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La casa di Rosetta Loy ne "La prima mano"

"E' Mirabello il nome simbolo dell’esistere. La casa, all’apparenza simile a uno sfilatino, si allunga giallina in una sequela di stanze (quante? Non le ho mai contate) nello sbattere inconfondibile di inconfondibili porte, affiancate sul retro dall’interminabile budello del corridoio. Scritte in latino, incorniciate da volute color ocra, sovrastano benaugurati e numerose porte-finestre mentre un’aura che non ha uguali si avverte già nel suono dei passi sul viottolo che conduce all’ingresso. Nell’odore di mele e pietra appena si varca la soglia. Nel corso di due secoli le suddivisioni fra i vari rami della famiglia, nel momento che papà ha voluto ricomporre la casa nella sua struttura originaria, hanno prodotto due cucine, due sale da pranzo, due scale, tre salotti, due salottini. Una Camera della Strega e una Camera degli Spiriti. Un Infernotto”. Così scrive Rosetta Loy nel romanzo “La prima mano” edito ora in Italia per i tipi di Rizzoli, a due anni di distanza dalla pubblicazione francese, su proposta di Colette Fellous, che dirige la collana “Traits et portraits” per l’editore Mercure de France. Il testo è impreziosito da belle fotografie in bianco e nero che fissano momenti di vita familiare, come quella della bambina sulla piccola auto a pedali davanti alla grande casa di Mirabello. “La prima mano” accompagna il lettore sul filo dei ricordi infantili negli anni a cavallo della guerra nei lunghi soggiorni romani, interrotti dalle vacanze estive in montagna, al mare oppure a Mirabello, “il nome simbolo dell’esistere”. Questa la bella descrizione dell’interno della casa monferrina della famiglia Provera: “Tre soffitte. Con le basse finestre a livello delle assi sconnesse del pavimento sono loro le custodi della memoria di Mirabello. Loro sfidano, con il groviglio degli oggetti accatastati negli angoli, il ronzio minaccioso delle api che nel sole radente del pomeriggio si fiondano, avide, sull’uva stesa sulla paglia. Ma forse i veri cultori della memoria sono i ragni, lì da innumerevoli generazioni, da quando Napoleone era ancora un giovane cadetto e la ghigliottina funzionava a pieno ritmo nella Francia di Robespierre. Loro possiedono la storia e l‘oblio degli oggetti più disparati accumulati nei secoli, loro li imprigionano insieme alla polvere e alle incaute api formando quell’ovatta fumosa che li rende repellenti, e intoccabili”. Insomma un luogo mitico e arcano, scandito non dai rigidi orari delle giornate romane, ma da infiniti giri in bicicletta e corse sfrenate nei campi alla ricerca dell’acqua per la cattura delle rane. “Vado anch’io a pescare le rane, una gamba di qua e una di là del canale di irrigazione: piccole, viscide, scorrono silenziose sotto il velo dell’acqua e la mano deve essere rapida nell’afferrarle, prima che in un guizzo spariscano fra la melma del fondo. Dopo le metto in una scatola di cartone e le conto; e una volta a casa le dimentico su qualche davanzale. L’indomani sono delle piccole foglie giallastre con le zampine rigide e la pancia bianca rivolta all’insù. Ma la crudeltà della loro sorte non mi scalfisce”. Dionigi Roggero IN BICI CON LE AMICHE E I KRUMIRI DI CASALE - Siamo a Mirabello di fronte alla grande casa di fine settecento, imponente e discreta, ancora di proprietà della scrittrice; immaginiamo i giochi da bambina di Rosetta, la macchinina con l’autista ‘vero’, Francesco, le corse in bici con le amiche Pia Falaguerra, Angiolina Porta, Evelina Fumarco, “Andavamo - ci dice Rosetta telefonicamente da Roma, dove abita - a Baldesco, Villabella, al torrente Grana dove pescavo le rane; a volte ci spingevamo fino a Casale... Casale mi evoca il profumo dei krumiri, il dolce simbolo della città”. Il primo ritorno a Mirabello subito dopo la guerra: “Un viaggio di tre giorni su due macchine con una ventina di bucature di gomme, ma mio padre ci teneva a rivedere la casa, per fortuna era intatta, ci aveva abitato una zia col custode ma erano passati tedeschi e americani, quest’ultimi avevano saccheggiato una vetrinetta di ricordi”. Noi oggi passiamo anche al cimitero dove la famiglia di Rosetta (Provera, Loy è il cognome del marito) ha due cappelle, una grande, all’entrata, con una parte ceduta alle sepolture salesiane e una nella zona più antica”, da questa cappella proviene lastatua di un angelo che Rosetta ha donato alla parrocchiale di Mirabello (lo abbiamo citato in un Viaggio d'autore, ndr.): “Il Monferrato è la mia terra -conclude la grande scrittrice - e sono onorata della cittadinanza concessami da Mirabello”.. Luigi Angelino FOTO. Rosetta Loy prima a sinistra con le sorelle e il fratello, la casa di Mirabello, oggi e la bianca, vecchia cappella del cimitero

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Michele Castagnone

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