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Venerdì 25 marzo
Inizia il "MonFest": al via la biennale di fotografia
Il MonFest è un viaggio immersivo non solo nella fotografia, ma anche nei luoghi della città
Appena completato il giro (ci vogliono circa 5 ore per vedere bene tutto) il paragone con Arles è immediato. Il MonFest è un viaggio immersivo non solo nella fotografia, ma anche nei luoghi della città. L’abbraccio è tra 12 diverse mostre e 12 location che ne esaltano il significato, le tecniche, lo stile, il modo in cui spaziano nella storia della fotografia e dell’immagine. Ci sono nomi importanti, certo, ma soprattutto ci sono allestimenti che ne spiegano il valore con video che mostrano i fotografi all’opera e un programma di eventi che contribuiranno a raccontarci come proseguono quelle storie che vediamo congelate in uno scatto.
C’è quindi, prima di tutto, un pensiero, un’estetica e l’esperienza Mariateresa Cerretelli in questo Monfest che si inaugura venerdì 25 marzo. Lei, direttore artistico del Festival, che percorre i km degli spazi espositivi affiancata dal fotografo casalese Luciano Bobba. Di mostre, anche a Casale, ne ha organizzate tante, ma chi si aspettava che la città ospitasse qualcosa al livello dei Rencontres de la photographie che monopolizzano la città della Provenza ogni estate. Con una differenza: ad Arles si paga (parecchio), qui tutto è a ingresso libero. La preview di giovedì, a 24 ore dal taglio del nastro, lascia incantati i giornalisti della stampa nazionale. La capitale del Monferrato diventa la capitale della fotografia. Le basi storiche ci sono, non per niente il titolo di questa prima edizione del Monfest si chiama “Le forme del tempo, Da Francesco Negri al contemporaneo”, gli spazi anche.
Il tour comincia da Gabriele Basilico, nelle sale superiori del Castello, venne a Casale nel 2006 per realizzare un reportage poi inserito nella mostra “Monferrato Terra Senza Confini”. Nessuno fotografava come lui le crude forme del cemento. Le sue foto del Paraboloide sono forse il simbolo più iconico di tutto il festival, almeno per noi casalesi. Rimaniamo sullo stesso piano del Castello e divertiamoci con Living Layers di Valentina Vannicola che offre composizioni in grado di farci riflettere sui paradossi. Girando per le stanze però a colpire è soprattutto la Pompei di Claudio Sabatino: foto in grande formato che ci restituiscono l’immagine di una città totalmente diversa da quella turistica o agiografica. Palazzoni anonimi convivono insieme a rovine romane con grande naturalezza. Pompei è una città della Campania, non solo un parco archeologico.
Sugli spalti il “Mondo di Silvio Canini ha il sapore di un amarcord balenare con un pizzico di surrealismo. Merito anche della Riviera Romagnola così presente nei suoi scatti. C’è una macchina che rappresenta le notizie fatte a pezzi e digerite dai millennials (ma perché i millennials? i peggiori trituratori di fake news siamo noi boomer). Elena Ceratti lo accosta a Martin Parr per le atmosfere naif. Però Parr non ha mai creato una postazione per farsi una foto come dentro a una figurina (Canini ha cominciato come autore proprio di quelle). Da queste parti troviamo anche Vittore Fossati che ci racconta il corso del Tanaro, ma scendendo ci sono altre due mostre con un forte legame con il territorio. Quella su Francesco Negri è probabilmente la più completa esposizione dedicata allo storico fotografo casalese mai realizzata e comprende, oltre a immagini che oggi ci appaiono modernissime, anche diversi reperti e addirittura un filmato inedito. Gigliola Fracchia, Assessore alla Cultura del Comune confessa che medita di farne una mostra permanente. Poi ci sono gli Infernot di Ilenio Celoria. Qui c’è del genius loci a raccontare questi spazi tipicamente monferrini tra i mattoni crudi dei torrioni del castello. Ancora più a proiettarle deformate dal fisheye sulle volte a botte. Nelle mani del fotografo casalese bottiglie e tufo diventano pianeti fluttuanti.
Nel cortile del Castello c’è tempo per uno sguardo “Da Casale al Po” con gli scatti selezionati dei fotografi amatoriali casalesi: 34 autori su centinaia che si erano proposti. Tutti intervistati in un video in cui raccontano il loro rapporto con il paesaggio. Ma è nel foyer del Teatro Municipale che troviamo uno dei progetti più originali del Monfest. Si chiama #hometohome di Raul Iacometti ed è un geniale lavoro sulla fruizione dell’immagine durante il lockdown. Con i teatri chiusi Iacometti ha chiesto a grandi protagonisti della danza internazionale di esibirsi sul “palcoscenico” del proprio smartphone in una video call su WhatsApp, fotografando il suo cellulare mentre veniva trasmessa la performance. Non c’è solo l’esibizione, c’è il contesto: un piccolo schermo collocato, ora in salotto, ora in cucina che dà un’idea precisa di quanto l’arte abbia dovuto rimpicciolirsi per rimanere con noi.
Cinquecento metri più in là nel complesso ebraico di vicolo Olper la mostra di Lisetta Carmi ci porta nella Israele negli anni ’60. Anche questa è una esposizione straordinaria in un contesto straordinario. Lisetta Carmi, classe 1924, ha scelto personalmente gli scatti per questa mostra curata da Daria Carmi e Giovanni Battista Martini che non solo ci racconta l’humus che ha dato origine alla nazione, fatto di immigrazione, stratificazione culturale e sociale (e non certo prosperità), ma anche una figura di donna leggendaria. Pianista internazionale, attivista politica, viaggiatrice e considerata una delle grandi figure della fotografia italiana. Scoprirla è come scoprire che anche in Italia ci sono stati personaggi capaci di raccontare mondo al livello di Margaret Bourke-White.
In un itinerario che ci porta in tutti i luoghi significativi della città non poteva mancare il Nartece del Duomo con un'altra star della fotografia internazionale: Maurizio Galimberti, questa volta impegnato a rileggere “L’ultima cena” di Leonardo da Vinci. Non è l’ennesima trasformazione pop di un’icona, lo stile di Galimberti in un ambiente sacro come questo finisce per restituirci l’essenza contenuta nell’opera. Ultima Tappa a Palazzo Treville dove troviamo “Domestica” di Giulia Camporesi (premio Soroptimist per Storie di Donne), un racconto intimo e poetico concentrato sulla femminilità. Infine la mostra Guardarsi per Rinascere Ritratti e Autoritratti al femminile degli Allievi dell’Istituto Leardi. Per nulla banali come si potrebbe aspettarsi dalla loro giovane età. Una porta per il futuro perché state sicuri che questo Monfest ispirerà molti.