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Presuli monferrini: Tullio del Carretto

19 - Vescovo, muore nel 1614 -Viene sepolto nella chiesa di Santa Chiara, delle suore Cappuccine

Discendenza addirittura aleramica, la famiglia Del Carretto si è divisa nei secoli in diversi rami, verso la Liguria, il Torinese, il Casalese. Proprio a Casale, nel ‘500 hanno un palazzotto nel Cantone Lago, dietro la vecchia chiesa di San Francesco. E’ la residenza del marchese Galeotto (margravio di Savona, conte di Millesimo, nonché proconsole di Casale nel 1574 e 1578) e della consorte Anna Radicati di Cocconato.

Qui nasce Tullio, poco dopo la metà del secolo. Sul nome qualche difformità tra fonti diverse, taluna - e tra queste anche la nota enciclopedia Treccani - lo definisce Giulio, ma prevale l’altro nome, che si legge tra l’altro nella cronotassi dei vescovi casalesi; in un manoscritto del 1766 conservato nella Biblioteca Ambrosiana di Milano; nell’epitaffio sulla prima tomba a Casale nella chiesa-convento di Santa Chiara, da lui fatti costruire, ora auditorium in via Facino Cane: “Tullii Carretti Episcopi Casalensis, Sanguinis nobilitate, sanctitate ac humilitate celeberrimi, Cuius summa diligentia ac munificentia hoc monasterium struxit, hic ossa humilis tumulus humil ter tegit Ob. die 13 oct. A. 1614”.

Del periodo dell’adolescenza e gioventù si conosce ben poco, ma alla luce dei comportamenti nell’età più matura si può giudicare che “dovette essere tutto dedito all'acquisto delle più utili e nobili scienze e delle più mirabili cristiane virtù”. Dopo aver completato gli studi giuridici, Tullio si trasferisce a Roma, dove resterà per quindi o forse più anni, legato alla Corte pontificia e frequentando gli ambienti gesuitici. Nel 1588 è già avvocato rotale. Nel 1589 gli viene affidato il governo di Ascoli Piceno, terra dello Stato Pontificio. Ha sempre uno stretto rapporto con il duca Gonzaga di Mantova, che nel settembre 1591 la nomina ambasciatore presso la Santa Sede, ruolo di tutto prestigio.

In questi anni emergono la sua determinazione e il notevole fiuto politico, specie nell’osservare, giudicare, riferire a Mantova le vicende del Papato. Nell’autunno 1591, passato come meteora (appena 62 giorni) il pontificato di Innocenzo IX, la tiara finisce sul capo del cardinale Aldobrandini, Clemente VIII. Tullio consiglia al Gonzaga di rafforzare i rapporti con Roma, e i risultati si vedranno, con l’attribuzione di non pochi benefici ecclesiastici nel territorio del Ducato. A tale periodo risale una lettera importante e curiosa, dove Tullio scrive al duca di “essere occupato ad imparare le cerimonie della messa per celebrarla... il giorno dell'Annuntiata..."! Segno che evidentemente l’attività quotidiana si è sempre focalizzata sull’impegno giuridico-politico, assai meno su quello ecclesiale. O forse l’ordinazione a presbitero non è ancora avvenuta, pur se taluno lo definisce “abate”? Qui le notizie sono poco chiare se non assenti.

Si arriva al 1593. Tullio ha nuovi interessi, punta al vescovato di Mantova, quindi cerca sponsor che sollecitino il Gonzaga ad intervenire in tal senso sul Pontefice. A Mantova arriva monsignor Francesco, nipote del defunto duca Federico II Gonzaga, ma per Tullio si libera nell’estate dell’anno successivo la diocesi di Casale, della quale prende possesso il 13 luglio, e “dalla quale con ogni segno di affetto, di stima e d'esultanza fu ricevuto”. In quello stesso anno consacra in città la chiesa di San Paolo, dei Chierici Barnabiti. Nel 1595 approvò la riforma degli Statuti del Capitolo Evasiano. Due anni dopo, inizia la visita pastorale (sono ben 120 parrocchie) e indice il Sinodo diocesano. E’ descritto come “dedito a tutt'uomo a procurare il bene, tanto spirituale che temporale, dei fedeli alle sue cure affidati, senza risparmio alcuno di fatiche, di disturbi e di pene”. Confessa in duomo fino a tarda ora, insegna catechismo ai bambini, “fa copiose limosine nelle case, distribuisce vino, grano e minestra ogni giorno, visita gl'infermi e i monasteri”. Nel 1598, quando la peste imperversa nel Monferrato, “assiste indefessamente e con grande carità gli ammalati”. Nel 1613 collabora con padre Giacinto Natta per l'introduzione a Casale dei Padri di san Filippo Neri; fa iniziare i lavori per il monastero delle Orsoline; si espone “alle ire dei potenti per estirpare il vizio”. “L'ardente sua carità spingevalo financo a spogliarsi delle proprie vesti per donarle agli indigenti, a dotare povere zitelle onde collocarle onestamente in matrimonio, a sovvenire largamente le persone di mala vita che dimostravano di voler ritornare sul retto sentiero; alla sua beneficenza non bastavano né le rendite private nè quelle della episcopale sua mensa, chè, anzi, contrasse varii debiti”.

Il vescovo Del Carretto muore il 13 ottobre 1614. Viene sepolto nella chiesa di Santa Chiara, delle suore Cappuccine (oggi via Cane, ndr). A seguito della soppressione napoleonica dei conventi nel 1802, i suoi resti sono collocati in una cassetta, depositata “nella chiesa cattedrale, in un vacuo sotterraneo la cui apertura, dopo il collocamento di altre reliquie, è ”fatta chiudere con un muro”.

Dal giorno della morte - si legge nel “Giornale degli studiosi” del 1871 - non si contano prodigiose guarigioni e favori, attribuiti alla sua intercessione. Un processo d'iniziativa privata, avviato nel 1675 per la sua canonizzazione, s’interrompe dopo qualche anno e non risulta ripreso.

In qualche storia appare il titolo di venerabile, ma resta il dubbio.

aldo timossi

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