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Terry Lynch: Yale dovrebbe revocare la laurea honoris causa a Stephan Schmidheiny

Pubblichiamo la lettera (che ci ha inviato l'Afeva), sulla laurea honoris causa conferita a Stephan Schmidheiny, scritta dell’americano Terry Linch, vice presidente internazionale e responsabile della salute sul lavoro presso l’Associazione internazionale dei lavoratori degli isolanti (ex lavoratori dell’amianto) e inviata al presidente dell’Università di Yale, Peter Salovey. Il mio nome è Terry Lynch sono un lavoratore di terza generazione nel campo degli isolanti. Fanno parte del nostro piccolo ma orgoglioso sindacato donne e uomini che con il loro duro lavoro isolano sistemi meccanici (tubi, condutture…) e che prima degli anni 80 senza saperlo impiegavano prodotti in amianto senza sospettare dei pericoli connessi. Ora usiamo materiali che non contengono amianto ottenendo gli stessi risultati. Nel 2007 in un convegno internazionale abbiamo tolto la parola amianto dal nome del sindacato: questa parola dava un’immagine negativa ai nostri potenziali e futuri clienti, assicuratori e lavoratori. Avendo vissuto con i lavoratori dell’amianto da quando ero bambino, conosco fin troppo bene il disastro e lo sconforto che l’esposizione all’amianto ha causato tra i nostri associati e le loro famiglie. Io ho perso mio padre e mio zio per malattie sviluppate a causa dell’esposizione all’amianto. Mio padre aveva quattro cugini a cui eravamo molto legati: si chiamavano O’Sheas. George, Eddy e Pat ed erano tutti lavoratori dell’amianto nei pressi di Chigago in Illinois. Mio cugino Tom invece era nella polizia. George, Eddy e Pat sono morti di mesotelioma. La moglie di George, Rosmary e sua figlia Rose sono morte entrambi di mesotelioma, come la moglie di Eddy. Qualche settimana fa è mancato Tom un collega e caro amico. Era molto coraggioso: gli è stato diagnosticato un mesotelioma pleurico in entrambi i polmoni all’inizio di luglio. Anche Tom viveva nei pressi di Chicago. Ha subito più di una dozzina di interventi chirurgici e viaggiato più volte con sua moglie Jeanne a Boston per fare dei trattamenti, prima di perdere la sua battaglia che è stata ispirazione per tutti. L’altra notte ho parlato con un nostro associato di Kansas City. Anche lui è una vittima del mesotelioma. Bruce è stato operato a Houston e sta conducendo la stessa battaglia che Tom aveva combattuto, dovendo anche trovare i soldi per pagare le prestazioni mediche dell’ospedale dal momento che gli assicuratori si rifiutano di farlo. Dicono che si tratta di un caso che riguarda l’indennizzazione dei lavoratori dipendenti, ma non c’è nessuno a cui rivolgere la domanda trattandosi di un lavoratore autonomo. Potrei andare avanti all’infinito ma credo che lei abbia colto l’idea. Ci sono molte persone che dovrebbero farsi carico delle conseguenze della loro avidità e del loro ignominioso comportamento: Stephan Schmidheiny è certo uno di questi. Mi sono rattristato nel sapere che la vostra grande istituzione ha concesso una laurea honoris causa proprio a lui e sono sorpreso e deluso dal fatto che dopo che siate entrati a conoscenza dei trascorsi di Schmidheiny non gli abbiate tolto questa onorificenza. Ho seguito con interesse gli scambi epistolari avvenuta negli ultimi sei mesi tra Yale e i rappresentanti delle vittime italiane riguardo la loro richiesta di revocargli il titolo di “Doctor in Humane Letters” concesso dall’Università di Yale nel 1996. Schmidheiny è stato condannato in primo grado e in appello per aver causato un disastro ambientale e provocato la morte di migliaia di persone. In entrambi i processi è stato rappresentato a pieno diritto da un collegio di difesa. Dal 1975 al 1990 Schmideiny è stato proprietario e massimo dirigente della Eternit, una multinazionale che estraeva amianto con cui fabbricava manufatti e coperture in fibrocemento. È stato il responsabile di un’attività industriale condotta senza il minimo riguardo per la salute dei lavoratori e per i membri della comunità di Casale Monferrato dove aveva sede la fabbrica più grande. Durante il processo è stato ampiamente documentato l’assoluto fallimento della Eternit nel proteggere e avvisare i lavoratori dei rischi letali dell’amianto. Gli operai andavano a casa con le tute da lavoro coperte di polvere d’amianto e così esponevano al pericolo le loro spose e i loro figli. Addirittura, la fabbrica vendeva agli operai la polvere ottenuta dai frammenti di scarto e pagava i lavoratori per portare a casa a rammendare i sacchi di juta vuoti in cui era contenuto l’amianto. Gli scarti d’amianto gettati per anni nel fiume Po formarono una spiaggia che innocentemente i casalesi e le loro famiglie hanno usato nei momenti di svago. Le condizioni di igiene della fabbrica sono state oggetto di forti critiche da parte delle autorità di sanità pubblica nel 1975 e nel 1976, ma i miglioramenti introdotti furono minimi e ampiamente sotto gli standard esistenti presso le industrie di fibrocemento di altri Paesi. Schmidheiny visitò la fabbrica e ricevette rapporti regolari riguardo ai problemi esistenti alla Eternit italiana nel momento in cui divenne amministratore capo della multinazionale. Il tribunale lo ha condannato per aver architettato una campagna di disinformazione e copertura dei rischi dell’amianto che sta tuttora causando malattia e morte. Secondo lo stesso tribunale questa strategia ha causato lo slittamento della messa al bando dell’amianto di dieci anni (1992). Anche qui negli Stati Uniti, come Yale documenta dal 1936, la popolazione lavoratrice è stata devastata dall’asbestosi e dai tumori professionali da amianto. E mentre apprezziamo gli sforzi dei medici di Yale e di altri lavoratori della sanità pubblica nel limitare i danni causati dall’uso dell’amianto, dobbiamo anche protestare fortemente contro il muro di pietra elevato da Yale in risposta alle richieste delle vittime italiane di rescindere la laurea honoris causa concessa a Stephan Schmidheiny. Invece di ridicolizzare il sistema di giustizia italiano come continuano a fare gli avvocati di Schmidheiny nelle loro interviste allo Yale Daily News, dovremmo rispettare il fatto che un tribunale e una corte d’appello abbiano condannato quest’uomo le cui azioni impersonificano i crimini di impresa legati alle sostanze tossiche. Il documentato, ingiustificato e cosciente disprezzo per la vita umana evidenziato dal sig. Schmidheiny per ottimizzare profitti nello stesso tempo in cui usciva dal business dell’amianto giusto un momento prima del proliferare internazionale della messa al bando dell’amianto, della sua regolamentazione e delle indennizzazioni ai lavoratori merita un chiarimento. Come raccomandato dal professore Thomas Pogge, l’Università di Yale dovrebbe immediatamente costituire un comitato indipendente per esaminare attentamente: 1) cosa Yale non è riuscita a sapere prima di concedere l’onorificenza a Stephan Schmidheiny 2) cosa Yale allora non avrebbe mai potuto sapere di ciò che è emerso solo anni più tardi. Il personaggio il processo ha messo in luce è agli antipodi con l’immagine di filantropo ambientale e imprenditore verde che il signor Schmidheiny ha coltivato una volta uscito dal business dell’amianto. Il comitato d’esperti dovrebbe considerare se l’onorificenza conferita a Schmidheiny facesse parte della strategia di riciclaggio dell’immagine condotta dal multimiliardario in anticipo sul rinvio a giudizio in Italia. I dirigenti della Eternit Italiana sono stati portati a processo e condannati fin dal 1983 per aver esposto negligentemente i lavoratori di Napoli all’amianto che ha causato l’insorgere di malattie in 170 persone. Successivamente i massimi dirigenti della Eternit italiana sono stati rinviati a giudizio nel 1988 e condannati nel 1993 per omicidio colposo nella fabbrica di Casale. Lo stesso anno in cui Yale concesse la laurea honoris causa a Schmideiny, il governo del Brasile lo condecorò con l’Ordine della croce del sud, la massima onorificenza che il Brasile conferisce agli stranieri. Questo riconoscimento ora è contestato dalle vittime dell’amianto in Brasile. In vista della forte possibilità che Yale (che ha iniziato a conferire onorificenze sin dal 1702) sia stata raggirata da un ricco criminale industriale e sia stata coinvolta nella sua strategia di cancellamento del passato e riciclaggio dell’immagine come imprenditore verde, al fine di anticipare i processi penali, crediamo che non ci sia alternativa per Yale che quella di riaprire il caso e trattarlo con la massima trasparenza e aderenza alla verità. Penso che Yale farebbe meglio a revocare il prestigioso riconoscimento concesso a Schmidheiny e conferirlo a un vero filantropo. Magari un bravo medico o un ricercatore che sta cercando di trovare una risposta all’orribile malattia che tanti tormenti ha causato nei vari O’Sheas, Lynch, Eders, Bruce e nelle migliaia di famiglie italiane.

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