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Emergenza
Il Covid si è insinuato nella Casa di Stefano
Nella struttura in strada Frassineto, che accoglie ospiti adulti tra i diciotto e i sessant’anni
Alla fine è arrivato anche da noi. Il covid è entrato subdolamente nella Casa di Stefano, una delle nostre tre comunità. Nella struttura in strada Frassineto, che accoglie ospiti adulti tra i diciotto e i sessant’anni, sono stati riscontrati alcuni casi positivi. Fortunatamente le altre due comunità, in via Leardi, sono esenti.
Il riscontro del coronavirus nella Casa di Stefano, lo confessiamo, ci ha prostrato. Nonostante la prudenza adottata fin dall’inizio della pandemia, nonostante l’applicazione severa di ogni protocollo, nonostante l’attenzione e le precauzioni, non siamo riusciti a tenere il virus fuori della porta. Ce l’abbiamo messa tutta e, anche se non abbiamo l’abitudine a cantare vittoria facilmente, un angolo del cuore, al passare di ogni giorno, gioiva. I controlli costanti, nel pieno rispetto delle regole, ci hanno via via confortato, infondendoci la fiducia che, mantenendo il rigore senza cedimenti, l’avremmo scampata. Abbiamo anche chiesto ai famigliari dei ragazzi una prova d’amore immensa: nessun contatto diretto, soltanto videochiamate o incontri attraverso un vetro. Nessun abbraccio, nessuna carezza, nessun bacio. Distanziati per amore. Una regola facile da enunciare, ma quanto è difficile, doloroso e faticoso farla comprendere al cuore!
Eravamo fiduciosi che questo muro, pur ruvido, avesse funzionato. Fiduciosi fino all’altro giorno, quando alcuni esiti dei tamponi – in parte di ospiti in parte di operatori – sono risultati positivi. Equivale a dire infausti. Per fortuna nessuno di loro manifesta sintomi di particolare gravità clinica, ma, per una comunità come la nostra, le conseguenze di una tale situazione possono essere devastanti. L’applicazione doverosa delle iniziative di isolamento per scongiurare altri contagi deflagrano in comportamenti inimmaginabili e sofferenze profonde.
Ad esempio, per una persona disabile in isolamento, cambiare camera può inquietare, spaventare, terrorizzare. I nostri ragazzi vivono grazie ai gesti e alle abitudini costruite con pazienza attimo per attimo, fugando spettri e paure che turbano le loro percezioni vulnerabili; le loro certezze si nutrono di solidarietà e di abitudinarietà, anche solo incrinarle può essere devastante.
Speravamo di avercela fatta, sì, dopo tanti timori, lo ammettiamo, cominciavamo a sorridere con fiducia per essere riusciti, con grande sforzo corale, a proteggere tutti questi nostri figli. Tanto più che, rispetto a un anno fa, ora c’è il vaccino. C’è una soluzione. C’è la soluzione, la speranza, l’obbiettivo, il traguardo possibile.
Ce la faremo? Per forza ce la faremo, ci ripetevamo e lo dicevamo già un anno fa, ma la determinazione era priva di un orizzonte definito. Se ci avessero chiesto, allora: in che modo ce la faremo? Non avremmo saputo rispondere. Ma adesso sì, adesso ci sono i vaccini. La salvezza.
Purtroppo non abbiamo fatto in tempo a metterci totalmente al riparo: l’arrivo dei vaccini ai nostri ospiti è stato purtroppo promesso, sollecitato, ma rimandato di giorno in giorno, e questo ci provoca un dolore profondo, sordo, sconfinato. Ma non perderemo altro tempo e non cederemo alla disperazione.
Diciamo con forza anche un’altra cosa, facciamo un appello al senso di responsabilità di chi opera con persone fragili, li imploriamo: chi, soprattutto, ha scelto un mestiere che esprime una vocazione alla generosità e all’altruismo, non può esimersi, non può ignorare quell’etica della responsabilità che dovrebbe guidare ogni scelta. Vaccinarsi, in questo momento storico colpito da un nemico tanto invisibile quanto crudele e beffardo, è l’essenza dell’altruismo. Il vaccino non è soltanto l’arma contro il nemico, ma è lo scudo con cui, proteggendo noi, mettiamo al riparo chi è più vulnerabile, come lo sono i nostri ragazzi. Perché isolati e impauriti, non debbano riempire di angoscia le notti, ma possano dormire sereni e risvegliarsi con il sorriso tranquillo che giorno per giorno siamo riusciti a insegnare loro.
Auspichiamo che entro breve tempo la legislazione venga colmata con l’obbligo di vaccinazione per tutto il personale sanitario e socio-sanitario, pensiero che tutto il Consiglio Direttivo condivide.
Siamo fiduciosi che ciò avvenga. Cedere ad assembramenti nei supermercati, nelle strade, nei parchi, nelle programmate grigliate pasquali adottando piccoli stratagemmi non è soltanto una veniale elusione delle norme protettive, ma equivale a ostacolare la robusta battaglia ingaggiata contro il coronavirus. E così lo è opporsi al vaccino. Il vaccino è indispensabile. E’ la prova di responsabilità specialmente in chi ha scelto di essere operatore di sanità e assistenza a favore delle persone più fragili.
E, allora, non solo «ce la faremo per forza», ma «ce la faremo con amore».
Profili monferrini
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