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Prelati monferrini di Aldo Timossi -46
Umberto Rossi, di Casorzo, vescovo dal 1921 a Susa, poi ad Asti
Il triste periodo della Resistenza, ha visto in Piemonte anche la coraggiosa opera umanitaria della Chiesa e in particolare di alcuni vescovi. Dal torinese Maurilio Fossati, al successore Michele Pellegrino (ancora vicario a Fossano, lo chiamano per il funerale a un aviatore inglese caduto. Il federale: “Lasci stare quel cane”. “Davanti a Dio e alla morte siamo tutti uguali”), a Giuseppe Angrisani di Casale (trattato con alterigia dal maggiore tedesco Mayer al quale si è presentato per chiedere conto della fucilazione del parroco e di nove capifamiglia a Villadeati, allontanandosi risponde che “noi, davanti a voi, siamo dei poveri schiavi e potete fare di noi quello che volete, ma ricordatevi che c’è un Dio al di sopra di tutti e che a Lui dovrete rendere conto di tutto”). E ancora, i vescovi Egidio Luigi Lanzo (Saluzzo), Luigi Maria Grassi (Alba), Giacomo Leone Ossola (Novara), Umberto Rossi (Asti).
Rossi è monferrino, nato a Casorzo il 1° aprile 1879, figlio di Stefano, carabiniere poi dipendente comunale e di Luigia Lombardi, contadina. Studia nel Seminario di Casale, quindi all’Apollinare di Roma. Si laurea in filosofia e teologia, e il 29 giugno 1902 è ordinato presbitero a Casale dal vescovo Paolo Maria Barone. Primo incarico a San Martino Rosignano. Quindi nomina a canonico teologo della cattedrale di Casale, incarico che ricoprirà per 17 anni, portando avanti una vasta attività religiosa, intellettuale e sociale. E’ docente di sacra scrittura in seminario, assistente diocesano dell’Azione cattolica presieduta da Giuseppe Brusasca, direttore del settimanale “Corriere di Casale” (il “nonno” dell’attuale “Vita Casalese”) subentrando a Evasio Colli (futuro vescovo di Parma), cappellano presso il collegio Sacro Cuore. “Dedica molte energie alla predicazione, impegnandosi nel contrastare il socialismo anticristiano e paganeggiante”. Sempre in contatto con l’ambiente salesiano, in particolare con i successori di don Bosco, don Rinaldi e don Ricaldone.
Nel concistoro del 13 giugno 1921 Papa Benedetto XV lo nomina vescovo, con destinazione alla cattedra di Susa. E’ uno dei più giovani vescovi, non solo piemontesi. Consacrato il 14 agosto nella cattedrale evasiana dal vescovo Albino Pella, co-consacranti i vescovi di Cuneo, Giuseppe Castelli, e di Aosta, Claudio Angelo Calabrese.
Impegno prioritario il potenziamento del seminario segusino, ristabilendo tutti i corsi prescritti e richiamando i chierici che si erano spostati a Chieri e Torino. Inizia un cammino senza soste: due visite pastorali in tutte le parrocchie, più volte nei centri principali per predicazioni (anche fuori diocesi) e celebrazioni, solenni congressi eucaristici, “giornate antiblasfeme” nel 1925 e nel 1930. Nel 1922 istituisce la Conferenza di San Vincenzo per i poveri della città. Ogni anno raduna il clero secolare a Susa, ed è attento a religiosi e religiose “ai quali dedica cure speciali, recandosi sovente in mezzo a loro per funzioni o predicazione, o anche solo per dare un “attestato di affetto paterno”. Memore dell’attività giornalistica, mantiene in vita il periodico cattolico locale “La Valsusa”, collegandolo alla “Voce dell’Operaio” di Torino, che dal 1933 diverrà “La Voce del Popolo”.
Spesso presente alle manifestazioni patriottiche, benedice i monumenti ai Caduti di Susa, Bussoleno, Sant’Antonio, Condove, Oulx, Avigliana. Cura la conclusione dei lavori per costruire, in luogo delle più antiche cappelle lignee, una cappella-rifugio, dedicata a Santa Maria, sulla vetta del Rocciamelone (3535 metri) montagna simbolo della valle, che inaugura e benedice il 12 agosto 1923. Ancora oggi la Madonna del Rocciamelone è la protettrice della città di Susa.
Trasferito ad Asti nel maggio 1932, fa ingresso solenne in diocesi il 3 luglio. Sarà uno dei vescovi più ricordati e poi commemorati nella storia, non solo astigiana. Il primo anno di missione è contraddistinto da un fatto clamoroso, destinato a riempire cronache e libri: il sanguinamento di un Crocifisso. Vicenda ancora oggi avvolta nell’incertezza: prodigio, miracolo?
I fatti, raccontati in alcuni libri e decine di articoli. Estate 1933, Maria Tartaglino, 46 anni, vive ad Asti nella Casa delle Figlie di Sant’Anna. Un pomeriggio si accosta al Crocifisso, fissa gli occhi sul costato di Gesù e per ben due volte ne avrebbe visto uscire del sangue. In un altro momento, avrebbe trovato macchiato di sangue anche il velo di lino che lo ricopriva. Il Vescovo, informato degli eventi, fa esaminare alcune crosticine di sangue coagulato all'Istituto di Medicina Legale dell'Università di Torino: si tratta di sangue umano. Il Crocifisso è anche oggetto di radiografie, eseguite da due specialisti: non ci sono manomissioni atte a simulare il sanguinamento. Il Tribunale ecclesiastico diocesano indaga sul fatto e conclude per la verità dell’accaduto, un fatto soprannaturale. Il Crocifisso viene esposto alla venerazione dei fedeli nel santuario di San Giuseppe. Si muove anche il Sant’Uffizio che avoca a sé l’esame e il giudizio definitivo, intanto prelevando e portando in Vaticano il Crocifisso. Da quel momento, come si usa dire in gergo, si attendono ancora nuovi sviluppi!
Quello trascorso dal vescovo Rossi nella diocesi di San Secondo sarà un ventennio di grande attività, continuamente in giro da buon pastore per le parrocchie con una traballante “Balilla”, “con fare buono, comprensione, mansuetudine”, non disgiunte dalla fermezza nel condannare una certa “divinizzazione dello Stato o Statolatria” (lettera pastorale del 1940) e rivendicare la funzione della Chiesa nell’educazione spirituale e religiosa, specie della gioventù e delle masse lavoratrici.
Nel periodo della Resistenza si adopera con impegno e sacrificio per liberare ostaggi, salvare condannati a morte, impedire il saccheggio di intere comunità da parte dei nazifascisti. Così a Grana il 9 agosto 1944, e poi Mombercelli (17 agosto), Rocchetta Tanaro (31 agosto), Scurzolengo, Calliano, nuovamente Grana (2 settembre), Castagnole (7 settembre), Isola d’Asti (16 settembre), Baldichieri (8 ottobre), Montafia (17 ottobre), Villafranca, Portacomaro, Castello d’Annone (10-11 novembre). Presso il comando tedesco di Bra si offre in sostituzione di 24 ostaggi catturati a San Damiano d'Asti. Rischia anche la vita per l'esplosione di una bomba a mano, lanciata per errore (scambiato per nemico) mentre si reca dai capi partigiani per trattare la salvezza di Rocchetta Tanaro.
Finita la guerra, in segno e pegno di generale pacificazione ottiene da Pio XII la proclamazione della Madonna del Portone a compatrona della diocesi, sotto il titolo di Porta Paradisi, come oggi campeggia sulla facciata del santuario.
Negli ultimi anni di episcopato favorisce nuove forme di apostolato: Conferenze di San Vincenzo, scuole serali per operai e incontri tra lavoratori e dirigenti d’azienda, cappellani del lavoro, Acli, gruppi del Vangelo.
Va incontro a Dio il 6 agosto 1952. Nel 2003 il Capo dello Stato concede alla sua memoria la medaglia d’argento al merito civile, motivando che “nei drammatici anni della Seconda guerra mondiale, con generoso slancio pastorale e incurante dei gravi rischi personali, si portò instancabilmente da un paese all’altro della diocesi per liberare ostaggi, scongiurare rappresaglie, salvare un condannato morte, portare una parola conforto dove guerra e violenza lasciavano distruzione e rovine”.
Asti gli dedica una via presso la Cattedrale e il Seminario. Nel paese natale è a suo nome la piazza della chiesa di San Vincenzo, e all’interno del tempio una lapide ricorda che “in questa parrocchiale riceveva il battesimo...morto in fama di santità”. In effetti, si attribuiscono alla sua intercessione diversi casi di guarigioni inspiegabili con la medicina; una richiesta popolare di canonizzazione è agli atti presso la Curia astigiana.
aldo timossi. - 46 continua
FOTO. Ingresso del vescovo ad Asti