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Fiori e frutti nella storia, nell'arte e nella letteratura

Dionigi Roggero all'ISRAL

Giovedì  in Alessandria, presso la sede dell' ISRAL, si è svolta la seconda lezione del Corso di formazione di Geografia sul tema “La Geografia nella Scuola. Approfondimenti didattici e culturali di cartografia, geografia culturale, geostoria”. Affascinante il titolo della lezione: “Fiori e frutti nella storia, nell'arte e nella letteratura, dall'antichità ai giorni nostri”. Relatore Dionigi Roggero, storico, giornalista, delegato FAI e collaboratore delMonferrato, che ha corredato la sua esposizione con splendide immagini e ha goduto di grandi interesse ed attenzione da parte di un numeroso pubblico.

Ha iniziato con l'indicare cinque fiori per la sua analisi: rosa, ginestra, geranio, narciso, giglio. Alla rosa ha posto la corona in testa attribuendole il titolo di regina. E questo perché la rosa balza un po' in evidenza, nella sua trattazione, come regina. Ricorda David Austin, un signore inglese, creatore di diversi tipi di rose, tra cui una, che come colore richiama molto il vino, chiamandola “rosa del Monferrato”. Poi, la valenza semantica della rosa non è sfuggita a Umberto Eco, che la inserisce nel titolo di un suo ben noto romanzo, “Il nome della rosa”, con la frase alla fine dell'opera: “Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus” (di tutte le cose non resta alla fine che un ricordo, un semplice nome). Cita quindi il canto XXXI del “Paradiso” di Dante con la “candida rosa dei beati”. Mostra la “rosa meditativa” di Dalì e conclude con un'altra immagine che richiama la storia, con la guerra “delle due rose”.

Passa quindi alla ginestra, fiore che intanto compare nella letteratura latina, in Plinio il vecchio nella sua “Naturalis historia”. Nel segno della ginestra hanno governato a lungo sovrani inglesi, dal 1154 al 1485. Ma anche il re francese Luigi IX “il santo” fondò l'ordine cavalleresco del Baccello della Ginestra. Infine non si può parlare della ginestra senza ricordare il poeta Giacomo Leopardi con la sua composizione “La ginestra. Il fiore del deserto”, stesa nel 1836 a Torre del Greco, poesia in cui Leopardi propone una sorta di “social catena”, che, come antidoto ad un pessimismo disperato, unisca in solidarietà tutti gli uomini. 

L'altro fiore è il geranio, che ci porta subito in Monferrato, col pittore divisionista Angelo Morbelli. Di questo artista il relatore si sofferma particolarmente su tre opere (in cui entrano anche i gerani): dal giardino della Colma di Rosignano “Il geranio”, “Il telegramma”, mentre un “Vaso di gerani” è presente al Museo Civico di Casale.

Di seguito viene il narciso. Si può partire con Pompei e la Casa di Leda (è una scoperta recente) in cui  vi è una rappresentazione di Narciso. Il personaggio compare ne”Le metamorfosi” di Ovidio. E' nota la storia del giovane che, specchiandosi nell'acqua, si innamora della propria immagine, sino a morire, cadendo nello stesso stagno, e la leggenda racconta che lì nascesse il narciso. I romani pensavano tra l'altro che nascesse nell'al di là. A Parigi, ai Campi Elisi, si tiene una periodica mostra dei fiori, in cui i narcisi sono presenti, che sembra risalga alla volontà di Maria de' Medici, andata in sposa a Enrico IV. Ma non si può non pensare anche ai Savoia e alla mostra “Le meraviglie del mondo” a palazzo Reale in Torino, in cui fan da padrone le collezioni di Carlo Emanuele I di Savoia. Nella reggia di Venaria Reale è conservata la cosiddetta peota, un bucintoro; tra le figure in legno, ricoperte di lamine d'oro, campeggia sulla prua dell'imbarcazione, proprio la figura di Narciso. La serie di “narciso” si conclude degnamente con “Narciso che si riflette nell'acqua” di Caravaggio.

Il settore fiori si conclude col giglio. Dionigi parte da “L'origine della Via Lattea” di Tintoretto. Nell'iconografia cristiana il giglio è simbolo della purezza e del carattere immacolato della Madonna. Sempre nel campo dell'arte si passa all'  “Annunciazione” di Simone Martini, quindi alle nature morte di Orsola Caccia. Il giglio diventa simbolo di Firenze ed è uno dei simboli araldici della dinastia dei Capetingi. A volte v'è incertezza tra il giglio e iris (Iride era messaggera degli dei). Nella “Primavera” del Botticelli si bada solo alle figure femminili, ma molte specie vegetali vi sono rappresentate. Il relatore mostra ancora  la “Princesse Sabre” di Burne – Jones e il manifesto di Bistolfi, che rientra qui nel liberty, per la prima Esposizione Internazionale d'Arte (Torino,1902). 

E dai fiori ci si trasferisce ai frutti. Cominciamo con la mela. Qui è lei la regina, in quanto si può dire che le mele abbiano cambiato il mondo: Eva, Newton, Beatles, Steve Jobs (campo dell'informatica). Da un po' di tempo, uscendo dalla stazione Centrale di Milano, ci si imbatte nella enorme scultura “La mela reintegrata” di Michelangelo Pistoletto. Vuole rappresentare i tre stadi 

dell'umanità: Paradiso naturale, paradiso artificiale, e -forse come augurio per il futuro- la ricucitura della mela stessa. Roggero quindi da Milano passa a Casale, al magnifico palazzo Gozzani di Treville, in cui, tra gli altri, campeggia il grande affresco de “Il giudizio di Paride”, col frutto (la mela appunto) che viene dato alla più bella, in questo caso Elena. E poi il quadro del 1964 di Magritte “La grande guerre”, con la mela che copre il volto dell'uomo, a significare l'annullamento delle persone che la guerra sempre comporta. Si ricordano ancora Guglielmo Tell e Biancaneve. E qui non è da dimenticare che la parola latina “malum” significa ad un tempo “mela” e “male”. 

Si passa alla melagrana. Si parte dal Cortile del melograno nella Sinagoga di Casale, quindi il dipinto di Leonardo denominato “Madonna Dreyfus” e “La Madonna della melagrana” di Botticelli.  Passando alla letteratura e alla poesia come non ricordare “Pianto antico” di Giosuè Carducci. Tornando alla cultura ebraica pensiamo ai 613 Mitzvot, cioè il complesso degli obblighi e divieti, che in qualche modo ricordano i chicchi della melagrana.

Altro frutto preso in considerazione è la ciliegia. In Giappone entra nel simbolo nazionale. Alberi di ciliegio sarebbero stati portati come bottino di guerra dai Romani, dalla località di Cherasunte, nell'attuale Turchia, dopo la guerra contro Mitridate, da parte di Lucio Licinio Lucullo. Tornando alla pittura si cita la “Madonna delle ciliegie” di Tiziano, per finire con Pinocchio e in particolare con mastro Ciliegia, col suo naso rubicondo.

Altro frutto scelto è l'uva, che presenta spesso una forte valenza simbolica. Pensiamo intanto al “Bacco” di Michelangelo, ma anche nel lato destro esterno del Duomo troviamo l'uva come simbolo della terra promessa. Uva e grano sono anche simbolo dell'Eucarestia. Singolare il quadro di un pittore francese, François Boucher (1749) dal titolo “Pensano all'uva”. Titolo che sembra quasi ironico, in quanto i due innamorati in appassionato abbraccio, sono sì contornati da grappoli d'uva, ma sembrano pensare a tutt'altro che al frutto. A Solopaca, in provincia di Benevento, coesistevano la Sagra dell'uva e la Festa della Madonna Addolorata, ma sono poi state unificate, portando in processione la statua della Madonna rivestita di grappoli. Sono patrimonio Unesco (accanto agli infernot) i paesaggi vitivinicoli di Langhe, Roero e Monferrato.

La serie dei frutti si chiude con la pesca e si parte con “Il libro delle odi” (Shi Jing), antichissima opera cinese. Alessandro Magno la trovò in Persia. La pesca era anche simbolo del dio Arpocrate, dio del silenzio nell'antico Egitto. Pèsca è il frutto mentre pésca è l'atto del pescare, ma un'antica leggenda vuole che un pescatore avesse trovato un seme di pesca nel ventre di un pesce. Ma tornando alla pittura pensiamo al bellissimo “Canestra di frutta” di Caravaggio e al “Vertumno” (rappresentazione di Rodolfo II d'Asburgo) di Arcimboldo. Il discorso si chiude suggestivamente col video di Lucio Battisti che canta la sua canzone “Fiori di pesco” col testo del grande paroliere Mogol.

Evasio Soraci