Le vicende storiche dell'abbazia benedettina di San Pietro di Breme sono strettamente legate a quelle della celebre abbazia della Novalesa, fondata il 30 gennaio 726 dal nobile franco Abbone nel cuore della Val di Susa a ridosso della Via Francigena. In seguito all'assalto nel 906 di una banda di feroci saraceni, i frati fuggiaschi, dopo una breve sosta a Torino, trovarono sicuro rifugio nelle "curtis" di Breme e di Pollicino (nei pressi dell'attuale cascina Rinalda).
«Breme, che sorgeva su un'altura detta "Costa Rubea" alla confluenza tra Po e Sesia, era in una posizione ottimale per i monaci della Novalesa: il luogo, fertile e rigoglioso, era in una posizione strategicamente sicura e inoltre a breve distanza dalla sede imperiale di Pavia. Qui Donniverto, ultimo abate di Novalesa e primo di Breme, edificò un monastero che fu intitolato a S. Pietro, come quello da poco abbandonato».
Così si legge in "Breme. Terra di Lomellina", il volume appena pubblicato dall'amministrazione comunale (Tipografia Panza, Mede 2008) con il patrocinio della Regione Lombardia e della Provincia di Pavia. E poco dopo: «Intorno alla metà del X sec. l'edificio doveva essere pressoché terminato; a quest'epoca risale anche la costruzione della cripta tuttora esistente. Il fatto che la comunità benedettina si fosse trasferita a Breme non comportò l'abbandono del sito originario dell'abazia; una volta cessato il pericolo saraceno, l'abate Gezone si preoccupò di restaurare gli edifici della Novalesa e ottenne dall'imperatore Ottone III un diploma, redatto nel 998, in cui si confermavano all'abate di Breme tutte le donazioni più recenti e tutti i possedimenti di pertinenza dell'antica abazia».
Il legame tra le due abbazie è attestato in uno dei testi più celebri della letteratura storiografica medievale, il "Chronicon Novaliciense", scritto intorno alla metà del XI secolo da un monaco rimasto ignoto coll'intento di celebrare la grandezza della Novalesa proprio nel momento in cui si apprestava a risorgere dall'oblio in cui era caduta.
Entrato per la prima volta da giovinetto alla Novalesa in compagnia del monaco architetto Brunigo, l'anonimo cronista era probabilmente figlio della terra di Lomellina, forse vissuto proprio a Breme come sembrano attestare alcuni accenni autobiografici.
Con la conquista nel 1306 di Breme da parte delle milizie di Galeazzo Visconti ebbe inizio un inarrestabile declino dell'abbazia, sia per la decisione di duchi di Milano di fare di Breme un forte presidio militare, sia a causa delle frequenti usurpazioni e soprattutto del dilagante nepotismo da parte di alcune famiglie, come quella del celebre condottiero casalese Facino Cane con i tre abati Lorenzo (1381), Lodovico (1423) e Domenico (1427).
E così nel 1784, dopo 879 anni di vita, una delle più celebri abbazie riceveva il colpo di grazia con il decreto di soppressione emanato dal re di Sardegna Vittorio Amedeo III e il conseguente abbattimento in epoca napoleonica della chiesa abbaziale, peraltro già diroccata e pericolante.
Dionigi Roggero
UNA CRIPTA CHE (LA DOMENICA) SI PUO' VISITARE-
Dopo qualche anno torniamo a Breme, nel cuore della Lomellina: vento e siccità fanno alzare la polvere dei campi, uccelli neri riposano sui fili elettrici (o sono del telegrafo?) pare quasi di veder lo stradone attraversato dai rotoli di rovi, come nel Far West.
Andiamo con ordine. Da Terranova di Casale alla circonvallazione di Candia. A destra stop alla suggestiva chiesetta di Santa Maria di Pollicino, siamo al X secolo, era di pertinenza della «curtis di Polliciano» (oggi è la Rinalda oggi della famiglia Tagliabue); dai vetri vediamo una statua della Madonna.
Poi nel paese seguendo le indicazioni e girando attorno a un pilone votivo eccoci al Municipio, ospitato nel grande complesso dell'abbazia di San Pietro costruito dagli Olivetani a metà del '500. E' «abate» da pochi mesi su 840 abitanti il sindaco Franco Berzero (non confondetelo col fratello direttore di corali, lui è un giovane pensionato Olivetti). Berzero ci riceve nel suo vasto studio con l'assessore alla cultura Carlo Bocca Spagnolo.
Parliamo del libro-guida saggiamente predisposto, dei frati della Novalesa (bisognerebbe tentare un gemellaggio), dei comuni legami come Mercurino e i Visconti (quelli di Ozzano), visto che don Giuseppe Visconti in paese tiene palazzo e terre che vanno da Breme a Sartirana, Torre Beretti e Torre d'Isola: 760 ettari, da battute di caccia con corno e cani.
Coi nostri cortesi anfitrioni ricordiamo la stele funeraria romana impreziosita da un altorilievo della Medusa (scaccia malocchio) che vedemmo sempre alla prima visita (nel cortile dell'abbazia) e «girammo» notizia e foto alla prof. Anna Cafissi dell'Università di Firenze che ne fece studi preziosi, articoli (lapide di Publio Cornelio Frontone) che, forse, han messo in allarme la Sovrintendenza che qui venne un giorno coi Carabinieri e ritirò la stele al Museo archeologico di Vigevano (se l'avessero murata...).
Non possiamo ora che chiedere di scendere alla cripta, il bene più prezioso di Breme.
Bisogna attraversare il cortile chiostro dove mamme graziose attendono i bimbi dell'asilo. In fondo un pertugio, scalini ricavati nello spessore del muro, noi non dobbiamo abbassare (per poco) la testa ed eccoci fare un salto di mille, millecento anni. La cripta è una chiesa preromanica, molti mattoni sono ricavati da grandi tavelloni funebri (dona energia lo sfiorarli), suggestive anche le quattro colonne in pietra, di cui una è in marmo bianco venato che potrebbero provenire, come pezzi di recupero, da edifici di epoca romana (Lomello, Laumellum è vicinissmo e Breme faceva parte dell'XI regio augustea). Vicino all'entrata attraverso un buco di tamponamento nel mattone si vede un secondo ambiente, è di proprietà privata, perchè non tentare di «allagarsi» anche in questo lato?
Concludiamo la visita al complesso con il pozzo e la grande cucina dei frati (qui siamo nel medioevo), due lapidi riportano l'elenco degli abati e vi troviamo Lorenzo, Lodovico e Domenico Cane, della famiglia di Facino Cane, il famoso capitano di ventura (di cui abbiamo appena trovato tracce a Castello di Annone); poi passiamo sul lato opposto del complesso con la ghiacciaia (si fa un salto non nel tempo ma uditivo quando partono i motori dell'acquedotto situato in una posizione un po' infelice).
Da aggiungere che il comune apre questo grande complesso, cripta compresa, tutte le domeniche pomeriggio (info tel. 0384 77001 328 7816360) ed è lo stesso assessore a fare da guida, orgoglioso di aver avuto 600 presenze lo scorso anno.
Usciamo verso Sartirana, sia per cambiare strada del ritorno, che per ammirare i cartelli turistici che (a imitazione di quelli che Filippi pose in provincia di Alessandria) il sindaco Berzero ha piazzato per attirare visitatori (e ci sta riuscendo).
Luigi Angelino
LA LAPIDE E L'INTERPRETAZIONE DELLA PROF.CAFISSI
Questo era il commento finale dell'articolo della prof. Cafissi:
«L'iscrizione è incorniciata sotto il frontone, fra due lesene scanalate, delle quali rimane solo la sinistra. Il testo consiste in quattro linee, l'ultima delle quali è fortemente danneggiata, mentre il resto è perduto. Le parole sono separate da punti. Si legge con chiarezza:
T F I / P CORNELIVS M · / · FRONTO SIBI ET / ......TATE CONI .. -
Nella lacuna all'inizio della quarta linea era contenuto il nome della moglie del defunto; poiché i caratteri dell'epigrafe sono tracciati con precisione, si può calcolare che manchino cinque o sei lettere. Integrerei perciò così: [FELICI]TATE. Il testo quindi sarebbe: "T(estamento) f(ieri) i(ussit) / P(ublivs) Cornelivs M(arci)/ [f(ilivs)] Fronto sibi et / [Felici]tate coni(vgi) / - - - - - "-
Il defunto, Publio Cornelio Frontone, non è altrimenti noto; possiamo soltanto rilevare che è un personaggio che porta i "tria nomina", che non è di origine servile, anzi, è un cittadino libero ed abbastanza facoltoso, come mostra il monumento funebre che si è fatto erigere... Sulla base della tipologia della stele e dei caratteri paleografici, è proponibile una datazione alla seconda metà-fine del I secolo d.C».
FOTO. Il campaniile (unica vestige della chiesa), la cripta, il complesso olivetano, S. Maria di Pollicino