Slow Food: "Casaleat anno zero dopo le difficoltà si aggiusti il tiro"
di Ugo Bertana
Già sento l’eco delle chiacchiere nei caffè della città: “…a Casale le manifestazioni non vanno, guarda Casaleat, anche questa non ha funzionato”! Casaleat è stata la piccola fiera del gusto nello spazio Palafiere durata da venerdì scorso a lunedì. Essere puntuali spiegando ciò di cui stiamo parlando è un dovere perché a domenica sera c’erano casalesi che ancora non sapevano dell’esistenza dell’evento.
Di fatto Casaleat ha funzionato poco per più di una ragione, ma soprattutto perché c’è stato un basso numero di visitatori e molti espositori hanno fatto pochi affari: fosse stato il contrario saremmo qui a scrivere un inno al successo. Indipendentemente dagli ingressi dichiarati dagli organizzatori, che sono stimati a naso, quindi non certi, sicuramente il numero è stato di molto inferiore a quello atteso. Casaleat ha avuto problemi, inutile nascondersi dietro un dito. Però, è necessario procedere con una fredda analisi tralasciando l’emotivo lamentismo deresponsabilizzante che non produce effetti. L’analisi va fatta sui punti di forza, sui punti di debolezza e sulle opportunità e i limiti da superare che l’evento offre. Casaleat è un bel nome, e questo è già un punto di forza, facile da ricordare, evoca un legame tra la città e il cibo, rafforza il concetto di centro urbano su cui gravita un’area rurale dove la produzione agroalimentare è di qualità, e dove risiedono pure gli infernot dell’Unesco (quanti legami, parlando di territorio).
E’ un rafforzativo di un concetto di vocazione verso il turismo-del-gusto a cui città e circondario ambiscono. Altro aspetto importante e positivo, la fiera in sé, come qualità degli espositori è stata di livello alto. Tra i 170 stand, artigiani di eccellenza. È la dimostrazione che gli organizzatori sono stati capaci di vendere il prodotto, e al tempo stesso sono proprietari di un patrimonio di relazioni importanti. C’erano stand provenienti da più regioni, a rappresentare lo spaccato dell’Italia food che è capace di produrre eccellenza. Il pluralismo è ciò che cerca e vuole il frequentatore di questo tipo di eventi. Infine c’è stata la ricaduta economica sulla città, perché tanti espositori provenienti da lontano, hanno dormito, mangiato e magari anche comprato, nei cinque giorni di soggiorno casalese. Cosa non ha funzionato? Prima di tutto la comunicazione. L’evento si è visto poco. Non sui media, ma sappiamo che qui i costi sono molto alti, anche se Oscar Farinetti ne insegna l’utilità per avere ritorni significativi. Ma neppure in città; dalle uscite autostradali, dalle porte di accesso, fino al Palafiere, neppure una bandiera, un manifesto, uno striscione. Visitatori hanno testimoniato agli espositori le difficoltà per trovare il luogo della fiera, quindi vien da pensare che molti non l’abbiano trovato e facendo un giro sui tacchi se ne siano andati altrove.
Non ha funzionato la disposizione degli espositori all’interno del Palafiere priva di una logica apparente che guidasse il flusso, e per tale ragione alcune aree del padiglione erano praticamente ignorate dai visitatori, e l’allestimento, dentro e fuori era, per usare un eufemismo, sicuramente insufficiente. Valutando di ripetere l’esperienza molto andrà rivisto. Perché valutare di ripetere? Prima di tutto l’opportunità deve essere per la città (ricaduta economica generata da standisti e visitatori), per il Monferrato e per l’agricoltura di qualità del territorio (una fiera che arrivasse a funzionare bene, attirando buyer, operatori, giornalisti oltre che pubblico, fatta sotto casa, ha un valore assolutamente alto per le aziende monferrine). Opportunità è anche creare attrazione su un evento turistico che aggancia la fiera agli eventi esistenti, ad esempio, alle fiere del tartufo della zona. Tante e più ragioni, per considerare l’edizione 2014 un numero zero da perfezionare, anche stravolgendo. In tutto ciò il Comune di Casale, ed i Comuni del Monferrato dovrebbero entrare nei giochi (programmazione, investimento, comunicazione) perchè il territorio Monferrato dovrebbe essere l’anima essenziale dell’evento. Quest’anno la proposta di Casaleat è giunta in un momento di fine mandato e cambi di amministrazione sia a Casale che in molti Comuni della zona, e onestamente per nuovi amministratori entrata in corsa in un evento di questa dimensione sarebbe stato molto complicato.
Probabilmente per mesi l’azienda che organizzava non ha avuto interlocutori istituzionali con cui confrontarsi, immagino che per loro sia stato un grosso problema. Ecco, il limite verrebbe superato dal dialogo serrato e progettuale tra pubblica amministrazione e organizzatori, dove ognuno deve avere il suo tornaconto: chi organizza che deve remunerare il lavoro e il rischio d’impresa, il territorio che deve avere il suo ritorno d’immagine. Chiudere il discorso a priori senza fare riflessioni, sarebbe un po’ come buttare il bambino con l’acqua sporca del bagnetto, cosa che non è mai da farsi; men che meno di questi tempi quando la voglia di riscatto di Casale e del suo territorio pare essere veramente tanta.