Articolo »
Intervista
Giulia Pellegrini e "Radici" per Manifesto for Change
Tra tessuti, tinture e installazioni

Nel 2024, finalista nella sezione scultura e installazione all’Arte Laguna Prize di Venezia e vincitrice del premio speciale Art residences, presso BigCi Australia, ma se si legge il suo portfolio possiamo contare tantissime collaborazioni e mostre. Giulia Pellegrini, artista monferrina proveniente dagli ambienti accademici della Naba di Milano, ci fa entrare nel suo “spazio artistico” a Bruxelles, dove vive e lavora. La sua arte mette al centro la natura, da cui l’uomo si è allontanato.
Tra tessuti, tinture e installazioni, ha avuto il tempo di scrivere un testo che è stato selezionato e inserito nel Manifesto for Change, ambizioso progetto per i giovani creato da Giovanni Caccamo, celebre scrittore e autore musicale. Proprio oggi, 21 marzo, il racconto di Giulia, intitolato “Radici”, verrà condiviso con il mondo intero.
Perché si definisce “artista visiva”?
Mi definisco artista visiva per il mio percorso formativo nelle arti visive. Tuttavia, non mi sento completamente identificata con questa etichetta. Non mi interessa solo creare immagini o oggetti, ma generare esperienze immersive che permettano al pubblico di interrogarsi sul proprio rapporto con l’ambiente. Il mio lavoro si sviluppa attraverso installazioni e performance che favoriscono un’interazione diretta, un’esperienza fisica e sensoriale capace di rivelare connessioni spesso invisibili. Mi considero piuttosto una “facilitatrice” di questo processo: uno strumento attraverso cui il pubblico può riscoprire il proprio posto all’interno di un sistema di relazioni più ampio. Come sottolinea l’antropologa Anna L. Tsing, ogni paesaggio è un assemblaggio polifonico di esseri umani e non umani, una rete di interazioni continue che modellano il mondo in cui viviamo. La mia pratica artistica si inserisce in questo contesto, mostrando come non siamo osservatori esterni di questo equilibrio, ma parte integrante di esso.
Se le dico arte, ambiente e tessuti, che cosa ci può raccontare?
L’arte, per me, è esperienza. Condivido pienamente il pensiero del filosofo e pedagogista John Dewey, secondo cui l’arte è un processo vitale che permette agli individui di connettersi più profondamente con la propria realtà. In questa visione, l’arte diventa uno strumento per stimolare una nuova consapevolezza: un’esperienza sensoriale e interattiva che riattiva il nostro legame con l’ambiente che ci circonda. Nel mio lavoro, questa prospettiva si concretizza attraverso installazioni e performance in cui il tessuto diventa una metafora della natura stessa. La sua capacità di adattarsi ai corpi e alle condizioni dello spazio lo rende un simbolo potente delle relazioni tra gli esseri viventi e l’ambiente. Le mie opere sono spazi dinamici che invitano il pubblico a interagire fisicamente con il materiale.
Descrivere la sostenibilità, rimanendo umani, è possibile?
La nostra natura umana, per sua essenza, non è sostenibile: consumiamo, trasformiamo, lasciamo tracce. Tuttavia, il problema non è il nostro impatto in sé, ma il modo in cui lo gestiamo. La sostenibilità viene spesso trattata come un concetto astratto o un obiettivo da raggiungere, mentre per me è un atto di rispetto verso la Terra e gli altri esseri viventi. Non è una condizione imposta, ma una responsabilità che scegliamo di assumere ogni giorno, consapevoli delle conseguenze delle nostre azioni. Essere sostenibili significa riconoscere che il nostro benessere è indissolubilmente legato a quello dell’ambiente. Non si tratta di eliminare il nostro impatto, ma di trasformarlo in un dialogo armonioso con la natura, accettando il cambiamento come parte integrante della vita. La sostenibilità, dunque, non è una rinuncia, ma una nuova forma di consapevolezza e di equilibrio. è sinonimo di rispetto.
Dopo il premio a Venezia, ora Manifesto for Change. La selezione del testo dal titolo “Radici”.
Ricevere il Premio Arte Laguna Prize a Venezia, con la selezione della mia opera “Abito” nella sezione Scultura e Installazione, e vincere il premio speciale per fare una residenza artistica in Australia presso BigCi, è stato un riconoscimento di grande valore. Tuttavia, ciò che ha reso davvero significativo questo premio è stata la possibilità di entrare in contatto con artisti e realtà culturali internazionali, dando vita a un profondo dialogo e confronto. Con Manifesto for Change, la mia riflessione si amplia su scala globale. Questo progetto, è stato presentato ufficialmente alle Nazioni Unite giovedì 20 marzo, in occasione del Change the World Forum e pubblicato da Treccani il 21 marzo in un libro disponibile nei principali store digitali, rappresenta un’opportunità unica per partecipare a un dialogo collettivo sul futuro del nostro pianeta. Il mio testo, Radici, nasce dal desiderio di esplorare le connessioni invisibili che ci legano alla nostra essenza, agli altri esseri viventi e alla Terra. Far parte di questa raccolta significa dare voce a una visione che pone al centro la complessità delle relazioni e il valore fondamentale dell’interdipendenza. Essere portavoce di questo messaggio è per me un grande onore e una responsabilità profonda.
Quale colore utilizzerebbe per descrivere il futuro?
Se penso al rapporto tra noi e il pianeta, vedo il blu degli oceani, il verde delle foreste, il rosso dei vulcani, il marrone dei deserti: colori che raccontano la vastità e la diversità della Terra. Eppure, il colore che meglio rappresenta il futuro per me è il bianco. Il bianco non è una “tabula rasa”, ma una superficie su cui ogni azione lascia una traccia visibile, rendendo evidenti le nostre scelte. Costruire il futuro con il bianco significa assumersi la responsabilità delle proprie azioni, senza nasconderle, ma accettandole comprendendole, e trasformandole in segni di valore. Inoltre, il bianco è legato all’albedo, il fenomeno che consente alla Terra di riflettere la luce e mantenere l’equilibrio climatico. Senza albedo, la vita sulla Terra non sarebbe possibile. Per me, immaginare un futuro bianco significa costruire consapevolmente, lasciando tracce che parlano di rispetto, di equilibri ritrovati, di un nuovo modo di abitare il mondo con responsabilità e sensibilità.
Profili monferrini
Questa settimana su "Il Monferrato"