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Un vescovo non vescovo
Giovanni Battista Guglielmo Graziano di Crescentino alla diocesi di Rouen
Una corta strada alla periferia orientale di Crescentino, reca una semplice palina con intitolazione laconica: via Graziano.
Forse le targhe stradali si pagano un tot a lettera e nel caso sarebbe costato molto completare l’indicazione: Giovanni Battista Guglielmo Graziano. A quel nome, corrisponde la figura di un concittadino tanto illustre, da indurre il Consiglio comunale a dedicargli, nel 1974, una strada. In effetti si tratta di un vescovo-non vescovo (vedremo il perché), vissuto tra ‘700 e ‘800, protagonista della vicenda religiosa ai tempi della Rivoluzione francese.
Personaggio citato in numerose opere e cronache di autori francesi sulla storia di quel periodo, che talvolta al nome fanno seguire un “dit Gratien”, poco noto in patria, salvo una preziosa, documentatissima biografia opera dello storico locale Mario Ogliaro (su Bollettino Storico Vercellese 59, 2/2002). Pur se nato al di fuori della diocesi di Casale, merita essere conosciuto per l’originalità della figura, magari per un qualche raffronto con le variegate figure delle decine di vescovi e cardinali, figli della Terra monferrina: fraticelli divenuti cardinali, monsignori appena adolescenti ma di nobile famiglia, vescovadi assegnati dal sovrano.
Giovannino nasce a Crescentino il 23 giugno 1747, figlio (“legitimus”, specifica il libro dei battesimi) di Grisante Graziano fu Giovanni, e di Anna Maria Portiglia. Famiglia di contadini.
E’ “assai probabile” - scrive Ogliaro - che dopo l’istruzione primaria, i padri Filippini, che hanno in città un convento attiguo all’odierna chiesa parrocchiale dell’Assunta, e celebrano anche nelle frazione Santa Maria, aiutino il giovane ad entrare nella congregazione dei Lazzaristi, presenti nel Vercellese con qualche predicatore itinerante. Emigra ed è in seminario a Chartres intorno al 1765/67. Consegue la laurea in teologia, è docente nella stessa materia, quindi direttore del seminario.
Per la Francia arriva il tempo della grande Rivoluzione, nata sulla basi di una pesante crisi economica nel decennio 1780-90, con le casse dello Stato quasi vuote e un sistema fiscale iniquo che grava anzitutto sulla popolazione meno abbiente, con l’imposizione della “taille”, gabella dal sapore medievale (ben nota come nome anche in Italia, tanto che fino alla prima metà del Novecento, pagare le tasse veniva definito come pagare la “tajia”, la taglia).
“Graziano si trovò nel mezzo dell’aspra contesa concernente l’introduzione della costituzione civile del clero”, scrive Ogliaro. Quella costituzione, atto fondamentale della Rivoluzione, approvata dall’Assemblea nazionale nel luglio 1790, modifica unilateralmente i rapporti tra lo Stato francese e la Chiesa, in particolare stabilendo l’elezione dei vescovi e dei parroci da parte di assemblee dipartimentali, come si trattasse di funzionari statali. Vescovi e preti prendono atto del nuovo corso, prestano giuramento al nuovo padrone, e da quel momento sono definiti come “costituzionale”; i pochi che si rifiutano sono etichettati come “refrattari”. Nel marzo 1791 arriva l’intervento della Santa Sede. Con il breve “Quod aliquantum”, Pio VI condanna quella costituzione, contraria ai principi divini della Chiesa; un mese dopo, con il breve “Charitas”, dichiara sacrilega la consacrazione di nuovi vescovi, sospende a divinis vescovi e preti costituzionali e condanna il giuramento di fedeltà.
Dal 1787 vicario generale della cattedrale di Chartres, il 26 febbraio 1792 arriva per Graziano la nomina a vescovo del Dipartimento della Senna inferiore, nuova denominazione assegnata dalla costituzione alla diocesi di Rouen. La consacrazione, il successivo 18 marzo, dalle mani dei vescovi costituzionali Robert Thomas Lindet, Iean-Baptiste Massieu, Charles Bonnet. I primi due sono compresi nel breve “Charitas”, che stabilisce essere la loro elezione “illegittima e sacrilega”, quindi “nulla”. Anche peggio per Bonnet, a suo tempo consacrato dal vescovo Joshep Gobel compreso nella lista degli illegittimi. Ovvio che anche per Graziano valga la decisione pontificia: “devono essere considerate illegali, illegittime, sacrileghe e di nessun valore per il passato, per il presente e per il futuro; e Noi, per il presente, adesso per allora, le annulliamo, cancelliamo e abroghiamo”. Di fatto, scorrendo la cronotassi dei vescovi di Rouen, risulta come titolare Dominique de La Rochefoucauld dal 1759 al 1800, pur se dal 1792 è in esilio.
Ad aggravare la sua posizione, una lettera inviata alla Santa Sede, per dichiarare in qualche modo di voler vivere nella comunione cattolica, al tempo stesso sottolineando però come valida la propria elezione poiché fatta “da tutti coloro ai quali deve essere preposto”. E’ strappo da Roma, tentativo andato a male - teorizzato da Graziano con la dissertazione “Exposition del mes sentiments sur les verités, auxquelles on pretend que la Constitution civile du Clergé donne atteinte…” - di conciliare la fedeltà alla Santa Sede e il riconoscimento al Papa del “primato d’onore e di giurisdizione su tutta la Chiesa, con le norme della nuova costituzione francese ed in particolare l’impossibilità del Papa stesso di avere “giurisdizione diretta e ordinaria nelle diocesi finché i vescovi svolgono lodevolmente il loro ministero”.
Nonostante giuramenti e fedeltà al potere civile, la vita di Graziano è tutt’altro che tranquilla. C’è nell’aria molto fanatismo giacobino. Già su finire del 1792 il palazzo vescovile è oggetto da razzie, e il povero vescovo costretto ad accettare lo stato di fatto. La situazione è difficile, con chiese profanate, preti deportati e altri che vanno in clandestinità, arduo compiere visite pastorali. Al culmine di tanta persecuzione, nel novembre 1793 un mandato di arresto, con la generica accusa di “sospetto”, poi circonstanziata: “per essersi opposto al matrimonio di un prete e per averne vietati parecchi altri; ipocrita e bacchettone”. La detenzione si conclude nel gennaio di due anni dopo, di fatto è assolto da ogni colpa, ma non può rientrare nel palazzo vescovile.
Dall’agosto al novembre 1797 è a Parigi, vicepresidente di un’assemblea, definita come concilio nazionale, destinata a parole alla riconciliazione con Roma, di fatto tesa a “ravvivare gli elementi della chiesa costituzionale”, e nel corso della quale si lascia tra l’altro intendere che i duri interventi di Pio VI nel 1971 erano stati “effetto di un inganno fatto al Papa”. Durante i lavori conciliari, Graziano si da molto da fare, spesso accusa malori, che si accentuano l’anno successivo. Cerca sollievo presso il suo amico Clement, vescovo di Versailles, ma sentendosi probabilmente prossimo alla fine ritorna a Rouen, “per morire tra i suoi sacerdoti e il suo popolo”. Ormai cancellato il palazzo vescovile, occupa una camera povera e disadorna, nella via Croix-de-Fer n° 10, dalla quale si scorgono le grandi vetrate e l’alta guglia della cattedrale di Notre-Dame (a poca distanza dalla piazza dove Giovanna d'Arco, futura santa, fu arsa viva il 30 maggio 1431).
"Termina il cammino terreno la mattina del 4 giugno 1799. Un vicario annuncia il decesso: “E’ morto come aveva vissuto, cioè nel più grande sentimento di pietà. Negli ultimi giorni aveva gli occhi sempre fissi sul crocifisso e non si intratteneva che con Dio”. Funerali in cattedrale, “con numerosissimo pubblico e grande solennità”, tre Messe grandi all’altar maggiore e altre Messe nelle cappelle laterali. Senza manifestazioni esteriori e senza ufficialità, un seguito “abbastanza ristretto” accompagna il feretro nel cimitero urbano di Saint - Gervais. Muore “molto povero”, gli eredi raccolgono poco più di 2000 franchi con la vendita di alcuni mobili e della biblioteca.
aldo timossi
FOTO. Cattedrale Rouen