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Viaggio a Camino e dintorni

La chiesa gotica di San Gottardo, a breve distanza dal castello, è strettamente legata agli Scarampi, che la fecero costruire nel Quattrocento, su un più antico edificio religioso. L’importante famiglia di banchieri astigiani, di parte ghibellina, venne cacciata per motivi politici alla fine del Duecento dalla città. Ma, forti degli antichi rapporti intrattenuti coi marchesi di Monferrato, i fratelli Francesco e Tommaso Scarampi il 23 settembre 1323 ottennero da Teodoro I Paleologo l’investitura provvisoria del feudo di Camino, poi confermata e concessa in perpetuo sei anni dopo. Nei secoli successivi la casata consolidò il proprio potere sul territorio e sotto il dominio dei Gonzaga giunse anche il titolo comitale. Non fu casuale la dedicazione della chiesa di Camino a San Gottard (960-1038), il vescovo di Hildesheim in Sassonia, titolare con la Vergine Assunta della cattedrale di Asti, dove il culto del Santo era stato introdotto da San Bruno (o Brunone) d’Asti, nato a Solero nel 1045, poi vescovo di Segni. Nel 1483, per concessione papale, venne costruito all’interno del castello un oratorio, dove regolarmente veniva celebrata la Messa. Ma, come ricordava il pievano di Camino all’inizio del Settecento, in certe solennità “il Sig. Conte esce dal Castello et và a sentire la S. Messa nella chiesa di S. Gottardo”. Il ricordo della nobile presenza è affidato ad un banco di legno con lo stemma della famiglia “cinque pali di rosso al campo d’oro”. Dalla fine del Cinquecento fu sede della confraternita di San Gottardo (detta anche dei Disciplinanti), che venne ricostituita nel 1997 al fine di restaurare completamente le parti strutturali e decorative dell’edificio, dopo anni di abbandono, nonostante fosse stata elencata tra gli edifici monumentali nazionali dal lontano 1911. Il piccola costruzione in mattoni a vista, con facciata a capanna, agili pinnacoli e alti contrafforti, ha un campanile seicentesco sulla fiancata a valle, dove gli archi occlusi indicano l’eliminazione di antiche cappelle laterali. Lo spazio interno, racchiuso da volte a crociera con archi sostenuti da antichi capitelli in arenaria, non lascia immaginare la ricchezza di affreschi di diverse epoche conservati all’interno, alcuni imbiancati per disinfettare le pareti dopo la peste seicentesca. Sopra l’altar maggiore una tela con San Gottardo in gloria col pastorale e una dalmatica rossa; nella cappella laterale un quadro ottocentesco che raffigura Santa Cunegonda con la corona in capo (in quanto moglie dell’imperatore Enrico II di Baviera), trafitta dalla freccia del maligno. Nella casa del Mansur Appuntamento al municipio di Camino con l’assessore Renato De Piccoli per una visita alla chiesa di San Gottardo. Saliamo verso il castello, per fortuna le indicazioni turistiche non mancano in quanto la chiesa è nascosta dalle case sulla destra della strada. L’esterno della chiesa è modesto ripagato all’interno da affreschi di alta epoca. A destra Sant’Agata con una finta cornice lignea, poi la Madonna col Bambino su trono sormontato da angeli musicanti e i Santi Sebastiano (o Lorenzo?) e Defendente. Siamo tra Macrino e Spanzotti con riferimenti alla cappella di Santa Margherita di Crea e a San Pietro Martire di Morano. Sulla parete di fondo una Madonna del latte su un trono ligneo, poi Santa Redegonda, moglie del re dei Franchi Clotario, fu ripudiata a causa della sua sterilità, dopo la fuga dalla corte si salvò nascondendosi in un campo d’avena (in mano le spighe e un libro rosso, sopra il nome e la data 1428, forse 1478). Sotto questo affresco uno più antico con frammenti di una santa dal velo bianco e di un vescovo benedicente. Secondo lo studioso Gianfranco Cuttica di Revigliasco sono “accumulabili alla cultura degli affreschi absidali di Sant’Eusebio a Fabiano”. Molto in alto, sulla parete a destra dell’ingresso un altro affresco più tardo raffigura la Flagellazione di Cristo alla colonna. Dietro l’altare dove si riunivano i confratelli troviamo molti ex voto, un’asta processionale e uno sportellino con antichi simboli. La memoria ci riporta alla curiosa descrizione del Niccolini: “Riposta in un una nicchia si conservano religiosamente un teschio e un lungo chiodo di ferro; e si vuole che il chiodo fosse conficcato nel cranio. A chi appartenesse questo cranio nessuno seppe dircelo...”. L’altare rivolto verso i fedeli è formato da un grande blocco di pietra da cantoni, scolpito da Giovanni Albertone con una scena del lavoro nelle cave. Poi proseguiamo per Piazzano, una frazione di Camino nel verde, rispondendo a un vecchio invito di Mauro Rondano proprietario della casa dove è nato un personaggio unico: Giovanni Battista Boetti detto il profeta Mansur (come recita una lapide in facciata). Ci riceve col figlio Andrea, allievo alla scuola di Agricoltura a San Martino di Rosignano. Visitiamo i due piccoli alloggetti in allestimento per i clienti, frutto di un intelligente restauro conservativo. Al primo piano la ricostruzione di un’aula scolastica delle elementari e un museo di contadinerie. Presa la chiave dalla pettinatrice Nuccia, entriamo nella prospicente chiesa, ben tenuta. Spicca su un banco la targhetta della famiglia Bossi di Vercelli, già proprietari della casa del Mansur. Foto all’ingresso pedonale con le iniziali degli stessi Bossi. PER SAPERNE DI PIÙ: Giovanni Battista Boetti (Camino, 2 giugno 1743 – Monastero di Soloveckij, 1798). Sotto il nome di Profeta Mansur conquistò l’Armenia, il Kurdistan, la Georgia e la Circassia, regnandovi sei anni come sovrano assoluto. Sconfitto dall’esercito russo della zarina Caterina venne imprigionato nel monastero di Soloveckij sul mar Bianco, dove morì dopo il 1798, data dell’ultima lettera spedita al padre notaio in Camino

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