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Mato Grosso
Due anni da missionario «esperienza che ti cambia»
La testimonianza di Fabio Bianco, di ritorno dal Perù dove è stato insegnante
Lasciare tutto e partire può fare molta paura. Specialmente se non si è sicuri di cosa ti aspetta, ma solo che farai del bene per il prossimo: Fabio Bianco, classe 1999 di Pozzengo, invece, ha deciso di farlo. Dopo due anni in Perù con la missione Mato Grosso, ci ha raccontato di quella che «non è una semplice esperienza».
«Sono andato in Perù tramite Mato Grosso - racconta - un’associazione non legittimata fondata da padre Ugo cinquant’anni fa e che si occupa di aiutare in modo pratico cinque paesi dell’America Latina. Io sono partito circa un anno e mezzo fa per Tauca, un paesino per aiutare e conoscere gente, una volta arrivato mi sono occupato dell’ambito educativo. Il Perù è un paese povero e poco sviluppato, non povero come può essere l’Africa ma comunque in difficoltà. Noi ci occupavamo di tre scuole: una primaria, che viene frequentata da circa sessanta bambini; una scuola professionale artistica per ragazze; una scuola simile ad una Università ma non riconosciuta, al termine della quale le studentesse possono dare l’esame per diventare insegnanti. Io mi occupavo per lo più della parte pratica anche se pur non avendo una laurea, ma avendo frequentato due anni di matematica, potevo insegnarla alle ragazze. Gli insegnanti però sono quasi tutti peruviani. All’interno della missione la lingua che veniva parlata era il castigliano, che dopo i primi tre mesi risulta abbastanza facile... anche se non si è mai studiato prima spagnolo, non è sicuramente questa la parte più difficile».
La parte più complessa, prosegue Fabio Bianco, «è, infatti, quando devi decidere di partire: in quel momento sei consapevole di essere senza sicurezze economiche e anche che andrai in un paese diverso dal tuo, meno agiato, lontano da comodità persino sanitarie e soprattutto senza i tuoi amici e la tua famiglia. Nonostante questo credo che sia una cosa molto bella, che proporrei a molti giovani: impari cosa voglia dire fare la carità in un mondo egoista e pieno di guerre in cui si pensa solo al proprio stipendio e al denaro. Se non iniziamo noi a cambiare tutto continuerà ad andare così».
«Quando tu arrivi li dimentichi tutte le tue preoccupazioni dedicandoti pienamente a loro. Nel momento in cui cerchi di aiutarli ti rendi conto di quanto ti sono grati e questo ti riempie di gioia; da parte loro non c’è mai una grande diffidenza anche se è un paese con un tasso di corruzione alta e dove portare soldi da fuori può essere pericoloso. Fortunatamente lavorando a contatto con i ragazzi noi non abbiamo avuto esperienze spiacevoli. I soldi che portiamo in Perù arrivano tutti dal lavoro che si fa in Italia con varie iniziative; questi vengono poi inviati a Lima da dove sono inviati nelle varie missioni».
Questi soldi «vengono usati in modo pratico e senza secondi fini: molto spesso capitava che dopo aver visto i bambini arrivare a scuola particolarmente tristi o con abiti rovinati andassimo direttamente nelle loro case sia per assicurarci che non ci fossero problemi legati proprio alle condizioni del luogo sia per genitori poco presenti».
«Sicuramente questo ti cambia: chiamarla esperienza sarebbe riduttivo. Quando arrivi nella missione, infatti, ti abitui ad un nuovo stile di vita. Per esempio la parte agricola, che è una delle cose che mi sono piaciute di più, è molto diversa da come avviene qua. Il loro modo di lavorare la terra è più arretrato, non utilizzano trattori ma si fa tutto manualmente: la mietitura si fa ancora con i cavalli. In questo ambiente si creano quindi dei legami bellissimi, nuove amicizie, specialmente con i bambini che in fretta si affezionano».
«Adesso sicuramente continuerò ad aiutare da casa con le varie iniziative, ma non escludo di tornare se gli amici che ho lasciato là mi chiamano perché hanno bisogno di una mano. Tutto questo è reso possibile nelle nostre zone grazie alla parrocchia del Duomo, dove se qualcuno è interessato può andare a informarsi o partecipare agli incontri settimanali».
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