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Prelati casalesi (13) di Aldo Timossi
Carlo Montiglio, per il Casalis nativo di Trino, per l’Alghisi di Casale - 18 anni di ministero a Viterbo
Definito in una recente pubblicazione come “esponente di un casato della nobiltà feudale del Monferrato, tra i più devoti ai Gonzaga”, monsignor Carlo Montiglio rientra nella vasta categoria di vescovi che alla guida spirituale hanno legato l’attività diplomatica.
“Casalensis” lo definisce il Conrad nella sua fondamentale “Hierarchia catholica medii aevi”, il Casalis lo dice nativo di Trino, l’Alghisi di Casale.
Incerto l’anno di nascita, forse intorno al 1520/30, considerato che nel 1564 il De Conti lo cita già come monsignore, in un atto notarile che conferma, mediante pagamento di cento scudi, il possesso della “commenda e precettoria di sant’Antonio di Casale, dipendente dal monastero di Vienna dell’ordine di sant’Agostino” ma della quale era stato primo possessore e abate. All’atto della stipula, Montiglio agisce con procuratori, poiché “si ritrova in Roma”. In effetti, dopo la laurea in legge ha iniziato la carriera prelatizia come vicario del cardinal Rodolfo Pio di Carpi, amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Agrigento dal 1544 al 1564. Alle spalle ha una famiglia di quelle che contano. Nel 1531 il padre, Carlo senior, consigliere del marchese monferrino e governatore del castello di Casale, è subentrato agli Incisa nel possesso di Gabiano, e cumulando concessioni ed acquisti si è fatto Signore della contea di Gabiano. Non si contano i paesi soggetti ai Montiglio, dall’omonimo marchesato, a contee, baronie, signorie, consignorie.
Lasciata nel 1564 Agrigento, appare due anni dopo come governatore pontificio di Rimini, quindi stesso incarico a Fano nel 1568. Il 20 novembre 1570 arriva la nomina alla diocesi di Amalfi, con il titolo di arcivescovo. Prende possesso della cattedra il 13 dicembre. Come metropolita ha un ruolo di tutto rilievo, la sua giurisdizione si estende alle sedi vescovili suffraganee di Scala, Minori, Lettere e Capri. Dal 28 marzo 1576, o (secondo alcune fonti) qualche tempo prima, è suffraganeo del cardinale Francesco Gambara, vescovo di Viterbo. Tale resta per qualche tempo: una storia viterbese edita nel 1742, descrivendo la consacrazione del santuario della Vergine della Quercia, avvenuta nell’aprile 1577 - ex voto per aver liberato il territorio da “grandissime schiere di cavallette” - cita “il cardinal vescovo Gambara, assistito dal predetto suo suffraganeo Carlo Montilio”. Alla morte del prelato, nel 1587, “Carlo Montilio rimane in questo vescovado non più come suffraganeo, ma bensì come vescovo principale ed assoluto”. In realtà, “principale” lo sarebbe già da qualche anno, essendo il cardinale impegnato a Roma “per affari della Santa Sede”: una lapide posta nel 1583 a ricordo della consacrazione della chiesa francescana di Barbarano Romano cita solamente “Carolus Montilius Casalensis, Archiepiscopus Amalphitanus, Episcopus Viterbiensis”. A supporto di tale ipotesi, il fatto che nel marzo 1584 è ancora il solo Montiglio a celebrare il sinodo diocesano e ad emanarne le costituzioni e i decreti.
Durante i 18 anni di ministero a Viterbo (salirà in Cielo il 10 aprile 1594), si occupa in particolare della conservazione della fede, della lotta contro gli eretici, dell’istruzione religiosa, del culto e del decoro delle chiese, dell’amministrazione dei sacramenti, dell’amministrazione dei beni ecclesiastici dei luoghi pii, della disciplina degli ecclesiastici Non poche sono le trasferte in Italia e all’estero.
A Casale ritorna volentieri. Intorno al 1568/69 benedice la prima pietra della chiesa barnabita di San Paolo.
Nel 1578 scrive il De Conti che a ottobre il neo-cardinale Gian Vincenzo Gonzaga “partì da Casale con tutta la sua corte in barca per andarsene a Roma, dove era stato domandato da S. Santità a pigliare il cappello; fu accompagnato dal rev. arcivescovo Montiglio, gentiluomo di Casale, vescovo di Viterbo, il quale si era ritenuto solo il nome di arcivescovo, avendo permutato l'arcivescovato che aveva in Paglia (?) con il vescovato di Viterbo”. Tornerà qualche anno più tardi, per benedire la prima pietra della chiesa di San Paolo, dei padri Barnabiti. Nel 1576 è visitatore apostolico in Lombardia.
Lunghe e minuziose le visite apostoliche in tutte le terre del Marchesato di Monferrato e nelle diocesi di Alessandria e Genova. Durano tre anni dal 1583. In ogni parrocchia ispeziona, suggerisce, rampogna, ordina. Qualche esempio tra tanti. A Occimiano vanno rifatti tetto e pavimento e “imbiancar le mura” della chiesa di San Vitale; a Grazzano, abbazia Santi Vittore e Corona, vanno sistemate le sepolture; nella parrocchiale di Rosignano occorre “levar quelle aque, et terra d’intorno, che marzano le mura”; per Moncalvo è ancora in sospeso la costruzione della nuova chiesa, la comunità ha tempo un mese per iniziarla “sotto pena di 200 scudi et d’interdetto da incorrersi ipso facto senz’altra dichiarazione essendo che più volte hanno promesso gli uomini della communità darli principio, et mai hanno esseguito, et passano sempre in discorsi del sito dove s’habbia fabricare”; a San Pietro di Brusasco, malridotta, ordina di fare “il suolo, et soffitta et imbiancandovi i muri”; a Balzola unisce alla parrocchia la zona a nord di Casale al di là del Po, che nel 1603 confluirà nella nuova parrocchia del Corno (Casale Popolo); rampogna i presbiteri di Murisengo, che hanno “in parte destrutto a posta il campanile per ristorar la chiesa”!
Dopo un breve periodo nel 1591 come nunzio a Firenze, presso Ferdinando gran Duca di Toscana, è con il cardinale Filippo Sega nominato legato a latere alla corte del re francese Enrico IV. Missione difficile nell’orizzonte di un’Europa che da inizio ‘500 ha visto allargarsi l’adesione alla riforma protestante, innescando un secolo di guerre di religione, particolarmente pesanti nella seconda metà del secolo proprio in Francia con lo scontro fra ugonotti e cattolici. E’ durante questa legazione che Enrico IV abiurò, per convinzione a tornaconto, il calvinismo. Il lavoro diplomatico degli ultimi anni potrebbe avvicinare Montiglio alla porpora, ma la salute non lo assiste. Sulla via di ritorno a Roma deve fermarsi ad Orbetello, sopraffatto dalla malattia. Il cammino terreno termina il 10 maggio 1594.
Aldo Timossi (13)