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...a Chivasso antica capitale del Marchesato del Monferrato
Appuntamento martedì (22 gennaio, ndr) con il presidente della Società Storica Chivassese Fabrizio Spegis per una visita in quella che un tempo era una delle sedi privilegiate (considerata capitale) dei marchesi di Monferrato con la zecca attiva dal 1306 al 1418, la prima a coniare le monete del piccolo Stato.
Di quei lontani secoli restano numerose testimonianze che attestano l’importanza storica prima del passaggio ai Savoia nel 1435. Dopo un attraversamento della città nelle strette vie del centro parcheggio nella grande e centrale piazza d’Armi dominata dal grande monumento ai Caduti di tutte le guerre.
Scendiamo accolti dal sole (che favorisce le foto) e un vento gelido (il giorno dopo è arrivata la neve...).
Ci incuriosisce subito, è poco distante dall’auto, protetto da una teca di cristallo, l’alto “menhir” definito nel Cinquecento dal notaio Bernardino Siccardi “Lapis longus”, la “lunga pietra” utilizzata per la punizione dei debitori insolventi.
Entriamo nell’isola pedonale per raggiungere la nostra guida, che ci attende con un libro in mano davanti alla facciata neogotica della Collegiata di Maria Assunta, di cui ammiriamo la doppia ghimberga con le statue in cotto dei profeti e degli apostoli, attribuite a maestranze del Centroeuropa.
Iniziati durante il regno del marchese Teodoro II Paleologo, i lavori di costruzione della chiesa, consacrata non ancora ultimata dal vescovo di Ivrea mons.Giacomo De Pomariis nel 1429, furono poi completati dalla “Credenza” cittadina.
All’interno sono in corso restauri nella navata sinistra. A destra dell’ingresso le grandi figure in terracotta del “Compianto sul Cristo Morto” modellato su esempi borgognoni; poco più avanti la cappella di patronato della famiglia Bosio con la tavola cinquecentesca della “Deposizione” del pittore chivassese Defendente Ferrari e la tela ottocentesca che raffigura il beato Angelo Carletti, con sullo sfondo la facciata della collegiata e il “menhir” nell’antica collocazione. È d’obbligo una breve sosta ai piedi dell’antica e alta torre ottagonale costruita con blocchi di pietra calcarea grigia, inglobata nel castello eretto dai marchesi Aleramici dopo l’assegnazione di Chivasso al marchesato di Monferrato da parte dell’imperatore Federico Barbarossa nel 1164.
Percorriamo via Torino, anche qui tracce da “capitale” negli antichi portici (ci intriga una pasticceria che produci i famosi “Nocciolini” cui la Società storica ha dedicato un libro). A metà, sulla destra una statua è dedicata al beato Angelo Carletti, e poco oltre una targa su una casa ne ricorda la nascita con queste parole: “Da questa casa / uscì alla scienza / all’apostolato alla santità / il Beato / Angelo Carletti / fulgida gloria / di Chivasso / Chivasso 1411 - Cuneo 1495 / i concittadini / a perenne memoria / XXV agosto MCMXXIX”. Dopo la laurea in diritto all’università di Pavia, entrato nell’ordine dei frati minori osservanti, consegue una seconda laurea in teologia, inizia la predicazione itinerante seguita da una intensa attività diplomatica in Europa. Più che per l’incunabulo sulla confessione “Summa Angelica” pubblicato nel 1486 dal primo tipografo di Chivasso Jacobino Suigo, il Carletti è noto per il celebre episodio avvenuto a Wittenberg nel dicembre 1520, quando Martin Lutero bruciò la sua opera insieme alla bolla papale di scomunica.
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Elena Robotti
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