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Prelati monferrini di Aldo Timossi (50)

Giovanni Sismondo, il vescovo che salvò Pontremoli - Nato il 13 settembre 1879 al borgo del Bricco di Brusasco
“Defensor civitatis, salvatore della città, il vescovo che salvò Pontremoli”. Con queste parole forti è ricordato Giovanni Sismondo, vescovo dell’antica “dioecesis Apuana” dal 1930 al 1954, attivissimo e grande mediatore durante i momenti difficili della Resistenza.
Nato il 13 settembre 1879 al borgo del Bricco di Brusasco (poco distante, vedrà la luce nel 1913 il futuro vescovo Vittorio Moietta) da Giuseppe e Irene Mijno, modesta famiglia di gente dei campi, “cresce forte e sicuro a questa scuola di vita, dura certamente ma saldamente ancorata agli eterni valori della fede cristiana”, annoverato pur solo come “testimone della fede” nel sito web di “Santi e beati”: un auspicio per il futuro?
Rimasto ben presto orfano della mamma, viene avviato alla Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino, fondata da san Giuseppe Cottolengo, dove inizia gli studi e si distingue come allievo esemplare.
Prosegue la preparazione nel seminario di Casale, e il 16 luglio 1905 il vescovo Ludovico Gavotti lo ordina presbitero. Viceparroco a Scandeluzza di Montiglio, nel 1907 si laurea in teologia dogmatica, quindi entra nel collegio dei docenti del seminario casalese, insegnando eloquenza, storia e teologia.
Nel primo dopoguerra, dopo qualche anno di ministero a Sant’Ilario di Casale, è a Moncalvo dove assume anche il ruolo di vicario foraneo.
Il 6 febbraio 1930, la nomina a vescovo della diocesi di Pontremoli, priva di titolare da quasi un anno e in odore di soppressione. Il mattino di domenica 9 marzo, nel duomo di Casale, “rigurgitante di fedeli”, la consacrazione dalle mani del vescovo Albino Pella, co-consacranti il vescovo di Susa, Umberto Rossi (nativo di Casorzo) e il presule salesiano Luigi Mazzini. Il tempo di una sobria “agape fraterna” in seminario, poi monsignor Sismondo ritorna a Moncalvo per “ricevere l’omaggio di quei suoi parrocchiani devoti ed affezionati”.
Arriva a Pontremoli in una piovosa domenica delle Palme, il 13 aprile successivo. Durante l’accoglienza a Porta fiorentina il sindaco gli offre il pastorale augurandogli di usarlo come un aratro per continuare a tracciare il solco iniziato dal predecessore, il francescano Angelo Fiorini. “Vengo senza oro e senza argento, ma ciò che posseggo tutto darò” sono le sue prime parole . In effetti, “povero e infaticabile come lui, viveva con un solo domestico, l’inseparabile Felice, la sua casa era sempre aperta ai poveri e tutti attestano che nessuno se ne andava mai a mani vuote, tanto che durante la guerra più di una volta fu costretto a recarsi a sua volta ed elemosinare la minestra dai cappuccini. Non aveva nemmeno l’automobile perché tutto ciò che possedeva era per i poveri, ma questo non gli impediva di raggiungere tutte le 128 parrocchie della diocesi anche sulle più alte montagne”.
Tante tappe nel suo magistero episcopale. L’attenzione al seminario e la fondazione del liceo vescovile poi legalmente riconosciuto; l’approvazione nel 1934 del regolamento della Congregazione “Suore Missionarie Rurali del Buon Consiglio”; la sistemazione dell’orfanotrofio intitolato e Leone XIII; il congresso eucaristico nel 1937 e il secondo sinodo diocesano due anni dopo; l’istituzione della Conferenza di San Vincenzo per la pratica delle opere di misericordia.
E’ agli anni della guerra che lega indissolubilmente il proprio nome alla comunità diocesana, distinguendosi soprattutto nei terribili ultimi mesi in cui la guerra civile ha imbarbarito tutti e il punto di riferimento, in città e paesi continuamente sotto minaccia di rappresaglie e distruzioni (anche da parte degli Alleati) rimane il Vescovo. “Con illuminato vigore interviene ripetutamente contro i rastrellamenti e tutte le forme di violenza, salvando dalla morte moltissime persone di ogni schieramento”. È lui a salvare Pontremoli al termine di una difficile trattativa con il comando tedesco e una rocambolesca missione sui monti, ovviamente a piedi, per incontrare il maggiore inglese Gordon Lett, comandante locale degli Alleati, e scongiurare un minacciato bombardamento, destinato a colpire i tedeschi in ritirata. A guerra finita, Lett avrebbe scritto che “il Vescovo è stato un prezioso quanto leale collaboratore, durante tutto il periodo e fece tutto quanto in suo potere per incoraggiare la popolazione, in particolare il clero, affinché desse assistenza ai prigionieri di guerra. Pubblicò una critica coraggiosa sul comando tedesco e fascista, che lo mise in un estremo pericolo.
Più volte i fascisti cercarono di arrestarlo, ma avevano così tanta paura della sua enorme influenza, che si limitarono a gettare una bomba attraverso la finestra della sua camera da letto. Essere scampato a questo attentato rafforzò ancora di più la sua influenza”. Sul versante opposto, anche Il comandante tedesco, Bernard Kreussig, riconosce in monsignor Sismondo un’autorità e uno schietto interlocutore, tanto che prima di lasciare Pontremoli, gli consegna quanto è custodito nei magazzini dei viveri e del vestiario per i poveri della città.
Non riesce a salvare dalla fucilazione don Lino Baldini, parroco venticinquenne di Camporaghena, che si è rifiutato di consegnare ai fascisti i nomi di tutti gli abitanti del paese sospettati di intesa con la Resistenza. Quando i nazifascisti sono sordi alle suppliche del vescovo, porta comunque il proprio conforto alle famiglie delle vittime ed offre sostegno morale come nel caso dei sette giovani imprigionati e torturati dalla X.a MAS e poi fucilati a Valmozzola nel marzo 1944.
Per i meriti acquisiti, nell’aprile 1949 il Presidente della Repubblica gli conferisce la medaglia d’argento al valor civile: “Durante l’occupazione tedesca si adoperava senza tregua per alleviare le sofferenze della popolazione, ovunque apportando la sua parola di conforto e di fede. Avendo i tedeschi minacciato la distruzione della città in segno di rappresaglia per la scomparsa di due militari, si rendeva garante della loro incolumità e dopo molti rischi poteva rintracciarli. Riusciva poi ad evitare, con il suo energico sostegno, che fossero compiuti atti di rappresaglia, risparmiando nuovi lutti alla martoriata popolazione”.
Alla fine della guerra per qualche mese regge come amministratore anche la diocesi di Massa, quindi riprende l’azione pastorale a Pontremoli: un pellegrinaggio della statua della Madonna nel 1948-49, il sostegno all’Azione Cattolica, la celebrazione dell’anno santo 1950, la realizzazione di una “Casa nostra” come laboratorio tessile per ragazze, il sostegno alle ACLI. Purtroppo una grave malattia mina rapidamente la sua pur forte tempra, e il 30 settembre 1954 è costretto a rinunciare al governo della diocesi. Dalla Santa Sede, come riconoscimento della sua grande opera di pastore, la nomina ad arcivescovo. Il 31 gennaio 1955 i sindaci della diocesi gli consegnano una medaglia d'oro "per le molteplici benemerenze religiose, civili e patriottiche".
Due giorni dopo, parte per Torino, dove trova ospitalità nella Piccola Casa della Divina Provvidenza. Torna al Padre il 7 dicembre 1957 e due giorni dopo venne sepolto nella cripta della cattedrale di Pontremoli. Una biografia ricorda che tra gli ultimi a visitarlo è il sindaco di Pontremoli, Luigi Serni, al quale con un flebile gesto indica di portarsi via tutto ciò che gli era rimasto: tre rose sbocciate in un vaso con terra pontremolese che aveva voluto tenere con sé.
aldo timossi - 50- continua
In preparazione:
Giuseppe Rossino, nativo di Robella di Trino nel 1880, studi e incardinamento nella diocesi di Casale, dal 1931 arcivescovo titolare di Tessalonica (Salonicco); Umberto Ugliengo, da Valdengo biellese, vicario generale della diocesi casalese, nel 1932 nominato vescovo a Susa; Mario Cagna, nativo di Lu Monferrato, diplomatico nelle nunziature apostoliche dei Paesi Bassi e d’Italia, vescovo e internunzio in Giappone con il titolo della Chiesa Arcivescovile di Eraclea d’Europa.