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Epica contadina
Franco Testore al "Balbo" per la presentazione di "Napoleone in bicicletta"
Sabato 26 ottobre alle ore 11 alle ore 11
Franco Testore, classe 1953, prima infermiere poi oncologo, è autore del volume di successo “Il bacialé”. Con il suo nuovo libro “Napoleone in bicicletta” (Arabafenice), narra la storia di Napoleone, bracciante veneto, che a metà degli anni Trenta fugge dalla provincia di Padova, per motivi personali e politici, e finisce quasi casualmente nell’Alessandrino. In bicicletta, in un giorno solo. In seguito la famiglia lo raggiunge: cambiano paesi e cascine, cambiano le storie. Arriva la Seconda Guerra Mondiale, e i figli partono per la guerra in tutta Europa. Una storia di famiglia drammaticamente vera. Un’epica contadina che abbraccia cinquant’anni di storia italiana. Sabato 26 ottobre alle ore 11 la presentazione del libro (organizzata da Roberta De Marchis insieme alla dirigente scolastica Emanuela Cavalli, oltreché alla Libreria Coppo Ubik) nell’aula magna dell’Istituto Superiore Balbo e l’incontro con l’autore.
“Napoleone in bicicletta” è un bellissimo spaccato di storia e di vita contadina. È anche possibile riconoscere luoghi e situazioni vicini a noi monferrini. Ce li racconti.
Nelle ricerche fatte, in primo luogo negli Uffici Anagrafe, ho scoperto che il primo paese in cui Napoleone aveva abitato con la sua famiglia in Piemonte era Conzano. Confesso che non conoscevo Conzano, fino a quel momento, ma ci ho trovato una realtà davvero straordinaria, in particolare i legami con l’Australia, le storie di emigrazione che, guarda caso, avevano consentito che lì ci fosse posto per gli immigrati che arrivavano dal Veneto, come Napoleone, che fu probabilmente il primo. Poi Castelletto Merli, con la strana situazione di un socialista anticlericale come Napoleone che faceva il mezzadro del Parroco, e infine Asti, in Valle San Pietro, dove i mezzadri veneti conobbero gli ebrei e, in particolare, la famiglia Levi-Montalcini.
Come ha ricostruito questa saga familiare?
Purtroppo nessuno dei figli di Napoleone è più in vita, per cui ho dovuto trovare documenti oggettivi e rinunciare alla narrazione a voce, tranne che per le vicende della guerra in Montenegro, raccontate dal figlio Angelo, mio suocero. Negli Uffici Anagrafe in Veneto e in Piemonte ho trovato documenti di cent’anni fa, scritti a mano con pennino e inchiostro, e poi il Foglio Matricolare di Napoleone, che mi ha consentito di ricostruire le sue incredibili vicende durante la Prima Guerra Mondiale, di cui non aveva fatto parola nemmeno con la sua famiglia. La storia della lotta partigiana fatta da un altro dei suoi figli, invece, ho potuto conoscerla da un partigiano di 96 anni che aveva combattuto con lui e lo ricordava ancora benissimo. Qualcuno dei nipoti, poi, ricordava ancora dall’infanzia storie familiari raccontate dalla nonna Mena, la moglie di Napoleone.
Chi sono i contadini con “la faccia da tutti i giorni”?
Sono persone, apparentemente invisibili o “sordomute”, come le definisce Nuto Revelli nel Mondo dei Vinti, ma che hanno un ruolo fondamentale nella Storia. Per citare la dedica di un mio precedente romanzo, “Il Bacialè”, sono quelli che fanno da contrappeso al mondo e, spesso, lo mantengono in equilibrio. Ciascuno di noi può avere una faccia per tutti i giorni e una, forse meno sincera, per i giorni di festa. Ma i contadini non fanno quasi mai festa, dunque hanno sempre la faccia da tutti i giorni.
Ha trovato ispirazione da altri autori che hanno parlato del mondo contadino: Pavese, Lajolo, Fenoglio, Revelli e/o Zola...
Nessuno che scriva storie della società contadina piemontese può prescindere da questi Autori, ma io tento di raccontare le storie della gente comune dal punto di vista dei protagonisti e non di qualcuno che è uscito fuori dal contesto contadino e poi ci ritorna per confrontarsi con le proprie radici. In questo senso, mi sento molto più vicino a un libro straordinario come “La Terra” di Emile Zola. Il mio secondo romanzo, “Il Bacialè”, ha vinto nel 2012 il Premio Letterario Cesare Pavese. Ricevere questo Premio proprio nella casa natale di Pavese a Santo Stefano Belbo è stato un momento molto emozionante, che mi ha fatto capire come queste storie debbano davvero trovare uno spazio per essere raccontate e conosciute.
Che cosa vede di simile tra il fenomeno migratorio descritto nel libro e quello di oggi?
La ricerca, a volte disperata, di qualcosa di migliore che non è possibile trovare nel luogo in cui si è casualmente venuti al mondo. Milioni di italiani hanno cercato questa possibilità nel resto del mondo, e la cercano tuttora. Noi italiani siamo un popolo di migranti, anche se cent’anni fa partivano migliaia di contadini analfabeti poveri e oggi, invece, partono migliaia di giovani laureati. Perché mai dovremmo negare ad altri popoli la possibilità di migrare oggi come noi stessi abbiamo fatto per decenni prima di loro?
Perché ha firmato i suoi romanzi precedenti con degli pseudonimi?
Tutto è nato dal mio primo romanzo, “Zero all’alba”, del 2005, in cui si raccontava la storia, parzialmente autobiografica, di una generazione di giovani astigiani arrabbiati con il desiderio di fare la rivoluzione, tra il 1968 e il 1977. I protagonisti erano, e in buona parte sono ancora, vivi e in discreta salute, e ovviamente non potevo usare i loro nomi e cognomi reali, per cui ho deciso di dare a ciascuno un nome di fantasia, rispettando però le iniziali vere, e così ho fatto con me stesso, cercando però di trovare uno pseudonimo che fosse una specie di introduzione al contenuto del romanzo. Così è nato Felice Travaglio, che poi, nel Bacialè, storia di contadini di Langa, si è trasformato in Fermo Tralevigne e infine nel Gigante della Bassa, storia di un contadino che nella sua lunga vita ne combina molte, ma ne esce sempre sano e salvo, è diventato Fortunato Tuttobene. In più, fino a sei anni fa facevo il mio lavoro di medico oncologo e ci tenevo a separarlo dal divertimento della scrittura. Da “Napoleone in bicicletta”, sulla copertina c’è il mio nome vero.
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