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Prelati monferrini (16), di Aldo Timossi

Camillo Beccio

Già Vicario generale dei Canonici Regolari Laternanesi, nella cronotassi dell’antica diocesi di Acqui Camillo Beccio appare come Vescovo dal 25 novembre 1598 al 1620. In altro repertorio (la “Serie cronologica dei romani pontefici e degli arcivescovi e vescovi del Piemonte” edita a Torino nel 1836) si legge la data del 20 aprile 1599. Nasce verso il 1540. In un elenco dei “Vercellesi illustri” risulta originario di Trino (maldestramente qualche testo trasforma in Torino), ma è possibile che la famiglia abitasse a Casale o comunque nel Casalese, d’altro canto il suo ritratto lo cita come “Casalensis”. A tal proposito, non è combinazione che nella cattedrale acquese, un altare risulti anticamente proprietà dei “fratelli Giacomo Antonio e Carlo Beccio, di Occimiano, nipoti del vescovo Camillo”. Nella diocesi acquese prende il posto appena lasciato da un altro casalese, monsignor Giovanni Francesco Biandrate, nominato cardinale.

Già abate di Santa Maria Nuova di Asti, dal 1584 trasferito a sant’Andrea di Vercelli, risulta essere uno dei più illustri rappresentanti del primo periodo lateranense: “severo riformatore della disciplina, saggio amministratore, uomo di vita laboriosa e austera”. Vanta amicizie da lunga data con alcuni cardinali come Cesare Baronio e Agostino Valier (influente membro del Sant’Ufficio), addirittura è definito “amicissimo” del futuro santo Carlo Borromeo, dal 1564 al 1584 arcivescovo di Milano, sede metropolitana di cui all’epoca sono suffraganee anche diocesi come Acqui, Alessandria, Casale, Tortona.

Nominato vescovo il 25 novembre 1598, prende possesso della diocesi acquese all’inizio dell’anno successivo, dopo la consacrazione del 10 gennaio nella mani del cardinale Biandrate di San Giorgio Aldobrandini. “Attivo, intraprendente, amante del bello e delle arti non meno che delle cose del santuario”, in Duomo e in Vescovado cura opere di rifacimento e abbellimento, dai portici della piazza antistante la Cattedrale, allo spazioso loggiato (1600) che serve da vestibolo al medesimo tempio, dalla cappella di san Carlo nel 1618, alla facciata laterale del palazzo episcopale. Fa innalzare davanti alla Cattedrale un monumento costituito da una guglia in pietra con croce, purtroppo abbattuto nel 1784, salvando solo la parte alta della guglia, posta sul timpano della chiesa dove tuttora si può vedere. Per mantenere la memoria dei predecessori, fa dipingere in episcopio i loro ritratti; anche tale opera è scomparsa, dopo i rifacimenti di metà ‘700.

Non sempre idilliaci i rapporti con l’autorità civile. Emblematica una lunga diatriba, iniziata nel 1609 tra vescovo e municipalità, che lo accusa, anche con lagnanze alla Santa sede, di “non pagare quanto deve al Monte di Pietà e alla Compagnia del SS. Sacramento, di escludere i sacerdoti secolari dal maneggio del seminario e del monastero delle Monache e Madonn’alta”. Forse non è la prima volta che s’interferisce nella sfera religiosa, per reazione, dal vescovo arriva la scomunica contro sindaci e consiglieri. Beccio appare comunque provato dalle accuse e interferenze, tanto che ad un certo punto pensa di rinunciare all’incarico. E’ ormai anziano, forse avverte addirittura un trapasso imminente: nel 1875 verrà scoperta all’entrata del Vescovado una lapide con una scritta che s’immagina da lui dettata per il proprio sepolcro e che recita “O siam vivi o siam morti, ricchi siamo - la mia carne nella speme sen riposa - dei fedeli alla preci mi raccomando - Camillo Beccio Vescovo Acquese”.

I contrasti si sanano comunque nel tempo e torna l’armonia, tanto che nel 1619 “la Città concorre nella spesa per formare il Tabernacolo del Santissimo Sacramento sull’antico altare maggiore della Cattedrale”.

Termina il lavoro nella vigna del Signore il 16 novembre 1620 ed è sepolto in cattedrale.

aldo timossi

16-continua

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