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Viaggio a Grazzano per Aleramo e Badoglio

Della vita di Aleramo si hanno poche notizie, come pure del padre Guglielmo, forse sceso in Italia in aiuto di Guido di Spoleto contro Berengario per il regno d’Italia e premiato con la nomina di conte di “Torresana”, la località individuata con “Castrum Turris” accanto alla pieve di San Lorenzo, nelle vicinanze di Villadeati. Un secondo intervento di Guglielmo è registrato a favore del vescovo di Piacenza presso Rodolfo II re di Borgogna nel 924. Ma pochi anni dopo, in una carta del 933, compare già il figlio, quel “fidelis noster Alledramus comes” cui re Ugo e il figlio Lotario conferiscono alcune terre nel comitato di Vercelli. La nomina di marchese ad Aleramo giunge nel 958 da Berengario II, di cui aveva sposato in seconde nozze la figlia Gerberga. Ma il documento più importante è un diploma dell’imperatore Ottone I di Sassonia che conferisce al “fedele marchione Aleramo” sedici corti nelle “terre esistenti dal fiume Tanaro al fiume Orba e fino alla riva del mare”, primo nucleo del nascente marchesato. L’investitura è concessa su richiesta di Adelaide, moglie dell’imperatore e figlia di Rodolfo, a conferma della fedeltà aleramica alla dinastia, e forse alla probabile origine borgognona della famiglia. Non è nota la data di morte del marchese, ma le autorevoli testimonianze della “Cronaca di Saluzzo” di Gioffredo della Chiesa e della “Cronica del Monferrato” di Benvenuto Sangiorgio confermano la sepoltura nel monastero benedettino di Grazzano, da lui fondato in memoria di Guglielmo, il figlio di primo letto prematuramente scomparso. Sappiamo che il primo marchese di Monferrato ha ormai ha perso il padre Guglielmo, vive con la seconda moglie Gerberga e dal primo matrimonio ha avuto tre figli, di cui i superstiti Anselmo e Oddone gestirono, dopo la sua scomparsa, la marca in modo consortile, pur iniziando a delimitare le rispettive zone di influenza del Monferrato e del Savonese. La tomba di Aleramo è collocata in una cappella laterale della chiesa dedicata ai santi Vittore e Corona, indicata da un affresco col ritratto di Aleramo e da un frammento di mosaico con tessere bianche e nere raffigurante due animali mostruosi che si affrontano. Due iscrizioni murate ne riassumono la complessa vicenda storica. La prima risale al 1581, quando i resti del marchese furono trasferiti dal porticato antistante l’antica chiesa all’interno della nuova costruzione. La seconda, posta dal parroco don Edoardo Coggiola nel 1932, ne ricorda la ricomposizione dei resti mortali, di cui era già stata fatta una prima ricognizione il 28 ottobre 1909 dal parroco don Eugenio Capra, come si legge sul documento conservato in una scatola di legno insieme al “dente di Aleramo”. Pur trovandosi nella giurisdizione vescovile di Vercelli, fin dall’origine il complesso benedettino dipendeva dalla diocesi torinese e l’abate, eletto dai monaci, veniva consacrato dal vescovo di Torino. Poi, nel 1408, con la riforma dell’ordine benedettino di Santa Giustina anche i monaci di Grazzano tornarono al primitivo rigore spirituale, rinunciarono alla figura dell’abate commendatario (col titolo di conte di Grazzano) e si resero indipendenti dalla giurisdizione vescovile, sottoposti solo al controllo della Santa Sede. La soppressione del monastero, imposta dal decreto napoleonico del 16 agosto 1802, non impedì tuttavia all’abate di risiedere in paese come “cittadino parroco”, ma senza alcun privilegio. Un Museo storico che visitiamo col direttore Allemano Andiamo a Grazzano per le “ultime” sul paese in vista dell’aggiornamento della prossima Guida del Monferrato. Primo appuntamento al Museo Storico Badogliano con il direttore-conservatore (e anima) Alessandro Allemano. Tra le novità gli espositori per le decorazioni di Badoglio acquistati dal comune di Grazzano nel 2011. Una serie di onorificenze che dimostra l’importanza del personaggio. Le decorazioni sono nella ‘‘sala Africa’’ (preceduta dal salotto di famiglia) al pian terreno con la sciabola di Ras Alula, uno dei capi dell’esercito del Negus Menelik, un cannoncino da 75/13 per batterie da montagna impiegato nella battaglia di Adua. Poi al primo piano il semplice letto di ferro, un tavolino con una macchina da scrivere; alle pareti giornali con l’annunzio della morte del maresciallo, quello su Stampa Sera è a firma Bruno Marchiaro. Il bastone da maresciallo (quasi mai usato) è nella “sala della grande guerra”, in quella “del governatorato”, in una vetrina le armi della Libia (1929-34) e le armi per la caccia (trovate sotto il letto). Eccoci nella “sala dell’Impero”, da un armadio tra il profumo della naftalina esce la grande bandiera che sventolò su Ghebì imperiale ad Addis Abeba il 5 maggio 1936. Poi alcune divise, una con il brevetto da pilota preso nel 1928, il guidoncino per l’automobile, la custodia del Collare dell’Annunziata. Visitiamo i nuovi ambienti per l’archivio fotografico schedato in armadi climatizzati; la sala studio con l’inventario dei 121 faldoni della fondazione (finanziamento della provincia di Asti). Sfogliamo tre album della visita a Casale con firme illustri (c’è anche quella di Cavallero e ci pare strano visto i pessimi rapporti che regnavano tra i due marescialli) e i giornali di guerra con poesie di Ungaretti. Un angolo ricorda il vecchio asilo. Nell’antica cucina un tablet con foto, video e audio. Dalla guerra alla religione. Saliamo alla chiesa parrocchiale; primo omaggio (lo facciamo sempre) alla tomba di Aleramo nella cappella del Rosario, rivediamo il dente del mitico fondatore della marca monferrina trovato in una esumazione. Bello il coro costruito alla fine del Cinquecento per la chiesa di Santa Croce di Casale, poi ceduto a metà settecento all’abbazia in cambio di trenta messe (un affarone). Entriamo in sacrestia, per ammirare l’antico vaso della purificazione, per le partorienti, unico nel suo genere, è posto su una colonna romanica. E’ stato restaurato anche l’antico chiostro, con aiuole verdi, ulivi, piante da frutta, mele cotogne e pere. Ammiriamo la poderosa torre campanaria con archetti pensili e splendidi capitelli, la meridiana ricorda le ore canoniche dei benedettini. Spingendo una porta anti vento siamo su un grande terrazzo panoramico: da una parte la campagna monferrina, dall’altra l’antica abside che svela due date incise nel tufo: 1681 e 1733. Rita Avidano e Santi Giacomo (collaboratrice Germana Penna) ci accompagnano nel piccolo museo da loro ordinato con oggetti e documenti dell’antica abbazia, tra cui quello dell’asta napoleonica del 2 ottobre 1811 della chiesa di Madonna dei Monti. Ultima sosta davanti alla lapide romana del profumiere Tito Vezio Ermete con la poetica disposizione di portare nel giorno del compleanno delle rose sulla sua tomba. APERTURE Prossime aperture Museo badogliano:venerdì 25 aprile, ore 16-18 (in occasione di "Camminare il Monferrato"); domenica 4 maggio, ore 15-17,30; domenica 1 giugno, ore 15-17,30. Costo dell'entrata: 3,00 euro (gratuito per minori di 10 anni). Nella ricorrenza del 70° anniversario di costituzione del secondo governo Badoglio (aprile - giugno 1944), ai visitatori del Museo verrà offerta in omaggio una copia del volume "Dai Governi Badoglio alla cobelligeranza antinazista", che raccoglie gli atti di un convegno di studi svoltosi ad Asti nel novembre 1993.

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