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Eternit-bis: i commenti dopo la sentenza
Intervengono Uil, Medicina Democratica e Rifondazione Comunista
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Dopo la sentenza della Corte d'Assise d'appello di Torino nel processo d'appello Eternit-bis (la pena è stata ridotta a 9 anni e 6 mesi a fronte di numerose assoluzioni e nuove prescrizioni) arrivano i primi commenti.
«La condanna a 9 anni e 6 mesi inflitta a Stephan Schmidheiny dalla Corte di Appello di Torino ricalca la precedente inflittagli dalla Corte d’Assise di primo grado a Novara e attesta inequivocabilmente la colpevolezza, peraltro già accertata precedentemente, del magnate svizzero dell’Eternit nella tragedia che ha colpito la città di Casale con la diffusione del mesotelioma pleurico», afferma Luigi Ferrando per la UIL Alessandria.
«Questo dimostra, ancora una volta, la validità della ricerca di giustizia che la nostra città persegue da anni e comunque risarcisce parzialmente le vittime del danno subito. Resta, purtroppo, la motivazione della condanna derubricata a omicidio colposo che prelude alla prescrizione in Corte di Cassazione. E purtroppo una lotta senza sbocco, ma una lotta giusta che ci unisce ancora una volta nella dignitosa ricerca del riconoscimento dei diritti umani calpestati».
Marco Caldiroli, presidente di Medicina Democratica, parte civile nel processo Eternit bis, assieme ad AIEA, afferma: «È importante sottolineare che la sentenza della Corte di Assiste d’Appello di Torino di oggi si conclude comunque con una condanna, per quanto ridotta da 12 a 9 anni, ma occorre rilevare che nel contempo vengono erose le ragioni delle parti civili e l’entità delle responsabilità e vi è il rischio che vi siano ulteriori riduzioni, per effetto delle prescrizioni, nel prossimo grado di giudizio, in Corte di Cassazione: Medicina Democratica contribuirà in ogni modo che ciò non avvenga!».
«La difesa sostiene che il processo penale non è adeguato ad affrontare la questione dell’amianto, volendo ridurre il tutto a una questione di indennizzi individuali in sede civile, senza il riconoscimento delle responsabilità personali e delle imprese (Eternit). Non siamo assolutamente d’accordo soprattutto se vogliamo che tali tragedie non si ripetano più. Assurdo ancora continuare a negare che il mesotelioma e le altre malattie asbesto correlate di lavoratori, lavoratrici e popolazione nelle immediate vicinanze degli stabilimenti siano dovute a ragioni diverse dall’esposizione all’amianto, che era prodotto da Eternit e sparso per il territorio. Altrettanto evidente è la violazione delle normative sulla sicurezza e l’igiene del lavoro esistenti anche prima del formale riconoscimento della tossicità dell’amianto peraltro ben conosciuta da Eternit e da tutti coloro si sono succeduti nella direzione aziendale».
«La condanna a nove anni di reclusione per Stephan Schmidheiny al processo Eternit bis di Torino - ha dichiarato Alberto Deambrogio, segretario regionale piemontese di Rifondazione Comunista – rappresenta un punto importante nella lunghissima vicenda riguardante l’amianto. Come noto i lavoratori e le lavoratrici e i cittadini e le cittadine di Casale Monferrato hanno ingaggiato una determinatissima, coraggiosa e inesausta battaglia non solo per ottenere giustizia, ma per imporre davanti all’opinione pubblica del nostro Paese un’idea di civiltà e moralità ben precise e alternative a quelle che hanno caratterizzato l’attività di Schmidheiny e dell’Eternit: il valore del lavoro vivo, della vita di una comunità contro il disvalore astratto e criminale del profitto».
«La condanna a 9 anni segna un punto importante per chi, appunto, ha difeso il lavoro, la vita in comune e l’ambiente; dice che nelle sue argomentazioni c’era e c’è la verità. Quella verità, così dura da affrontare, ma ineludibile, che la difesa di Schmidheiny ha sempre vergognosamente provato a eludere, persino nell’ultimo incredibile passaggio di oggi in aula a Torino».
«Il fatto che la riduzione della pena rispetto al primo grado sia dovuto alla prescrizione di reati molto gravi, non può che indurre una profonda amarezza, esattamente perché ancora una volta chi, pur avendo responsabilità gravissime, riesce ad approfittare di limiti del nostro sistema giudiziario e normativo. Su questo la riflessione è d’obbligo e dovrebbe coinvolgere, cosa finora non fatta a sufficienza, la politica, spesso lontana sideralmente da tali problemi».
«Chi ancora pensa che l’affermazione di un alternativo modo di produrre, di stare insieme, di rispettare l’ambiente sia necessaria – ha concluso Deambrogio – deve oggi grande riconoscenza alla battaglia piena di forza e dignità, che non esce sconfitta dal Tribunale di Torino. È questa gratitudine non doma che deve fare aggio sull’amarezza per quel che non è stato riconosciuto».
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