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Prelati monferrini: Felice Crova

“Nacque a Casalmonferrato da distinto parentado” - La morte a Moncalvo

Nacque a Casalmonferrato da distinto parentado”. Cosi inizia la biografia di fra Felice Crova, destinato ad essere vescovo di Acqui, secondo “Il Piemonte sacro” edito nel 1880 per la penna di Oliviero Iozzi. Altre fonti lo chiamano Crocca, altre Crorca, altre ancora Fedele!

Distillando i vari autori, ecco la figura di fra Felice; famiglia originaria di Nizza Monferrato e diffusa in molte parti del Piemonte, da Crova (VC) al Torinese a Casale. Nasce in quest’ultima città a fine ‘500, da Nicolò Fausto, dignitario dei Gonzaga, podestà di Mantova (1609 e 1919) del cui ducato sarà senatore.

Ha due fratelli, Valerio destinato alla carriera militare ed esso pur ricordato come podestà mantovano (1612 e 1613), e Federico con la vocazione al sacerdozio. Felice, “promettendo non poco per le tante e belle doti di mente e di cuore”, entra giovanissimo in convento. Negli anni il suo nome diventa popolare, è riconosciuto come “in sacris literis admodum eruditus et verbi Dei concionator egregius”, bravo storico di cose sacre e grande oratore. Nel luglio 1632 arriva la nomina a vescovo di Acqui. In realtà la data potrebbe essere errata, forse da anticipare di un anno. Una recente storia dei vescovi acquesi cita il 1631 come data di morte del predecessore monsignor Pedroca, e una bolla di istituzione della Collegiata di Santa Maria di Fubine, datata 22 ottobre 1631, recherebbe già la firma del Crova.

Sono tempi difficili. Si è appena calmata un’epidemia di peste. Il 1631 ha concluso due decenni di guerre per la successione al Ducato di Mantova, durante le quali non sono mancati atti sacrileghi ad opera delle truppe spagnole a danno delle chiese. Il vescovo ha il suo bel da fare per consacrare nuovamente i templi profanati. E ci sono nuove realtà da costruire. Tra queste, il Santuario di Nostra Signora delle Rocche a Molare, per il quale nell’agosto 1635 arrivano i decreti costitutivi; sarà rifatto su tre navate nel 1661.

Quindi a Ovada la fondazione di un nuovo convento dei Francescani in parallelo con la posa della prima pietra nel 1640 per il santuario mariano dell’Immacolata. Non manca la notizia di una scomunica (e cospicua multa di mille doppie) sempre a Ovada, nei confronti di un tal Giovanni Antonio Bavazano, restio a rendere i conti dell’ospedale e chiesa di sant’Antonio del Mercato; arriva il perdono quando l’interessato s’inginocchia “con humiltà” e chiede misericordia, giustificandosi: “Se ho fato male, l’ho fato per ignoranza e non per malitia”.

L’impegno più gravoso di monsignor Crova riguarda però l’omaggio al suo antico predecessore e patrono della diocesi, san Guido, vescovo dal 1034 al 1070. Appena arrivato ad Acqui, inizia a scriverne una lunga storia, nella speranza di indurre il Municipio e il popolo a compiere il voto, fatto fin dal 1613, di erigere una nuova cappella in cattedrale, traslandovi le spoglie del santo dal sepolcro posto “in luogo umido, oscuro e sottoterra, detto comunemente oscurolo”. Evidentemente la risposta della municipalità tarda parecchio ad arrivare, nonostante l’impegno “a far costrurre una grande cappella con un magnifico altare di marmi”, tanto che ancora nel gennaio 1645 parte l’ennesima circolare ai parroci con la raccomandazione a raccogliere elemosine per poter ultimare la cappella.

Il “venerando e dotto prelato” Crova muore in quello stesso anno, secondo le storie del De Conti “nel tempo che dimorava nel convento di San Francesco in Moncalvo, per sottrarsi dai rovinosi torbidi della guerra, che non gli permetteva l’abitare nella sua diocesi”.

aldo timossi

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