La giornata del ricordo a Casale: per le scuole una scelta assurda
di Claudio Debetto (profugo da Pola- febbraio 1947)
Come esule istriano, non posso condividere e sono profondamente rattristato dai contenuti e dalle modalità con cui il Comune intende celebrare la “Giornata del Ricordo dell'esodo delle popolazioni istriane, giuliane e dalmate e della commemorazione delle vittime delle foibe”. Quindi, non come recita il comunicato stampa del Comune, “Giornata del Ricordo delle foibe”: anche i dettagli sono importanti.
Una proposta alle scuole deve anzitutto consentire agli studenti di essere informati e di potersi formare una valutazione autonoma e critica sugli avvenimenti di cui si tratta. Apprendo invece che, anziché informare sulle cause e le conseguenze dei terribili fatti della Venezia Giulia e Dalmazia, si parlerà di un giovane repubblichino “dopo il 25 aprile 1945”. Se non ci fosse da piangere, ci sarebbe da ridere, nel senso che siamo alla farsa che pretende di dare lezioni di storia.
Cosa c'entra con la Giornata del Ricordo la proposizione teatrale alle scuole delle vicende di un soldato della Repubblica Sociale Italiana catturato e deportato in un campo di concentramento jugoslavo? Qual'è il messaggio che si vuole trasmettere ai giovani collegando la commemorazione dell'esodo giuliano alla RSI? Che gli italiani buoni erano repubblichini, che i repubblichini erano dei perseguitati, che gli jugoslavi erano bestie feroci... O che altro?
E con quale serietà e rispetto dei patimenti e dei sacrifici dei 300.000 esuli si propongono queste cose, con quale rispetto e serietà nei confronti della ricerca storica e dei tentativi di creare finalmente una memoria condivisa? Occorre lavorare per una interpretazione dei fatti che aiuti tutti a pacificarsi finalmente davvero, a impegnarsi affinchè la barbarie del nazionalismo e del fanatismo non torni più, una barbarie che chiede il sacrificio della vita o l'abbandono forzato e senza ritorno delle case, delle terre, degli affetti, della lingua, delle tradizioni, delle culture, delle identità.
Dobbiamo ripetere ai giovani che la vicenda del confine orientale italiano non nasce con le orrende atrocità delle foibe: nasce da una politica nefasta di aggressione che il fascismo ha perpetrato scientificamente e in modo sanguinario contro le popolazioni slave dell'interno dell'Istria (in cui erano in maggioranza) prima con la italianizzazione forzata e con la negazione di ogni spazio alle altre culture e tradizioni, poi con l'invasione della Slovenia, prima dei soli fascisti e poi con i nazisti in tutto il Litorale Adriatico, con ferocia e crudeltà. Quelle popolazioni hanno convissuto per secoli scambiando e arricchendosi di culture, legami e commerci, sposandosi e facendo figli.
Eravamo noi italiani gli invasori, abbiamo commesso le nefandezze inenarrabili di tutte le guerre, abbiamo perduto, e i giuliano-dalmati hanno pagato per tutti: sarebbe ora di affrontare con coraggio la verità delle colpe di tutte le parti, in un terribile contesto di guerra in cui si giocavano i destini del mondo, contesto per noi e per i giovani, oggi, assolutamente non pensabile. O vogliamo credere ancora alla favola bella dei buoni da una parte e dei cattivi dall'altra, come ci ha proposto anche una sciagurata fiction televisiva?
Lo chiediamo noi esuli, che sappiamo cosa vuol dire, a nome di tanti che non ci sono più e sono morti con il loro mare e la loro terra negli occhi e nel cuore: il Comune di Casale, che ha accolto il 21 febbraio 1947 la prima coppia di esuli, e poi via via una ventina di famiglie cercando di “ospitare questi nostri fratelli italiani che arriveranno in città” [Il Popolo Monferrino, 1947], per la sua storia e le sue tradizioni, non deve prestarsi a queste operazioni diseducative e fuorvianti.