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Mettere fine a questa brutta stagione
Reintegro medici no vax: basta soffiare sul fuoco della discriminazione
Interviene Alessandro Morandini di Cub Sanità Alessandria
Occorre, in seguito al reintegro del personale sanitario che non ha aderito alla campagna vaccinale anti Covid 19, ritornare su alcuni ragionamenti espressi anche su questo giornale da esponenti politici locali, ragionamenti il cui risultato è dividere i lavoratori e le lavoratrici nel settore della sanità, ed i cittadini nel resto della società. Non è, questa, una faccenda irrilevante, perché ostacola il buon funzionamento delle strutture sanitarie, già gravate da innumerevoli problemi che si trascinano da anni, e perché contribuisce ad implementare le politiche di erosione dei diritti dei lavoratori portate avanti da decenni da diverse forze politiche. Per una volta vale la pena chiamare in causa quell’area del sapere che non afferisce al tanto abusato quanto poco compreso, di questi tempi, concetto di scienza; la letteratura ci metteva nelle condizioni di capire i danni sociali, prima ancora che sanitari, che accompagnano le epidemie, le quali oltre ad essere un fatto sanitario sono anche un fatto sociale e un fatto politicamente rilevante.
Cub Sanità, in quanto sindacato di base, è chiamato, tra le altre cose, a stimolare ragionamenti esponendo i problemi relativi alla discriminazione che è andata maturando nel mondo del lavoro verso quella parte di colleghi etichettati con epiteti infamanti e sospesi senza stipendio. La discriminazione nel mondo del lavoro è un problema che il sindacato affronta da sempre nella sua storia, ed è un problema che le forze sociali e politiche anti-sindacali hanno altrettanto puntualmente generato per scopi opposti a quelli per i quali è nato il movimento dei lavoratori, grazie al quale movimento abbiamo tutti beneficiato delle conquiste che distinguono un lavoratore da uno schiavo o da un servo della gleba.
A partire dalla campagna vaccinale il problema della discriminazione si è ripresentato nella forma dell’esclusione dal mondo del lavoro di una parte di colleghi che non aderivano ad un protocollo di prevenzione proposto non già dalla scienza (che in quanto tale non dispone nulla ma elenca i risultati di ricerche potenzialmente infinite e perpetuamente interessate dalla indagine sui propri errori, vizi e approssimazioni metodologiche o di rilevazione dei dati), ma da un governo. Il quale governo non si limitava a, per l’appunto, proporre, ma obbligava il personale sanitario a sottoporsi a quelle che apparivano a chi governava le soluzioni migliori per contenere l’epidemia in Italia (ammettendo, ma non concedendo, al governo il beneficio della buona fede). Soluzioni che, invece, non erano applicate in altri paesi europei dove, a posteriori, si hanno avuto proprio sul fronte della cura e della prevenzione risultati migliori. Oggi, per esempio, in Danimarca è stata vietata la vaccinazione anti covid ai minori, in Florida alle persone con meno di trent’anni, in Italia viene fatta ai bambini. Qualcuno sta sbagliando e se la ricerca è sempre impegnata nel rilevare dove stanno gli errori, i politici e gli amministratori dovrebbero pagare per gli errori commessi, quando vengono scoperti. D’altro canto le resistenze alla esposizione pubblica degli errori commessi dipendono proprio dalla mancanza di cautela e responsabilità tipica dei politici italiani, dal coinvolgimento di troppi soggetti potenti, da un sistema dove i pesi e contrappesi che dovrebbero garantire controlli reciproci non funziona.
Ciò che però è apparso inaccettabile e sospetto a quella parte di cittadini inclini a considerare le conquiste di libertà dei lavoratori quali indicatori di civiltà e fatti dai quali non si deve recedere (che sono poi gli stessi cittadini e professionisti medici, infermieri e oss che conservano senso critico), è la modalità con cui si è sviluppata la campagna vaccinale. Oltre alla già citata discrepanza rispetto ai paesi più civili dell’Italia dove mai ci si sarebbe sognati di fare ciò che è stato fatto qui, nel nostro paese il governo ha sollecitato quel meccanismo di discriminazione verso una parte della popolazione, che viene utilizzato con intensità inversamente proporzionale al grado di democrazia, di libertà e di rispetto per i cittadini che può vantare una comunità politica. Ora, poiché la voce del governo è per molte persone ingenue fonte di verità, viene da sé che se un governo dice che una parte della popolazione uccide un’altra perché non si è sottoposta al programma di prevenzione proposto, quella parte di popolazione verrà pesantemente discriminata. E infatti ancora oggi c’è chi parla di persone potenzialmente infettanti se non vaccinate, non considerando le numerosissime reinfezioni sintomatiche tra gli operatori tre o quattro volte vaccinati. Il meccanismo psicologico che attiva nella società i processi discriminatori di cui i governi abusano a loro uso e consumo, a tutto svantaggio dei diritti umani e dei diritti dei lavoratori faticosamente conquistati nel corso dei decenni se non dei secoli, è come una peste che si insinua nella mente delle persone ed i cui sintomi possono essere attivati facendo ricorso alla paura (paura dell’infezione, paura della perdita delle proprie ricchezze, paura della dissoluzione delle norme sociali etc.). ed alla voglia di individuare un colpevole immediatamente visibile. Il sentimento del disprezzo, indispensabile per poter discriminare una qualche categoria sociale, siano essi i non vaccinati o gli stranieri o i non conformisti, è sempre accompagnato negli individui da un senso di superiorità, non di rado da un senso di superiorità morale. La discriminazione verso i non vaccinati non ha, come possiamo notare oggi, solide ragioni mediche, ma è sostenuta da solidissimi meccanismi psicologici e sociali.
Oggi ci sarebbe veramente bisogno di concludere questa triste parentesi, che nei secoli, periodicamente, si ripete; si tratterebbe di leggere gli aspetti sociali prima ancora che quelli virologici (soprattutto quando più che leggere i dati virologici si recitano pappagallescamente le baggianate presentate dalle virostar nei talk show o i numeri senza alcun senso statistico dei bollettini quotidiani), magari recuperando la grande tradizione letteraria italiana a partire da Boccaccio passando per Manzoni e per un meno noto antropologo che i danni sociali provocati dalle epidemie, o meglio delle sindemie, nel corso della storia ha a fondo studiato: Piero Camporesi. Oggi ci sarebbe bisogno di chiudere questa triste parentesi e consentire alle strutture che si occupano di salute e benessere di affrontare i numerosi e più immediati problemi che bisogna affrontare, dalle infezioni ospedaliere, alle lunghissime ed inaccettabili liste di attesa, alla carenza di personale, alle paghe inadeguate nonostante il rinnovo contrattuale, alle inaccettabili code presso i Pronti soccorso, a, soprattutto, la riduzione dell’orario di lavoro; orario di lavoro che, complice il covid e la carenza di personale, tende ad aumentare con gravi danni sulla salute dei professionisti della sanità e sulla restituzione di un servizio efficiente. Questi ed altri problemi che i cittadini ben conoscono e i sindacati tradizionali non affrontano, sono stati oscurati dall’epidemia e dall’esposizione di dati drammatici che l’epidemia ha portato con se’ in Italia, dati drammatici quando vengono paragonati a quelli di Svezia, Norvegia, Danimarca, paesi che hanno adottato misure diverse e, soprattutto, non hanno mai lontanamente pensato di porre in contrapposizione il progresso dei diritti umani, sociali e civili con la salute degli individui (e men che meno discriminare una parte dei loro cittadini e dei loro professionisti).
Ci si potrebbe iniziare a chiedere se questi problemi sono connaturati o conseguenti ai modelli industriali applicati alla cura delle persone. Ci si potrebbe iniziare a chiedere se lo sviluppo e la diffusione di tecniche efficaci per la salute degli individui e delle comunità è compatibile con la concentrazione di capitali finanziari e di potere politico che, per perpetuarsi, annuncia continui stati di emergenza sanitaria, economica, bellica etc.
Sarebbe veramente necessario chiudere i conti con questa stagione di disperante disorientamento che ha provocato miseria e disgregazione sociale, ma è difficile farlo perché gli strascichi della discriminazione promossa dal governo non sono facili da sfilare, e perché le persone che, a vario titolo, hanno sbagliato incrementando il grave bilancio che ogni epidemia porta naturalmente con sé sono troppe e non hanno nessuna intenzione di ammettere i propri eccessi di zelo, la propria malafede, la propria incapacità di distinguere tra la ricerca scientifica (con tutti i suoi limiti) e l’uso che le istituzioni politiche fanno di alcuni risultati della medesima ricerca; la quale ricerca, peraltro, non potrà mai offrire certezze, semmai una sterminata e necessaria letteratura sui propri temporanei successi e sui suoi errori, errori peraltro indispensabili al progresso.
Il reintegro dei sanitari non vaccinati potrebbe essere l’occasione per mettere fine a questa brutta stagione, ma ostinatamente c’è ancora chi soffia sul fuoco della discriminazione; ed appare ormai chiaro che molte persone comuni che adottano questo atteggiamento (non le oligarchie chi promuovono interessi opposti a quelli dei lavoratori e delle lavoratrici, nella speranza di dare un ulteriore colpo alla civiltà dei diritti) non si rendono conto dei disastri sociali che stanno contribuendo inconsapevolmente a realizzare.
Profili monferrini
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