di Trieste. Pittore ispirato da Mariano Fortuny, con pennellate ricche e vibranti, trattò soprattutto la pittura aneddotica di sfondo settecentesco. Grande successo ebbero a Parigi i suoi Giocolieri.

Alla presentazione del nuovo libro sull’ultimo Imperatore, è intervenuta, infatti, la responsabile del museo, Michela Messina, che ha raccontato la storia dell’opera conservata nella quadreria del Museo Sartorio, che racconta anche il trionfo degli ordini dinastici e cavallereschi, dai più antichi come l’Ordine della Giarrettiera o il celebre Toson d’Oro, le cui decorazioni – sotto forma di collari, croci, cordoni – sono mostrate orgogliosamente nei ritratti di chi ne era stato insignito. Dall’inizio del Settecento, infatti, tutti i sovrani europei iniziarono a dare vita ai propri ordini dinastici con caratteristiche di esclusività e relativi privilegi, allo scopo di costituire un gruppo ristretto di fedelissimi del sovrano e di esprimere e strutturare una “teatralità” gentilizia e di corte. A questi si aggiunsero poi, dalla metà del secolo, numerosi ordini secolari al merito militare e civile, tra i più celebri, figurano gli asburgici ordini di Maria Teresa e di Santo Stefano. Nei ritratti di Stato gli Imperatori d’Austria, fino alla fine della monarchia, hanno amato farsi raffigurare nell’autorevole abito degli ordini cavallereschi di cui erano a capo, perché utili a soddisfare le esigenze di auto-rappresentazione mettendo in evidenza, definendoli con esattezza, i segni caratteristici dell’esercizio del potere.

FOTO. Roberto Coaloa e il quadro dell'Imperatore Carlo (opera di Antonio Lonza. Civico Museo Sartorio di Trieste).