Giorno del ricordo: non è così che si collabora con le scuole
di Mauro Bonelli
Ogni cittadino casalese dovrebbe concordare con il Sindaco quando afferma che dobbiamo “andare oltre la concezione che le celebrazioni per le foibe siano una ricorrenza di destra”. Come scrivevo (mi sia permessa l’autocitazione) in un libretto da poco distribuito agli studenti casalesi edito con il patrocinio del Comune di Casale e cortesemente prefato dall’Assessore Giuliana Romano Bussola, bisogna “negare platealmente il pregiudizio per cui la sinistra celebra il Giorno della Memoria e la destra il Giorno del Ricordo”; anzi, la fortunata vicinanza delle date ci spinge ad indagare con rigore storiografico il nesso che collega vicende che appartengono allo stesso contesto storico, quello del totalitarismo, caratterizzato dalla violenza scatenata dalle politiche di razza, di nazione, di classe, che negano i fondamentali valori dell’umanità. La risonanza mediatica che si crea attorno alle celebrazioni consente di introdurre più facilmente questi temi nel discorso pubblico e in quello didattico, spingendo alla riflessione calma e studiosa, catturando l’attenzione spesso volatile dei giovani, distratti da mille cose ed abituati a comunicazioni spesso brevi, schematiche, forzate. La mia esperienza di insegnante mi ha convinto che non ci sono scorciatoie allo studio serio; non c’è infatuazione o entusiasmo o sdegno momentaneo. Quando celebriamo con i giovani i momenti solenni delle ricorrenze storiche dobbiamo fornire loro sintesi rigorose, fondate sulle acquisizioni della ricerca storiografica e illuminate dai valori della carta costituzionale.
Risponde a questi requisiti lo spettacolo del giovane Pietro Di Giorgio (a cui per la seconda volte è stato affidato il compito di celebrare per le scuole il Giorno del Ricordo da parte del suo stretto amico Assessore Riboldi)?
Non lo so: il mattino del 10 febbraio ero impegnato a tenere una conferenza e non ho potuto recarmi al Municipale: lo avevo fatto con due classi l’anno scorso, e avevo assistito ad uno spettacolo (Istria Rossa) teatralmente inconsistente e contenutisticamente pieno di affermazioni scorrette, superficiali e insostenibili (e per inciso elogiative di Mussolini e della Decima Mas): lo sforzo di un entusiasta cui mancava la competenza. Mi auguro che nel frattempo Di Giorgio sia migliorato: tuttavia non posso condannare la diffidenza di quei cittadini o di quelle persone del mondo della scuola che, fatta una prova, sono stati riluttanti a sorbirsi una probabile seconda razione della stessa bevanda.
All’Assessore Riboldi lo dissi (col rispetto di un cittadino verso un rappresentante dell’Amministrazione) l’anno scorso, invitandolo a cambiare metodo: è giusto, gli dissi, è sacrosanto che Comune e scuole collaborino: proponendo, discutendo, concordando: non tacendo fino a dieci giorni prima dell’evento e paracadutando sul mondo della scuola contenuti a scatola chiusa. Il primo metodo lo segue l’Assessore alla PI e Cultura professoressa Bussola, e funziona; il secondo è abitudine dell’Assessore Riboldi.
Al quale vorrei a questo punto porre alcune domande: quanto è costato alle casse del Comune lo spettacolo? Quanto quello dell’anno scorso? Il rapporto costo/qualità giustifica l’impegno, soprattutto in un periodo di vacche magre, in cui ha rischiato di saltare la stagione del Municipale ed il bilancio dell’Assessorato alla Cultura è stato quasi dimezzato?
E veniamo alla Mostra. L’ho visitata accuratamente, e mi congratulo con i suoi costruttori per l’onestà e l’impegno che vi hanno profuso. Ma al di là delle eccellenti intenzioni soggettive quale messaggio essa veicola, oltre lo sdegno (sacrosanto) per i torti subiti? Quale percorso di conoscenza e di comprensione offre a chi è digiuno di tali questioni? Che cosa ne ricava un giovane in termini di conoscenza del periodo storico, delle forze in campo, delle ideologie coinvolte? Manifesti d’epoca, copertine della Domenica del Corriere, fotografie (alcune struggenti), carte geografico-politiche di cui è impossibile identificare fonte e datazione; soprattutto quasi nessuna didascalia; un percorso espositivo confuso in cui non si capisce nemmeno se deve essere seguito in senso orario o antiorario. Sembra quasi che, invece di decidere prima quale messaggio far passare e poi ricercare il materiale per illustrarlo, i preparatori abbiano messo insieme il materiale di cui disponevano cercando poi di dargli un senso. Temo che, per la limitatezza dell’approfondimento storiografico, questa mostra sia un’occasione persa. E con i giovani, ogni occasione persa è un grave peccato pedagogico.
Per concludere: il Giorno del Ricordo va assunto pienamente nel sacrario delle celebrazioni patrie. Esso non è di destra né di sinistra: deve essere patrimonio di ogni cittadino. Il miglior modo per celebrarlo è produrre conoscenza e coinvolgimento. Siano tanti o pochi i fruitori delle iniziative (e, si rassicuri il lettore Marco Piemonti, per ogni commemorazione al Tartara a cui ha assistito, ce ne sono state numerose altre all’interno delle scuole). E’ necessario promuovere occasioni dignitose e di livello. La differenza fondamentale sta qui: se il discorso è serio o raffazzonato.