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Prelati monferrini (23) di Aldo Timossi
Carlo Antonio Gozano destinato a vescovo di Acqui, nasce a Casale nel 1641
Carlo Antonio Gozano (in qualche testo scritto come Gozzano o Gozani come usa anche il De Conti), destinato a vescovo di Acqui, nasce a Casale nel 1641 (o forse 1640 come su “Catholic Hierarchy”) terzogenito di Giovanni “il giovane” e della seconda moglie Antonia Ghione. La famiglia è giunta nel Monferrato dal Cusio a fine ‘500, richiamata dalla possibilità di buoni affari con la richiesta di armi e di strumenti legati alla lavorazione del ferro, richiesti dalla politica di rafforzamento militare promossa dai Gonzaga, e che vedrà all’inizio del secolo successivo la costruzione della Cittadella.
Si stabiliscono nel vecchio cantone Brignano, contrada San Paolo, oggi via Mameli. E’ la zona vip della città, ci sono belle case in vendita, i Gozano comprano e si allargano. A fine ‘700 sia il ramo dei Treville quanto quello dei San Giorgio (il ramo di Carlo Antonio) saranno proprietari di due grandiosi palazzi, oggi sede rispettivamente dell’Accademia Filarmonica e del Municipio.
Carlo Antonio è “ricchissimo come il secondogenito Giacomo Bartolomeo”. Di intelligenza non comune, compie gli studi accademici a Pavia e Milano, poi a Roma dove si laurea in diritto e sacra teologia, uno dei tanti esempi di avvocato e religioso. Ordinato presbitero nel 1664, già l’anno successivo è arcidiacono della cattedrale di Casale; gli studi giuridici gli meritano anche il titolo di protonotario apostolico. Il 30 settembre 1675, su proposta del Duca di Mantova, la nomina pontificia a vescovo di Acqui, e il 6 ottobre successivo la consacrazione nelle mani del cardinale Carlo Pio di Savoia. Diversi testi citano come chiesa della solenne celebrazione un “Sant’Andrea di Casale”, evidentemente usando come prima fonte le storie del De Conti. Confermato che si tratti di Casale, poiché nello stesso giorno il neo vescovo consacra la chiesetta casalese della Madonna delle Mura (nell’attuale Viale Morozzo, oggi parrocchia ortodossa romena), arduo dare un volto al tempio del santo Andrea!
L’accoglienza nella nuova sede, l’11 dicembre, non è delle migliori: “Malgrado le ottime sue qualità, e grandezza d'animo, siccome la sua elezione non era stata di gradimento di tutta la Città, ebbe dei nemici dai quali in que' tempi, in cui il vizio e la prepotenza trionfavano, fu più d' una volta insidiata la sua vita”, annota Guido Biorci in “Antichità e prerogative d’Acqui Statiella” (1819). “Non mancò d'ammiratori e ad un tempo di bassi spiriti maldicenti, cosa comunissima a quei cuori generosi, nati solo per beneficare e ricevere ingratitudine” conferma Olivero Iozzi in “Piemonte sacro” (1880). Più in generale pare che il gregge avesse poco gradito la notizia della nomina di un nuovo pastore “forestiero e troppo austero”, e per di più con patente di nobiltà (nel 1670 il padre Giovanni aveva acquisito il feudo di San Giorgio, eretto poi in contea, e lui stesso - scrive la critica d’arte Giuliana Romano Bussola - è titolare dal 1671 di “mezzo feudo di Pontestura già del marchese Paolo Scarampi di Camino, e infeudato con titolo signorile dal duca Ferdinando Gonzaga”).
A dispetto delle critiche, fin dai primi anni del suo vescovado, “preso da un santo zelo di moltiplicare i luoghi di adorazione”, tanto da essere definito come “innamorato del fabbricare”, da prova della propria munificenza facendo riedificare una cappella campestre sulla sponda sinistra della Bormida, a poca distanza dal ponte di fronte alle terme, dedicata all'Annunciazione di Maria. Ristruttura la chiesa della Madonnalta, situata sulla direttrice dell’antica via consolare Aemilia Scauri proveniente da Vada Sabatia (odierna Vado Ligure), fra il paese di Terzo e Acqui; un piccolo gioiello, in facciata un bellissimo portico con colonne tuscaniche, interno a tre navate e abside quadrata. Si occuperà dell’antico monastero benedettino di San Pietro, già basilica paleocristiana, in centro città, dividendo il compendio in due chiese. di cui una alla Madonna Addolorata. Presterà attenzione, procurandone l’abbellimento, alla chiesa di Madonna dell’Olmo, che con Perletto è feudo dei Gozzano dal 1682.
Avendo ovviamente un occhio di riguardo per la sua cattedrale, nel 1680 fa rimuovere dal tempi i banchi dei cittadini, dopo aver constatato che erano “rovinati e scompagni”. Il Municipio protesta e monsignor Gozano risponde che avrebbe permesso i banchi , purché in buono stato e tutti uniformi. Detto, fatto, la città aderisce alla richiesta e i nuovi banchi tornano in chiesa. Al suo borsellino si devono la sistemazione dell’altar maggiore in marmo, i nuovi pavimenti, le due entrate laterali e la nuova porta centrale con lo stemma di famiglia.
Le cronache del tempo ricordano non poche vicende di contrasti con alcune comunità del territorio diocesano, che un cronista del tempo definisce addirittura quali “persecutori” del vescovo. Nel 1690 denuncia il grave degrado della città senza leggi e senza fede. Scrive il Biorci che “nel 1693 le famiglie potenti appesero ai muri della città e della cattedrale un manifesto raffigurante una testa d’asino, procurandogli dure e umilianti sofferenze. La curia romana li definì quali bricconi di primo rango”. Nel 1701 minaccia la scomunica agli amministratori, se non avessero pagato quanto deve la città alla Congregazione dei Legati Pii, e restituito al Monte di Pietà i denari fattisi prestare. “Tra il 1696 e il 1704 i parroci di Mombaruzzo e San Marzano, appoggiati dai Savoia, lo denunciano per supposti rimproveri, ma l’accusa risulta poi una meschina calunnia”.
“Stima e fiducia” contrassegnano le relazioni con l’imperatore Leopoldo I. Un diploma del 23 marzo 1699 conferma al vescovo “Gozanus”, “a noi devoto e da noi diletto”, tutti i privilegi nei secoli concessi alla Chiesa di Acqui, e nel tempo andati in desuetudine. Tra questi, il privilegio al vescovo di usare il sigillo come principe, conferire lauree, coniare monete d’oro con la propria effige. In effetti, durante i solenni pontificali viene esibita la spada portata da due chierici e un verde cappello cardinalizio, quali insegne del principe.
Importanti i suoi Sinodi per una efficace riforma della diocesi. Il primo celebrato nel 1679, il secondo nel 1699. Una terza e una quarta indizione hanno esito negativo, anche per malumori all’interno dello stesso clero e per una sorta di ribellione nei confronti dell’autorità vescovile.
Nel 1708, con il passaggio del Monferrato dai Mantova ai Savoia, per monsignor Gozano la vita si fa più difficile. Sono annullate le concessioni imperiali e Il clima di contrasto porta la popolazione a disertare gli incontri durante le visite pastorali, tanto da costringerlo a sospendere la somministrazione delle cresime. “Stanco ed avvilito” presenta una lettera di dimissioni, rifiutata dal Papa che riconosce i meriti del presule. In questa delicata situazione, si ritira nel castello di famiglia di Olmo Gentile.
Lascia da buon pastore il suo gregge, all’età di ben 81 anni, il giorno 11 di dicembre 1721. “I poveri perdettero in lui un ricco benefattore, dal quale non furono dimenticati nel testamento: legò all'Ospedale 500 Doppie d'oro da impiegarsi nell'acquisto di tanti censi, il di cui reddito si convertisse in soccorso de' Poveri e famiglie più bisognose della Città, (…) al Capitolo legò la somma di 100 Doppie coll'obbligo perpetuo ai canonici di dovere prima di partire dal Coro dire “Deo gratias”, che era la frase più famigliare del pio Vescovo, (…) prescrisse pure, che sulla sua tomba non si apponesse altra inscrizione, che questa: ECCE FINIS. DEO GRATIAS”. Da quel marmo si ha conferma del cognome con una sola “z”: “CAROLO ANTONIO GOZANO”; lapide posta dai parenti “MARCHIONES FABRITIUS ET CAROLUS DE GOZANIS”.
aldo timossi
23- continua
Foto da Fondazione San Paolo