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VIDEO - Il focus sul dramma delle donne afgane nella sede del Parco del Po
La serata organizzata da Me.Dea.e dal Collettivo Donne Insieme di Casale Monferrato ha contato sul contributo del Collettivo Teatrale CET
Tre momenti in uno, venerdì scorso nella sede Parco del Po, per un approfondimento sulla drammatica situazione delle donne afghane, attraverso il contributo di testimonianze raccolte in Afghanistan, ora videoregistrate, ora drammatizzate e ora narrate da donne impegnate per le donne stesse.
La serata, organizzata da Me.Dea. (Centro Antiviolenza) e dal Collettivo Donne Insieme di Casale Monferrato, ha contato sul contributo del Collettivo Teatrale CET (servizio pagina cultura), del documentario “Boccioli di rabbia” delle attiviste afghane di Rawa (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan) e di Anna Santarello del Cisda (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane), che dal 1999 opera al fianco di Rawa.
“I talebani, con il loro atteggiamento e la loro misoginia, certamente non aiutano, ma il Paese non era molto meglio prima – ha esordito la Santarello. - La differenza era che nelle grandi città le donne erano più libere, emancipate e potevano studiare/lavorare, ma nelle zone rurali e nei piccoli villaggi, che rappresentano la gran parte del Paese, non è mai stato così, tant’è che l’oltre 70% delle donne è analfabeta. Malgrado la maggior libertà di movimento, durante l’occupazione occidentale le guerre interne tra le diverse fazioni non hanno mai smesso di esserci. Inoltre, il 35% circa del Paese (nel sud ovest) è sempre stato controllato dai talebani che, con l’andare degli anni, si sono rafforzati anche grazie a certe politiche degli occupanti occidentali. Negli ultimi 20 anni i governi sono stati presieduti dai signori della guerra, della droga e da misogini arricchitisi con i soldi trasferiti dagli occidentali (mille miliardi di dollari per la missione in Afghanistan solo dagli Stati Uniti). Soldi che sarebbero dovuti andare per la missione e per la ricostruzione, ma che, invece, sono in gran parte finiti nella corruzione. Anche il nostro governo ha stanziato ingenti fondi per le scuole, invece, rimaste cattedrali nel deserto mai finite, oppure mai edificate. In questo clima perversante di corruzione, le speranze iniziali sono presto svanite”.
Diversamente, sono andati i progetti di Cisda e Rawa. Progetti più piccoli, ma sempre seguiti e verificanti nel funzionamento come, tra gli altri, la piccola clinica finanziata dall’Opera di San Francesco di Milano, attiva da circa 15 anni. “E’ irritante apprendere che i governi occidentali non abbiano fatto altrettanto e che i soldi ministeriali, che sono i nostri, siano finiti malamente”.
La situazione ora
In questo momento c’è un minimo di pacificazione perché non ci sono i bombardamenti delle truppe alleate, ma gli attentati, anche se in forma minore, continuano ad esserci con lotte tra talebani e fondamentalisti. La situazione delle donne è molto pesante, con attiviste sparite e altre costrette a fuggire. Anche le donne di Rawa sono in pericolo, ma agendo in clandestinità e con profili bassi, riescono ancora a garantire il loro impegno. Ne sono un esempio i corsi di cucito accettati dai talebani ma che, di fatto, sono anche d’istruzione e insegnamento ai diritti. Dopo la chiusura delle case rifugio, con molte donne costrette a tornare nelle famiglie dove avevano subito violenza, Rawa ha aperto delle piccole case rifugio clandestine con massimo 3-4 donne; altre donne trovano rifugio in famiglie ospitali. I rischi, però, restano sempre alti. Negli ultimi mesi abbiamo dovuto ridurre i contatti per evitare controlli di rete”.
Oltre al finanziamento centrato dei progetti, le donne di Rawa ci chiedono di sostenerle affinché possano aiutare i rifugiati interni. “Ora, più che mai, è necessario farle capire che non ci dimentichiamo di loro – ha concluso la Santarello. - L’emergenza umanitaria va sostenuta solo attraverso le associazioni umanitarie. Esserci, significa anche il non riconoscimento del governo talebano”