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Mangiare fragole a Natale e sciare d'inverno: a non tutti piace l'idea dello SkiDome

Splendida attività umana – almeno per quelli che la praticano (e anche per quelli che ne ricavano il giusto reddito) – è lo sci da discesa. Perchè offre l’occasione di un salutare esercizio fisico sportivo e mentale, di giornate nell’aria aperta della montagna, di uno stacco dalla stressante vita delle città, del piacere di paesaggi montani… L’appassionato sa bene che queste realtà, ma solo se tutte insieme, fanno dello sci un sano svago e una interessante attività sportiva; in questo piacere ci sta anche – perché no? - l’emozione di contare i giorni che mancano all’inizio di una nuova stagione (che da sempre viene una volta all’anno e, per fortuna dei casalesi, in luoghi non lontani da casa loro). L’irruzione dello stadio della neve nell’orizzonte di una prossima possibilità sconvolge d’un tratto questa concezione sciistica del mondo, tanto che lo sciatore malizioso – quello che fa peccato a pensar male ma di tanto in tanto ci azzecca – è indotto a sospettare che la realizzazione dello skidome rimandi a motivazioni ben diverse da quella di far felici gli sciatori. Va bene, non c’è nulla di riprovevole nel cercare nuove occasioni di profitto, forse nemmeno se si stravolge il ritmo delle stagioni e il riferimento ai paesaggi consueti: a Natale ci troviamo a mangiare fragole che non sanno di niente; i giorni di festa invece che dedicarli al riposo, allo svago, alla famiglia e agli amici li spendiamo a metterci in fila nei centri commerciali… insomma sembra che non ci pesi l’essere stati ridotti a consumatori che perennemente vagano cercando di soddisfare desideri che nemmeno immaginavano esistere. Però, a pensarci meglio - anche perchè non di bisogni umani primari stiamo parlando - resta difficile capire i vantaggi che la moltitudine otterrà da questa sorta di sci contro natura; facile al contrario elencarne gli inconvenienti, almeno i primi che vengono in mente: - il consumo di territorio espropriato alla naturale produzione agricola; - un consumo d’acqua ingiustificabile specie nel momento in cui ne cresce la scarsità; - lo shock estetico e culturale prodotto da un edificio mastodontico incombente nel mezzo della nostra bella campagna; - lo spreco energetico per produrre e mantenere l’assurdo della neve artificiale; l’inquinamento - vicino o lontano poco importa perché comunque sarà tutto riversato sulla collettività – derivante, oltre che dalla produzione dell’energia assorbita dall’edificio, dall’aumento del traffico veicolare (con corollario di incidenti), dalla produzione dei rifiuti e chissà da quanto altro ancora; - lo squallore di quello scivolare tra quattro pareti e un soffitto avvolti da luci artificiali, quasi fossimo dei polli d’allevamento. Certo la tutela del territorio e il rispetto delle tradizioni, sciatorie e no, non possono far passare in secondo ordine i supposti vantaggi economici e occupazionali discendenti da una nuova attività economica, fosse anche la più mostruosa. Non deve certo essere ignorata la promessa di (addirittura!) cento-centocinquanta posti di lavoro, indotto escluso! Tuttavia, se questo sarà vero, non si può sfuggire a una semplice domanda: quanto saranno bassi i 100-150 salari e le tutele per i lavoratori (questo riguarderà gli eventuali nuovi occupati) e quanto sarà alto il biglietto di ingresso (questo riguarderà i consumatori costretti a esborsi tanto più onerosi in un tempo di crisi) per permettere il giusto profitto agli investitori? Alla fine non ci accorgeremo - quando sarà troppo tardi? - che il cuore dell’affare risiede, come spesso avviene, non nell’attività annunciata ma nella costruzione della struttura? L’Italia non è piena di ingombranti strutture, sedi di attività presto fallite o mai iniziate, i cui cadaveri sono stati accollati all’obbrobrio paesaggistico e ai conti della collettività? Tramandano che sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, oltre alla ben nota iscrizione “conosci te stesso”, ne comparisse un’altra; su questa stava scritto “nulla di troppo”.

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Michele Castagnone

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