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Il fante crociato di Bistolfi

Negli anni della prima guerra mondiale lo scultore casalese Leonardo Bistolfi fu costretto a interrompere i lavori delle grandi opere iniziate da alcuni anni e dedicò il suo tempo alla realizzazione di calendari e cartoline per i soldati. Terminato il conflitto fu scelto a presiedere le commissioni giudicatrici di alcuni concorsi (Genova, Forlì), ma soprattutto ideò molti monumenti ai caduti (Correggio, Oneglia, Sartirana, Camburzano, Casale), alcuni non realizzati a causa della grave malattia agli occhi (Torino). Sotto il profilo artistico il grande monumento di Casale è uno dei più importanti. Sorto nei giardini pubblici cittadini, venne inaugurato da Vittorio Emanuele III il 26 maggio 1928, anno molto importante per la conclusione delle opere monumentali di Bologna e Savona dedicate a Carducci e Garibaldi. Tre anni prima, nel 1925, Leonardo Bistolfi scriveva al giornalista Edoardo Bertuetti che ebbe l’idea del fante (indicato con l’espressione dialettale “A l’è ‘n toc d’paura”) miracolosamente in una notte: “me lo son veduto dinanzi all’improvviso; credo che mi abbia guidato le mani Iddio”. E poi, come ricorda Sandra Barresford nel catalogo della grande mostra del 1984, aggiungeva: “Volli raffigurare in questo fante… tutti i soldati della guerra, come li vidi io. Il pastrano enorme e lordo del fango di tutte le trincee e nel suo viso dovrebbe essere il dolore e l’eroismo trasumanato di tutti quanti i combattimenti, i morti e i vivi. La baionetta ch’egli si stringe al petto, non è più la spada ma croce”. E’ posto al centro della gradinata circondata da una esedra semicircolare con quattro cariatidi in forma di vittoria alata. Di fronte, accarezzata dal vento, avanza la “Primavera Italica”. In alto sulla trabeazione semicircolare sono incisi i versi di Gabriele d’Annunzio: “Canta o nuova Primavera Italica della nostra anima il nostro amore sacro all’immortale figlio delle vittorie”. L’insolita collocazione del monumento di grandi dimensioni, in un ambiente naturale, lontano dal traffico, sullo sfondo di una cortina di alberi del grande parco settecentesco ricavato sull’area della distrutta cittadella di Casale, trova riscontro nelle parole dello scultore simbolista che lo ideò come “un’ara a cui si dovrebbe accedere in pio pellegrinaggio, ed in occasioni speciali; perciò non ha sempre la sua sede acconcia in una piazza dove è sovente disturbato da mercati o da altre riunioni rumorose e profane”. Il fante crociato, citazione di Pansa Monumento d’ arte vera, quello del Bistolfi. Sia pure di un’arte così cupa da rendere mirabilmente mortuaria persino la vittoria popputa prorompente in avanti con una mano tra i capelli. Ma il morto più mortuario era il fante, detto anche fante crociato. L’ elmetto insopportabilmente pesante. Il pastrano che era un autentico sudario. Gli occhi devastati dallo spavento che ti folgora quando vedi la tua fine. La baionetta a forma di croce. Povero soldato disfatto, straziato dai colpi di cento e cento trincee. Da Giampaolo Pansa, “Ma l’amore no”, edizioni Sperling & Kupfer, Milano 1994. Primavera del Bistolfi con la Ombres Andava in bici anche d’inverno, sicuro, appena avevano spalato la neve dai viali e le aiuole erano ancor tutte piene, mica belle a vedersi, anche se ai bambini la neve piace. A lei non piaceva. Le sembrava qualcosa di goffo, di tumefatto: riduceva tutto come le guance quando si ha il mal di denti; aveva provato a mangiare la neve, una volta, con lo zucchero e il limone, e il giorno dopo era piena di volatiche intorno alla bocca e sulla fronte. E poi, la neve non le piaceva per via della Primavera. La Primavera: una statua di ferro o bronzo, chissà, in mezzo all’aiuola più grande, vicino alla fontana: reggeva una corona, forse per i Caduti. Era la Primavera o la Gloria? Certo era ben magra, col seno velato che sporgeva appena e i capelli coi boccoli così avvolti che parevano cavolini di Bruxelles. La neve la imbiancava e trasformava la corona - di alloro, probabilmente - in un Sant’Honoré: brutto affare. Da Rossana Ombres, Evviva!, “L’Approdo letterario”, XIX, n. 62, giugno 1973. Contributo di Olimpio Musso: Una sensuale “Primavera italica” Dal dopo guerra fino a metà degli anni Cinquanta i famosi giardini pubblici della nostra città erano un po’ i giardini privati di varie bande di bambini (fra i quali il sottoscritto) in fuga dalle piccole case popolari dei dintorni. Scappavamo di casa per fiondarci nei viali dei giardini, dove scorrazzavamo a piacimento. Solo più tardi scoprimmo il Po e le sue rive boscose, costellate di orti, oggetto delle imprese asportatorie delle bande bambinesche, che spesso erano costrette a fughe precipitose, inseguite dai proprietari imbestialiti. All’epoca innocente della prima infanzia, i giardini costituivano una bella scenografia bucolica, nonostante la presenza inquietante del monumento ai caduti del Bistolfi, ben noto ai casalesi e ai monferrini. Il monumento era in parte truce e in parte provocatorio. Era però più severo l’altro monumento, quello a Giovanni Lanza, che con sguardo cupo sembrava dicesse: Guai ai ladri e ai corrotti! Il monumento agli eroici Caduti della prima guerra mondiale era opera del grande scultore casalese Leonardo Bistolfi, che lo eseguì per l’amministrazione comunale e inaugurò nel 1928. Composto da un’esedra marmorea con quattro vittorie alate e due statue di bronzo, che raffigurano l’una un fante in atteggiamento statico, mortuario e l’altra una donna formosa e col seno scoperto, la Primavera italica, tesa in uno slancio e vivacemente sensuale , che sta scappando dalla morte e, forse, si sta dirigendo verso la vita. Quello che mi aveva lasciato sempre stupefatto era la figura della Primavera italica in atteggiamento erotico così scoperto. Fin che un giorno di nebbia sentii la voce di un passante, che cantando si dirigeva verso la vicina stazione ferroviaria. Le parole che mi restarono impresse furono le seguenti (giuro che sono autentiche): “ Tucca Gigìn che pansa düra, jò n’ambulìn ca ‘l büta pagüra” (“ Tocca,Luigina, che pancia dura. Ho un ombelico che mette paura!”). Ecco la reazione popolare alla destinazione patriottica del monumento, che non ho più dimenticato. Quando passo vicino ad esso mi tornano in mente le parole: Tucca Gigìn….

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Michele Castagnone

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