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«Polvere al Ronzone? La creavano i cementifici». Il consulente di Schmidheiny fa lo scaricabarile, ignorando che si muore d'amianto

Il timore delle circa cento persone partire da Casale ieri - lunedì - per assistere alla 27ª udienza del processo Eternit a Torino era di trovarsi di fronte a consulenti della difesa agguerriti e preparatissimi, a documenti inediti e che avrebbero sostenuto in modo credibile e autorevole tutto il contrario di quanto è emerso finora in aula. Si è invece arrampicato letteralmente sugli specchi l’ex prof universitario, ora in pensione, chiamato a deporre al processo; preparato sulla teoria ma decisamente zoppicante sulla «pratica», quando doveva offrire cioè elementi utili a far comprendere su quali fonti e dati obiettivi si basassero le sue valutazioni; il suo ruolo vero e proprio di consulente – in sostanza - nell’ambito del processo penale che vede imputati lo svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de la Marchienne accusati dalla Procura di Torino per disastro doloso permanente e inosservanza delle misure di sicurezza sui luoghi di lavoro. Gaetano Cecchetti, consulente difesa di Stephan Schmidheiny, già professore di chimica dell’ambiente e della natura all’università di Urbino e professore associato di igiene industriale alla Cattolica del Sacro Cuore di Roma ha iniziato a snocciolare le sue argomentazioni alle 9:35, avvertendo che la cosa avrebbe richiesto bel po’ di tempo. E aggiungendo chissà perché: «Ho 74 anni...». Come dire - forse - «con l’esperienza che ho non mi faccio spaventare da nessuno... e dirò quel che devo dire». E via con la storia del lupo: primo capitolo «la presenza dell’amianto in natura...». «Ho detto spesso ai miei studenti: “Cercate di non andare nelle Alpi Occidentali in vacanza perché c’è sicuramente la presenza di serpentiniti e ofioliti”», pietre che contengono amianto. E poi giù l’elenco delle tipologie di amianto: crisotilo e di anfibolo (crocidolite) e avanti così... Che c’è amianto nel marmo verde, per esempio, c’è in Val d’Aosta, Val di Lanzo, Val di Susa... Dieci minuti di bla bla, sotto lo sguardo un po’ corrucciato del presidente del tribunale Giuseppe Casalbore che ha ampiamente dimostrato - udienza dopo udienza - di non avere nessuna propensione a farsi menare per il naso. E di possedere una pazienza «tecnica»: estesissima quando si parla di fatti rilevanti, inesistente quando si tirano fuori argomenti, per così dire, «voluttuari». «Questo non è un convegno sull’amianto, è un processo», l’ha infatti rimbrottato quasi subito, «deve dire le cose utili per un processo... Altrimenti la devo fermare...». La «Teoria-Cecchetti» E così passo passo, continuamente pungolato del presidente del tribunale che ha tagliato corto sulle parti descrittive, le letture superflue di documenti, le illustrazioni del quadro legislativo, le questioni nozionistiche che la prendevano alla lontana e che avrebbero portato via probabilmente quattro udienze, la «Teoria-Cecchetti» è emersa chiaramente: che da quando arrivarono gli svizzeri tutto è cambiò; che quelli Eternit erano stabilimenti modello, dove l’amianto si lavorava «in depressione», con aspiratori su tutte le macchine che creavano polvere; che si è fatta ricerca su fibre alternative che tuttavia non erano in grado di rimpiazzare l’amianto; che le rilevazioni ambientali erano effettuate con metodiche ed apparecchiature d’eccellenza... La città bianca d’amianto Di più: che Casale era chiamata «la città bianca» ma non per l’amianto, figurarsi! Per i cementifici che il consulente ha nominato a uno a uno: «Fibronit, Bargero, Cementi Rossi, Gabba e Miglietta accanto allo stadio e - a Morano - Unicem». La polvere, ha affermato Cecchetti, la facevano di fatto solo loro perché il cemento alla Eternit arrivava con l’autobotte e l’amianto era su bancali dentro sacchi di plastica termosaldata o di carta, che venivano aperti e immessi in tramoggia in depressione e sotto aspiratori. Lo stesso per l’amianto sfuso che arrivava da Balangero in container. Nessuna dispersione di polvere e di fibre - per carita! - perché le lavorazioni avvenivano a umido... Altro che «polveroni» da cui era venuto fuori il litigi che aveva portato al licenziamento di un sindacalista - Mauro Patrucco - altro che la «nebbia» che ricordano i lavoratori, altro che il «Cremlino», come veniva chiamato il reparto umido e malsano che era stato ricavato quasi sottoterra e dove ci finivano gli attivisti sindacali e quelli che rompevano le scatole ai capireparto, facendo magari rivendicazioni perché le manichette o i gomiti delle tubazioni per il trasporto pneumatico si rompevano e restavano così per giorni, e l’amianto se ne volava via dappertutto con l’aria in pressione, non in depressione... Altro che reparti aperti dove la polvere circolava senza incontrare barriere, altro che le tute bianche degli operai che andavano su e giù per il Ronzone in bicicletta e tutti li vedevano... Chissà come avrebbe spiegato quelle tute sporche il consulente Cecchetti, se si fosse potuto chiederglielo... Con la polvere che si prendeva in bici lungo il tragitto andando al lavoro? Non solo ma anche i famosi «ventoloni» che sono nella memoria di tanti cittadini ed ex lavoratori e che ancora per citare Turino – buttavano le fibre d’amianto «ad uso e consumo della città» avevano funzione esattamente opposta - ha detto Cecchetti- prendevano «aria fresca» da fuori e la immettevano dentro. «Se non vola non fa male!» Cecchetti – stuzzicato dall’avvocato Sergio Bonetto che tutela le famiglie delle vittime – ha persino sostenuto che la polvere (quella contenente amianto che c’era negli stabilimenti) «non è nociva se non viene movimentata...». Ma non aveva detto un attimo prima che le ventole buttavano dentro «aria fresca»? Senza sollevare polvere? E allora con quali sistemi Eternit la teneva incollata al pavimento? Boh... Cromo e amianto Cecchetti ha poi calcato la mano sul rischio ambientale, sostenendo che proprio la polvere dei cementifici conteneva sostanza cangerogene (cromo esavalente), mentre a Napoli il danno ambientale deriverebbe soprattutto da un cementificio, dall’acciaieria e dalla Montedison, che erano attigue. Un argomento sul quale il presidente Casalbore lo ha messo alle strette: «Lei a queste aziende ha dato nome e cognome, le risulta che vi fosse cromo nella produzione?». - «Evidentemente è probabile perché …». - «È evidente o è probabile?». «Molto probabile». - «Da cosa lo desume? Lei ha studiato la produzione di questi cementifici?» - «Certo, il ciclo del cemento...» - «No, non il ciclo del cemento, di questi!» Nessuno studio particolare, solo una supposizione fatta su una conoscenza generale; non un fatto accertato, specifico come richiesto in un’aula di tribunale. E i morti d’amianto? Argomento peraltro - quello del cromo - di nessuna pertinenza in un processo dove si contano vittime (a migliaia!) per malattie asbesto correlate, persone che sono state uccise dall’asbestosi o dal mesotelioma. A meno che anche il cromo non provochi tali patologie. Le molazze... chiuse!?! E anche le molazze, che secondo tutte le testimonianze raccolte finora erano una delle principali fonti di polverosità, secondo il consulente di Schmidheiny erano «completamente chiuse da un carter». - «Che cosa vuol dire “completamente chiuse”»?, gli ha chiesto di precisare Casalbore. - «Che erano chiuse e che tutto era sotto aspirazione». - «Ma lei ha visto le stesse che abbiamo visto noi...»? - «Ho visto che erano chiuse, avendo visitato l’impianto». - «Ah, allora adesso fa da teste... Dunque interrompiamo e assume la formula di rito...» Come dire, niente ricordi personali offerti al giudizio in modo ambiguo, senza essere sotto giuramento come la legge richiede e travestiti da giudizi tecnici, ma solo una consulenza che offra competenze specifiche e chiavi di lettura basate su conoscenze e su fatti assodati, accertati. E questa è stata un po’ la debolezza che ha fortemente inficiato la relazione di Cecchetti, la difficoltà di indicare delle fonti, appunto, che suffragassero la tesi che Eternit fosse quello stabilimento modello che nessuno ricorda. Per questo il tribunale ha acquisito due voluminosi fascicoli da cui il consulente ha detto di avere tratto le informazioni SIL: misurazioni attendibili? Anche sulle analisi del SIL, che ha definito d’avanguardia, Cecchetti non è poi stato in grado di suffragare la sua affermazione con riscontri. Anzi il pm Gianfranco Colace ne ha messo ulteriormente in dubbio l’attendibilità. Rilevazioni risultate «sovrapponibili» a quelle di altri istituti, ha affermato Cecchetti. «Quanto deve durare un campionamento per essere attendibile - ha chiesto il magistrato - otto ore?». «Anche due-quattro, dipende». E il campionamento della Provincia fatto a Rubiera in cui si parla di 20-30 minuti? «È scarsamente attendibile», ha confermato Cecchetti. La domanda sorge spontanea: se è scarsamente attendibile il campionamento alla base delle rilevazioni della Provincia, e se i dati del SIL (che descrivevano un ambiente di lavoro sostanzialmente a norma) alla luce delle normative dell’epoca, sono «sovrapponibili», non sarà perché anche i campionamenti del SIL erano di 20-30 minuti? Vale a dire «scarsamente attendibili»? E solo a Rubiera oppure dappertutto? ------------------------------------------------ Foto: due delle slide proiettate dal proff Cecchetti relative alla sua tesi sui cementifici che però non spiega i morti d'amianto. Sotto Cecchetti durante l'esame del pm Gianfranco Colace

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