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Prelati monferrini di Aldo Timossi (34)
L'arcivescovo Paolo Vincenzo dei conti Leardi
Paolo Vincenzo dei conti Leardi, arcivescovo, rientra nella lunga serie di prelati che, accanto alla vocazione e alla pratica religiose, sono destinati alla carriera politico-diplomatica. Nasce nel 1761 (per “Cathopedia” nel 1762) dal “ricchissimo” Diego (così è definito nel “Patriziato subalpino” di Antonio Manno) signore di Terzo d’Acqui, e da Isabella Angeleri il cui padre, Evandro conte di Incisa, è stato prefetto di Casale nel periodo 1741-46.
Sono originari di Pieve del Cairo, e quel paese registra la nascita di Paolo. Si può comunque considerare casalese, sia perché in città emigra ben presto la famiglia facendo erigere nel 1784-85, di fronte alla chiesa di sant’Antonio, un palazzo (forse disegno del Magnocavalli) dove già esisteva quello del conte Biandrà di san Giorgio, che sarà donato al Municipio a metà ‘800 da Clara Leardi Cocconito di Montiglio, per trasformarlo in istituto tecnico; sia perché dalla stessa Santa Sede sarà sempre considerato come incardinato alla diocesi di Casale. Ha due fratelli. Giulio Cesare (1765-1839) colonnello di fanteria, futuro sposo della contessa Clara, e Antonio, militare anch’esso. Nella parentela, i conti Vidua di Conzano, come testimoniano varie lettere a lui dirette dal viaggiatore Carlo Vidua.
Conclusi gli studi seminariali, il 18 luglio 1784 riceve l’ordinazione sacerdotale, è allievo della Pontificia Accademia Ecclesiastica, quindi all’Università di Bologna ottiene il dottorato in “utroque iure”, nell'uno e nell'altro diritto, civile e canonico. Frequenta gli ambienti della curia papale, diventa “cubicularius” cioè addetto al servizio personale di Pio VI. E’ grazie al proprio spessore culturale e al prestigio dell’incarico quale “intimus” del Papa, che alla morte del re di Francia Luigi XVI, ghigliottinato nel gennaio 1793 dalla Repubblica postrivoluzione, ne tiene al Quirinale, residenza pontificia, il discorso funebre. Un intervento che resterà famoso negli annali della storia e nel quale monsignor Leardi, esprime anche il proprio pensiero politico.
Ne tratta su “Il Monferrato” del 1° agosto 2007 lo studioso Olimpio Musso, mettendo il nobile di spirito reazionario Leardi a confronto con le tendenze liberali di Carlo Vidua, ben definite nell’opera “Carlo Vidua un romantico atipico” dello storico Roberto Coaloa. Scrive Musso che, all’interno di un’orazione “toccante”, si “esalta con accenti commossi la bontà e la fede del re di Francia, definito come da appellativo in auge “Cristianissimo", e si scaglia contro le dottrine dell'illuminismo perverso: infatti la dottrina predica la libertà senza limiti e una falsa uguaglianza tra i cittadini”. Leardi ritiene Luigi XVI quasi un martire e “inorridisce di fronte ai propositi dei rivoluzionari, che pretendono di abolire l'autorità reale e di affidare la sovranità al popolo”. Di certo, nella mente dell’oratore c’è il “ricordo di qualche anno prima, allorché erano stati giustiziati a Parigi tre vescovi e trecento sacerdoti; inoltre quarantamila ecclesiastici erano fuggiti dalla Francia e lo stesso Pio VI, rapito ed esiliato, morirà ottuagenario in carcere a Valence nel 1799”.
Continua la carriera all’ombra del Papa. Nell’ottobre 1800 è nominato componente della Sacra Congregazione della Consulta, organismo con funzioni amministrative e giudiziarie, assimilabile oggi al Consiglio di Stato, quindi giudice nei tribunali della Segnatura apostolica. Nel primo scorcio dell’800, durante l'occupazione francese, rientra in famiglia a Casale. Tornato a Roma dopo la restaurazione, nel settembre 1815 diventa assessore della Congregazione per gli Affari Militari.
Il 20 marzo 1816 papa Pio VII lo nomina nunzio apostolico in Austria - una delle poche dell’epoca - e il successivo 23 settembre arcivescovo titolare di Efeso “in partibus infidelium”, nei territori degli infedeli. Ordinazione vescovile il 12 gennaio 1817 a Roma, da parte del cardinale Giuseppe Morozzo della Rocca, assistito dagli arcivescovi Fabrizio Sceberras Testaferrata e Giovanni Francesco Compagnoni Marefoschi. Muore il 31 dicembre 1823, ancora titolare della nunziatura austriaca.
Aldo Timossi
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