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Per "Si apre il sipario"
"Il grande vuoto" dei malati di Alzheimer nello spettacolo con Giusi Merli
Martedì 15 e mercoledì 16 aprile ore 21 al Municipale

«Il punto è trasformare il dolore in bellezza. Ci riusciremo ancora?», così la regista Fabiana Iacozzilli affida a Re Lear, una tra le più cupe tragedie di Shakespeare, il compito di trasfigurare il dolore attraverso il filtro teatrale. Con “Il grande vuoto”, l’autrice porta sul palco l’amore tra una madre malata di Alzheimer e i suoi figli, inquadrando, con una messa in scena a metà tra teatro e riprese video in diretta, le fasi dell’ultimo pezzo di strada percorso da una famiglia prima di perdersi nel vuoto.
Martedì 15 e mercoledì 16 aprile alle ore 21 (biglietti in vendita su Vivaticket) al Municipale di Casale si conclude la stagione con un testo intenso che vede protagonista una grande del teatro come Giusi Merli, il cui nome si lega anche a pellicole come “La Grande Bellezza” di Paolo Sorrentino o “Dune” per la regia di Denis Villeneuve. A guidarci nell’analisi dello spettacolo è Giusi Merli, la protagonista del nostro spazio di “Si apre il sipario”.
Un grande dolore della vita come viene narrato dalla regista Fabiana Iacozzilli?
Un grande vuoto della mente, sparisce tutto. Un vuoto che viene sentito dalle persone che sono attorno alla malata, ma alla fine non so cosa rimanga in una persona che perde la memoria. Credo sia duro da vivere per chi ha anche sprazzi di lucidità…
Cosa ha scoperto dall’interpretazione di questo personaggio?
Ho imparato a fondo a essere in scena, senza esserci. In situazioni tra lucidità e completo abbandono… La figlia non accetta che la madre sia malata e cerca di scuotermi per farmi tornare come prima senza accettare la realtà. Questa situazione, a mio avviso, peggiora lo status di questi malati, aumentando in loro stessi il grande vuoto. Mi ricordo sempre il comportamento che ebbi durante la malattia di mia madre… nello spettacolo mi rivedo nel ruolo dei figli.
Rabbia e rassegnazione sembrano essere i sentimenti che emergono in queste situazioni. Ma quale messaggio lancia questo testo?
Una volta, al termine dello spettacolo, incontrai una operatrice che lavora con i malati di Alzheimer, e anche lei disse che non bisogna forzare il ricordo di queste persone. Bisogna essere amorevoli con loro! In scena, al termine di un litigio, il fratello mette la madre in braccio alla sorella, un sentimento che riporta in mente un sopito amore materno. Prima di affrontare questo spettacolo la compagnia lesse “I curacari” scritto da Marco Annichiarico, un libro che ci aiutò moltissimo. La madre dell’autore rimase ironica, nonostante la malattia. “Io non ti conosco ma ti voglio bene”, una frase che la mamma dell’autore diceva molto spesso.
Ci parli dell’efficacia di Shakespeare
La scrittura è stata scenica, dopo tante prove, in tanti teatri, abbiamo costruito molto grazie alle improvvisazioni. Questo spettacolo nacque su di me… io rappresentai Re Lear… in Russia ci sono stata davvero. Tutto si basa sul mio passato, su quello che sono stata. Mi venne in mente di usare un pezzo della Follia del Re e poi seguirono altre aggiunte. Scoprimmo che tutto funzionava. Credo che questo sia stato un regalo del teatro o dell’inconscio che si unisce…
Elementi scenici interagiscono “dal vivo” con quello che succede sul palco.
Intervengono nel momento in cui io interagisco con oggetti. Da un armadio è calato un grande schermo, sui cui vengono proiettate le mie azioni e quello che filmammo a casa della madre della regista, realmente malata di Alzheimer.
Cinema e teatro: cosa apprezza di entrambi?
Con il cinema ci sono arrivata tardi, per puro caso. Quando sono sul palcoscenico mi verrebbe voglia di scappare. Ho una paura terrificante che poi mi passa. “Le mie italiane” scritto da Pennac racconta dell’autore che aveva scritto un monologo per un attore… e Pennac dice che l’attore o si incarna o muore, non esiste una via di mezzo. Tutto è una questione di vita o di morte e mi sono ritrovata quando lo lessi. Il cinema non mi fa alcun effetto. Mi diverto tanto!
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