Le non sempre felici riflessioni sull’ultima vicenda elettorale regionale sono pressoché terminate. La discontinuità nelle politiche sanitarie, voluta da Bresso dopo cinque anni di tentativo di riforma, è finalmente arrivata con l’affermazione, però, del centro destra, che ora, nel bel mezzo di una crisi economico finanziaria e sociale e con un Governo nazionale determinato ad acuirla, ha il compito di “scoprire le carte”. Vediamo, dunque, cosa bolle in pentola dopo la trionfale marcia elettorale di fine marzo. Innanzitutto il quadro politico: da una parte la Lega Nord e il presidentissimo Cota che rivendica pieni poteri decisionali in sanità e dall’altra il PDL con l’Assessora Caterina Ferrero a fare la cosiddetta gestione. Una divisione netta di poteri, che relega Ferrero a un ruolo comprimario e l’ha in ogni caso già indotta ad atteggiamenti assai prudenti dopo i primi assalti corporativi e politici dei primi giorni.
La prudenza, però, non riesce a far velo del tutto alla mancanza di visione complessiva. Prendiamo ad esempio i piani di rientro chiesti ai Direttori. A questi ultimi è demandata ogni scelta sui tagli da effettuare, dopo che spesso essi hanno già proceduto in base alla programmazione degli ultimi anni a razionalizzare il possibile, accorpare ASl ecc.. Mi immagino lo sconcerto di chi si deve misurare con misure restrittive da decidere in autonomia, senza una strategia regionale di medio e lungo periodo in cui inserire le nuove “economie”.
Più in generale, visti questi primi approcci, vien da chiedersi quale idea di programmazione socio sanitaria abbiano la nuova Assessora e il presidentissimo Cota. Indicare obiettivi con modalità trasparente rende chiaro a operatori, Direttori e cittadini qual è la direzione di marcia. Senza di questo avanzano le decisioni estemporanee, spesso guidate da pressioni politiche e lobbistiche. Mi pare forte la tentazione di procedere esattamente così, recuperando, tra l’altro, antiche propensioni a non considerare, nemmeno nella ristretta logica funzionale all’abbattimento della spesa, un settore come la prevenzione (non si vede l’ombra di un coordinatore regionale per onorare gli impegni del Piano nazionale di Prevenzione stabilito alla conferenza Stato - Regioni).
Dentro la crisi le politiche sanitarie dovrebbero essere considerate come un sostegno al reddito, in specie per le persone più deboli. Non mi pare che tale assunto sia condiviso dalla nuova amministrazione o, perlomeno, essa non è in grado di comunicare idee chiare in modo particolare sulla componente sociale della spesa. Ferrero, che ha anche la delega all’assistenza, deve far sapere cosa vuol dire “aggredire la spesa storica” come vuole Cota. Si accorgerà molto velocemente che grossi margini per rincorrere l’illusione di grandi sprechi non ce ne sono. Dovrà ben presto fare i conti con la rete ospedaliera e con il dilemma di cosa fare dei piccoli ospedali, sinora mantenuti in piedi con un tentativo di riconversione orientato al territorio. Se i risparmi si vogliono ottenere subito, però, bisogna sapere che non tutte le leve sono equivalenti. Molto meglio indirizzarsi verso un altro “cespite di spesa” e cioè verso gli anziani. E’ del tutto evidente, come dimostra un passaggio di una delibera del 30 aprile scorso, che proprio lì, sull’inserimento di anziani in case di cura e sugli assegni, si vuole premere per raffreddare la spesa. Scelta antisociale e in totale controtendenza con le linee praticate sinora attraverso cui, con un aumento consapevole di spesa sul versante socio-sanitario-assistenziale, si voleva dare una qualche risposta ai bisogni di una popolazione che in Piemonte invecchia sempre di più.
La tendenziale caduta delle risorse disponibili, oltre a creare problemi sul terreno del consenso e a indurre verso indirizzi di classe come quello appena citato, fa venire avanti anche la proposta di recuperare efficienza attraverso una rigida divisione tra chi eroga le prestazioni e chi le compra, cioè tra ospedali e territorio. Al di là del fatto che si tratterebbe di una rivoluzione copernicana in grado di funzionare solo dopo 4 o 5 anni, resta il fatto che l’integrazione e la continuità delle azioni andrebbe a farsi benedire, con buona pace di ogni sforzo fatto sinora per sviluppare soprattutto la sanità territoriale. Vedremo cosa il centro destra vorrà scegliere, dopo aver fatto trapelare interesse per questa impostazione. Intanto è opportuno chiedere ai suoi rappresentanti quale progetto, a proposito di ospedali, hanno in mente di sostenere. In questi giorni appare chiaro che oltre i 470 milioni di euro da destinare alla città della salute di Novara e al rifacimento nei fatti di Molinette non paiono esserci risorse disponibili, mentre molti progetti coinvolgenti altre province sono in balia degli eventi. Certo, si possono e si devono recuperare i circa 370 milioni ancora disponibili da un accordo del 2007 con lo Stato, ma bisogna capire quali strumenti ulteriori si pensa di utilizzare, visto che, tanto per esser chiari, anche il nuovo ospedale di Alessandria deve passare per queste forche caudine. Se si intendono ridurre gli investimenti deve essere detto in esplicito, indicando in modo trasparente le scelte che si intendono imporre, compresa quella sciagurata, e sempre più ventilata, di utilizzare il project financing con il privato, oggi più che mai interessato a mettere le mani su servizi essenziali e “corposi”.
A proposito di privato in sanità, dopo i corteggiamenti bipartisan della campagna elettorale, è questo il momento della verità. Sinora l’atteggiamento di Ferrero pare molto “abbottonato” e, senza dubbio, forzato in questo senso dall’esigenza di far quadrare i conti dopo che, occorre davvero ricordarlo, gli assessori Valpreda e Artesio avevano “messo in gabbia” la voce di spesa legata alla sanità privata. I cattivi, insomma, hanno fatto il lavoro sporco, ma ora par difficile onorare le “cambiali elettorali” anche per Ferrero, Cota & C. .Se si analizzano le voci principali di spesa si vedrà che il Piemonte supera i dati medi non nella farmaceutica, ma nella diagnostica e nella riabilitazione, guarda caso due settori in cui la distorsione imposta dai privati si fa più sentire. Qui si può intervenire ulteriormente: si farà? Entro il 2010 si dovrà applicare il non certo buono Patto per la salute, che chiede al Piemonte di diminuire circa 1000 posti letto per arrivare al fatidico tasso del 4 (posti letto) su mille abitanti (3,3 per le acuzie, 0,7 per le post acuzie).
La maggior parte dei posti letto da tagliare nella post acuzie sono collocati in capo a strutture private. Vedremo presto cosa deciderà l’Assessora, se cioè sarà in grado di fronteggiare in qualche modo le resistenze dei privati o se deciderà di sacrificare le strutture pubbliche come a esempio il “Borsalino” di Alessandria, che non solo funziona bene, ma che è stato in grado di invertire una tendenza storica richiamando pazienti da altre Regioni.
Riassumendo è possibile, dunque, sostenere che il governo regionale della sanità oggi non ha ancora mostrato pienamente il suo volto, ma ciononostante non lascia presagire nulla di buono dai primi movimenti effettuati. In ogni caso c’è materia più che sufficiente per riprendere, innanzitutto a sinistra, non solo una critica stringente, ma anche una progettualità consapevolmente figlia di una stagione troppo velocemente archiviata.
Alberto Deambrogio
Rifondazione Comunista – Federazione della Sinistra