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Viaggio d’autore al... Santuario mariano fondato nel quarto secolo dal vescovo di Vercelli

«Nato in Sardegna, dopo essere stato lettore nella città di Roma, divenne vescovo di Vercelli». Così il contemporaneo san Girolamo tratteggiava nell’opera “De viris illustribus” (che raccoglie le biografie di 135 uomini illustri della storia del Cristianesimo) la figura di Eusebio, nominato primo vescovo del Piemonte da papa Giulio I nel 345. E poco dopo la sua scomparsa, avvenuta a Vercelli il 1° agosto 371, sant’Ambrogio lo ricordava in una lettera giovanissimo, quando «uscì dalla sua terra e dai suoi parenti, e alla tranquillità della sua casa preferì le peregrinazioni». Fu infatti la sua profonda e infaticabile azione pastorale, faticosamente estesa nel clima reso difficile e ostile dalla presenza di consistenti centri di culto pagano, la causa dell’esilio a Scitopoli (oggi “Beth Shean”, nel distretto nord di Israele), voluto dopo il concilio di Milano (355) dall’imperatore Costanzo II, favorevole all’arianesimo. In quel doloroso e inquieto momento della sua esistenza, subì, come egli stesso narra nella lettera ai fedeli di Vercelli, Novara, Ivrea e Tortona, violenze, minacce, fame e carcere fino a un passo dalla morte. Ma la scomparsa improvvisa nel 361 di Costanzo porta sul trono il giovane cugino Giuliano (che più tardi i cristiani chiamarono “l’apostata”) il cui decreto, forse nel 362 o nella primavera del 363, restituisce la libertà ad Eusebio che ritorna nell’amata sede vescovile. Qui riprende con infaticabile vigore e rinnovato entusiasmo l’instancabile opera di evangelizzazione delle campagne fino alla sua scomparsa. Oltre alle reliquie, Vercelli conserva un tesoro di inestimabile valore: il prezioso “Evangeliario di sant’Eusebio”, un manoscritto risalente al IV secolo con la più antica versione latina dei quattro Vangeli. La sua stesura, o quantomeno la commissione dell’opera, è attribuita a Eusebio e sarebbe stata realizzata durante l’isolamento a Crea, come si legge nella “Vita antiqua”, la biografia scritta tra l’VIII e il IX secolo che ricorda le ragioni del soggiorno eusebiano in Monferrato. «Combatteva poi [Eusebio] contro le ferocissime belve ariane, che lo scacciarono dalla città, avendo suscitato contro di lui la persecuzione del popolo; ma egli, affinché il popolo non peccasse nei suoi confronti (persone che in seguito egli si compiaceva di considerare come figli), sapendo che è stato scritto: “Se vi avranno perseguitato in una città, fuggite in un’altra”, passò al di là del fiume e, giungendo nel ‘castrum’ detto ‘Credonesium’, e dimorandovi tre mesi, eresse un oratorio in onore della Beata Genitrice di Dio; e protraendo ancora oltre il suo soggiorno, scrisse di sua mano il Vangelo di Cristo». Secondo la tradizione il vescovo di Vercelli avrebbe portato in Italia dall’Oriente le tre Madonne Nere di Cagliari, Oropa e Crea. In realtà la Madonna col Bambino venerata nella Basilica di Crea è una scultura lignea di piccole dimensioni, ritenuta opera della metà del Duecento, da secoli oggetto di una profonda devozione. Nella storia il restauro eseguito nel 1981 da Gian Luigi Nicola di Aramengo, che togliendo il velo brunito ha scoperto la policromia del volto di Maria. Dionigi Roggero La statua arriva da Lucedio? Ero nelle mie funzioni di addetto culturale a Barcellona, capitale della Catalogna, quando ricevetti una lettera da Ottiglio, datata 6 aprile 1991: “Sono uno studioso piemontese che da sempre si occupa di storia del Monferrato (…). In questi mesi iniziai la raccolta di memorie sulle origini di Santa Maria di Crea dove esiste il simulacro ligneo della Madonna (…) è assai probabile per non dire sicuro che la statua sia di provenienza spagnola”. La firma è Aldo di Ricaldone, uno studioso famoso per i suoi libri sulla storia del Monferrato e per i suoi articoli su questo giornale. Il di Ricaldone si era convinto che la statuetta lignea della Madonna con bambino, donata secondo la tradizione da S. Eusebio vescovo di Vercelli, fosse di origine catalana e chiedeva aiuto per reperire documentazione iberica. Naturalmente mi dichiarai a disposizione. Iniziò così un carteggio, che durò fino a un anno prima del mio rientro in patria nel 1992. Ottenni il parere dello studioso catalano della materia di maggior prestigio,che comunicai: “il Dr. Joan Ainaud de Lasarte, già Direttore del Museu de Catalunya e ora Presidente del Patronato dell’Instituto de Arte Hispánico di Barcellona (…), data la statua intorno al 1300 senza dubbi. Non esclude che possa essere catalana, cosa che gli farebbe piacere in quanto catalano; esclude invece che sia di altre parti della Spagna. Tuttavia ritiene che più probabilment sia di scuola locale”(23.4.1991). Lo studioso monferrino non si arrese neanche di fronte a un giudizio così autorevole e mi scrisse varie lettere piene di richieste bibliografiche e di altri contatti con studiosi iberici e italiani. Così interpellai un altro studioso spagnolo, specializzato e prestigioso: “Oggi (13.6.1991) ho mostrato la fotografia della Madonna di Crea al prof. Joaquín Yarza Luaces, cattedratico nell’Università Autonoma di Barcellona, il quale esclude che la nostra Madonna sia catalana: soprattutto il bambino gli risulta estraneo alla tipologia catalana. Nemmeno è spagnola. (…) pensa che sia antica, forse anche del Duecento”. Entrambi gli studiosi indicarono una provenienza italica. Il di Ricaldone si rivolse a vari centri italiani per avere chiarificazioni, ma “dopo un mese non uno rispose alle mie lettere. (..) Non parliamo degli Assessorati alla cultura, accozzaglie di mangiasoldi...”. Di carattere pugnace, così si esprime (5 luglio 1991): “A me poco importa che la statua provenga da Cagliari, da Barcellona o da Palermo: resta il fatto che non è allegabile alla scultura lignea di Madonne dell’area dell’Italia occidentale”. L’ultima lettera gliela inviai il 13.10.1991: la parola spettava ai documenti, ricordai, riassumendo lo stato della questione. Naturalmente la statuetta medievale (del 1300 circa) non può essere quella che S. Eusebio donò nel quarto secolo d. Cr. Ma non c’è motivo di dubitare della tradizione circa una statua antica portata dall’Oriente in Italia dal grande santo, vescovo di Vercelli e donata a S. Maria di Crea. Lo scambio di idee col di Ricaldone mi stimolò ad occuparmi della questione. In seguito a mie nuove ricerche, scrissi un articolo (Il Monferrato del 22.2.2008) nel quale indicavo il monastero di Lucedio, oggetto di spoliazioni selvagge, quale luogo di provenienza. Forse la nostra statuetta dovette rimpiazzare quella originaria di S. Eusebio, danneggiata dall’età o andata perduta nel turbinio delle vicende storiche. Olimpio Musso Celebrazioni Eusebiane, a Ferragosto il card. Sodano Siamo nella sala del Fuoco del Convento di Crea con il rettore, mons. Francesco Mancinelli per dare avvio all’anno di S. Eusebio (363-2013) che prevede un itinerario da Vercelli a Crea, in collaborazione con il Cai e una serie di conversazioni (la prima il 2 marzo) su argomenti legati al santuario di studiosi, e divulgatori. Spicca il nome di Carlenrica Spantigati, sovrintendente storica (a lei e a Liliana Pittaeello il merito dei primi sopralluoghi, quelli del salvataggio di Crea in unione con padre Antonio, li ricordiamo benissimo insieme alle sottoscrizioni popolari, poi, ma solo poi, venne la Regione). L'Aero Club Palli ha animo di organizzare un volo commemorativo Casale-Cagliari con sorvolo di Crea e Oropa. Allo studio anche una sezione musicale. Il clou il 15 agosto per la festa della Madonna alla presenza del card. Sodano. Si pensa anche ad un coinvolgimento dei comuni delle antiche vicarie il cui nome è inciso nel marmo all’entrata delle cappelle. Luigi Angelino PER SAPERNE DI PIU' Secondo la leggenda il presule sardo Sant'Eusebio di Vercelli, primo vescovo del Piemonte, esiliato in Cappadocia per le persecuzioni ariane, avrebbe portato in Italia (345) tre madonne nere (statue), tuttora venerate rispettivamente nei santuari di Oropa e di Crea, in Piemonte e nella cattedrale di Cagliari (quella di Crea, come altre madonne nere, si è però rivelata originariamente bianca-rosata dopo essere stata sottoposta a restauri). Molte madonne nere sono attribuite - senza fondamento storico - a san Luca (ciò vale sia per la famosa Odighitria atrona di Sicilia sia per quelle di Częstochowa, Oropa, Caglairi e Crea, sia per altre, che sono a Roma, Gerusalemme, Madrid, Malta, Frisinga (Baviera), Bologna, Bari). Dato che tradizionalmente l'evangelista Luca è indicato come medico, il riferimento a san Luca pittore viene oggi interpretato come un possibile rimando ad alcune parole del vangelo secondo Luca. Egli preannuncia la Passione, dicendo: “Quanto a te, Maria, il dolore ti colpirà come colpisce una spada” (Luca, 2, 35). Il volto nero delle "madonne di San Luca" indica simbolicamente che sono "madonne addolorate". Alternativamente l'attribuzione all'evangelista può essere stato un modo di rivendicare l'antichità dell'immagine e la sua fedeltà.

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Michele Castagnone

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